Mike Rosenberg alias Passenger.

Quando la musica non va in vacanza...

Da Willie Nelson a Passenger, per arrivare alla Ben Miller Band. Un viaggio in America alla scoperta del folk, insieme alle giovani promesse e a chi, a 81 anni, ha ancora il desiderio di cantare. Ecco alcune proposte per l'estate
Walter Muto

Per offrirvi alcune suggestioni da approfondire durante l’estate siamo andati a pescare in acque non battute dal grande mercato, rivolgendoci ancora una volta al mondo del folk d’oltreoceano, che sta vivendo una grande riscoperta da parte di una miriade di band ed artisti giovani che riscoprono il repertorio dei padri e lo fanno loro, a volte più rigorosi nei confronti della tradizione, a volte creando nuove commistioni ed alchimie anche con mondi lontani e commerciali.

In realtà cominciamo con un grande vecchio. «Good to be writing again» (È una buona cosa che riesca a scrivere ancora). Chi dice questa frase in un’intervista, a 81 anni compiuti e con una semplicità disarmante, è Willie Nelson, superstar del country americano.

Forse ve lo ricorderete nella celeberrima canzone We are the World, era quello con la voce nasale che sembrava un vecchio pellerossa, ma bianco. Bene, alla sua veneranda età non è ancora stanco di scrivere, suonare, cantare e produrre musica, e sforna un bellissimo album, Band of Brothers, i cui brani attingono a diversi stili, soprattutto country e bluegrass, ma anche blues e gospel. Da ascoltare tutto, ma da segnalare, fra le altre, The Git Go, in cui il vecchio Willie sguaina la sua insoddisfazione verso le ingiustizie del sistema, come molte altre volte ha fatto. Ma qui approda al cuore del problema, con un testo commovente: «Lui ha detto la verità e loro lo hanno appeso a morire, il Figlio di Dio che ha creato te e me/ lo ha detto nel Vangelo, ma noi continuiamo a dimenticarcene/ Gesù Cristo appeso sulla croce, per te e per me».

Continuiamo con artisti di qualche anno più giovani. Esce dagli archivi in edizione deluxe la riedizione di uno dei live tour più importanti della storia del folk rock, quello del 1974 di Crosby, Stills, Nash & Young. Molto di quel materiale era già stato pubblicato nel doppio album Four Way street, ma in questa nuova produzione vengono aggiunti brani non pubblicati precedentemente, alternate takes (versioni diverse dello stesso brano) ed il tutto ripulito e riconfezionato in una veste sonora migliore, che dovrebbe far meglio apprezzare il materiale d’epoca. CSNY 1974 Tour Box Set è il titolo.

Passando invece ad artisti decisamente più giovani, è appena uscito il nuovo lavoro di Passenger, nome dietro cui risulta esserci Mike Rosenberg, cantautore scozzese, che ha mantenuto artisticamente il nome della band di cui faceva parte e che si è sciolta nel 2007. Da allora Rosenberg ha prodotto quattro album ed è arrivato alla popolarità mondiale con l’hit Let Her Go, bellissima canzone che ce lo ha fatto scoprire fine pennellatore di emozioni attraverso le sue liriche delicate, i suoi arpeggi di chitarra e la sua voce, sgraziata, ma incisiva.

Al primo ascolto questo nuovo Whispers mi era sembrato inferiore al precedente album All The Little Lights. In realtà il genere è rimasto lo stesso, un folk anglosassone con una strizzatina d’occhio al pop, ma non troppo. In realtà il mio giudizio è radicalmente cambiato riascoltando i pezzi con le parole dei testi davanti.

Si prenda il brano di apertura Coins in A Fountain, per esempio, che ricorda certe atmosfere fra Cat Stevens e Nick Drake, per dire due grandi del passato; un inno all’amore come unica strada della vita, tratteggiato con passo rapido ed al tempo stesso con immagini vivide: «l’amore è la più vera delle parole/ l’amore è come gli ultimi uccelli dell’inverno/ l’amore è l’unica canzone che canto». 27 è invece quasi un rock’n’roll in cui l’autore fa un punto rispetto all’età a cui è giunto: «Non so verso dove sto correndo, ma so come correre/ perché correre è quello che ho sempre fatto (…) non so dove sto andando, ma so come sono arrivato qui/ sono un cuore affamato, sono un’arma carica». E poi quasi un documento programmatico: «Scrivo canzoni che vengono dal cuore/non me ne frega niente se vanno in classifica o no/l’unica maniera in cui so essere è dire quello che vedo/senza nessuna ombra che mi copra». Da segnalare anche la bellissima Hearts on Fire, struggente ballata su un amore finito; e sullo stesso tema, sottolineato tristemente da una sezione di archi, la bellissima Golden Leaves, in cui i due ex innamorati sono paragonati a due foglie, aggrappate all’albero all’inizio dell’inverno, ma fatalmente destinate a cadere. Spumeggiante e gioioso invece il contesto di Thunder, inno alla natura e al suo scorrere infinito. Per finire, molto bella anche la title-track Whispers, dalla metrica obliqua e piena di domande: «Non so ancora cosa sto cercando, anche se dovrei saperlo (…) quello di cui ho bisogno è un sospiro in un mondo che grida solamente».

Un’ultima segnalazione: cercatevi qualcosa della Ben Miller Band, trio proveniente dal Missouri, un trio dalla più varia estrazione musicale, che produce canzoni attingendo alle radici più lontane del folk, fatte di strumenti auto costruiti, di bassi assemblati con un manico di scopa e una tinozza, di cucchiai e tavole per lavare i panni, intrecciando con vigore i semi più antichi del bluegrass, del blues del delta del Mississippi e della musica dei monti Appalachi. Da scoprire. Buona estate!