"Songs of Innocence", l'ultimo album degli U2.

Il ritorno a casa di Bono e compagni

Uscito tra le polemiche, il nuovo cd del quartetto irlandese nasconde, tra le tracce, la memoria di ferite mai rimarginate e i primi passi della band. Un luogo di innocenza dove anche le popstar cinquantenni e miliardarie vorrebbero tornare
Walter Muto

Andy Derer, recensore del magazine on-line emptylighthouse, ha usato una felice immagine per contraddistinguere l’uscita del nuovo album degli U2, Songs of Innocence. Dice infatti che voler stupire con l’uscita a sorpresa del nuovo lavoro, regalandolo a milioni di utenti via iTunes, è stato per la band come spararsi in una gamba. Sì, perché in questo modo l’attenzione del pubblico (e della rete) invece di focalizzarsi sulle canzoni si è gettata sull’invasività di un’operazione simile e tutto ciò che ne consegue. Tanto che lo stesso Bono in un video in cui lui e gli altri rispondono alle domande dei fans ha dovuto fare un mezzo passo indietro, in qualche modo riconoscendo che forse la decisione presa non era stata la migliore. Tant’è, ma oggi le polveri radioattive si sono posate, il cd è uscito nei negozi e magari possiamo dedicare un po’ di attenzione ad ascoltare le canzoni e segnalarne i punti interessanti. Più volte nella carriera della band irlandese interi stuoli di fans si sono stracciati le vesti di fronte ad uscite sorprendenti, di cui magari si è capita l’importanza un lustro o un decennio dopo.

Non so (ancora) se questo è un caso simile. Quello che so dai primi ascolti è che la volontà della band è stata, pur mantenendo linguaggio e vocabolario rock, di gettarsi in una sintassi mainstream: insieme a Flood che da anni lavora con la band, altri produttori sono stati chiamati a dare un’impronta al lavoro, produttori appunto che hanno lavorato con Adele, Coldplay, Florence and the Machine e altri. La produzione globale è attribuita a Danger Mouse (Brian Joseph Burton, classe 1977), accreditato fra gli altri con Norah Jones, i Gorillaz e i Black Keys. Il suono è possente, cesellato nei suoi pieni e vuoti, e questo, occorre dirlo, è davvero accattivante. Se si ascolta a pieno volume, l’impatto e gli arrangiamenti - che ormai, si sa comprendono anche il sound - sono veramente notevoli. Ma è sufficiente un bellissimo vestito per poter dire ad una donna che è bella? Fuor di metafora, le canzoni ci sono? E ci possono dire qualcosa? Un lungo scritto di Bono serve ad introdurre molti dei brani del cd ed aiuta la comprensione dei testi. Innanzitutto sono presenti dei tributi musicali alle band che più hanno influenzato i quattro amici che sarebbero diventati gli U2. I Ramones sono omaggiati nella possente ed iniziale The Miracle (of Joey Ramone) e i Clash sono invece i referenti del penultimo brano This is Where You Can Reach Me Now. Per la verità è presente anche una citazione/tributo ai Beach Boys in California.

Insomma, già dal titolo si capiva, l’album vuole essere un ritorno a casa, attraverso canzoni di innocenza, o meglio canzoni che riportino la memoria ed il sapore di quel tempo in cui la band muoveva i suoi primi passi, entrando - per esempio - di straforo al concerto dei Clash, perché un amico li aveva fatti passare da una porticina. Sapore presente anche nella bellissima Song for Someone, che passa dalle atmosfere acustiche delle strofe all’andatura U2 caratteristica del ritornello, incluso lo slogan da cantare insieme a squarciagola, per poi tornare a casa nel finale: And I’m a long way from where I was and where I need to be, «sono molto lontano da dove ero e da dove ho bisogno di essere».

Nel suo scritto introduttivo, Bono racconta della perdita della madre, cui è dedicata la canzone Iris (Hold Me Close), brano centrale di una triade di grande spessore costituita nell’ordine dalla già citata Song for Someone, da Iris, appunto e dalla successiva ed esplosiva. La voce di Bono, nel cd in generale e qui in particolare, c’è tutta e regala più di un brivido in questa canzone (la quinta nel repertorio U2) dedicata alla madre. È bene leggere integralmente l’introduzione di Bono alla canzone per capirne la profondità. «Mia madre morì quell’anno (il 1974, Bono aveva 14 anni) ed anche mio nonno. Mentre suo padre veniva seppellito, Iris collassò di fianco alla tomba ed alcuni giorni dopo lo seguì. Bellissima Iris, il suo humour nero come i suoi riccioli. Nella morte, tendiamo a guardare dall’altra parte fino a che la faccia del defunto entra nel nostro campo visivo… un incontro di sguardi che la morte vince sempre e noi siamo lasciati a pezzi dalla perdita di qualcuno che ci è realmente vicino. Te lo devo, Iris. La sua assenza, l’ho riempita con la musica». «Stringimi forte», Hold me close, appunto, è il grido del ritornello, uno schiaffo in faccia, la dichiarazione innocente, questa sì, di una mancanza. Di una ferita ancora aperta, anche dopo 40 anni. «Dal momento in cui nasciamo iniziamo a dimenticare / la vera ragione per cui siamo venuti / ma tu, sono sicuro che ti ho incontrata molto prima della notte / le stelle si spensero / ci incontreremo ancora…». Per chi volesse approfondire ancora di più la canzone ed il suo testo, consiglio il blog gabrielthefly.

Iris è sicuramente l’episodio di maggior spessore di tutto il lavoro, che in ogni caso non è un album che si può ascoltare stando in superficie. Un paio di annotazioni riguardo Volcano, brano che riporta con vigore ancora una volta agli inizi della band e alla musica che fungeva da esperienza di vita, in una realtà che talvolta non si voleva guardare. Ed infine un’ultima annotazione va spesa per lo scuro, forse un po’ sinistro ma intrigante brano conclusivo The Troubles, peraltro impreziosito dalla voce della ventottenne cantante svedese Lykke Li. Non so per certo se il titolo della canzone si riferisca al nome dato ai conflitti etno-nazionalisti continuati per trent’anni nell’Irlanda del Nord, dalla fine degli anni Sessanta al 1998, con strascichi anche successivi. È vero che di una bomba esplosa a Dublino, Bono parla anche in uno scritto incluso nel booklet del cd. Il testo per la verità sembra più intimo, e musicalmente la canzone si riannoda ad un’altra grande canzone conclusiva di album, come Love is Blindness fu per l’album Achtung Baby, ed anche alle atmosfere di un altro grande pezzo come If You Wear That Dress Tonight.

Concludendo: è un disco degli U2, a tutti gli effetti. Degli U2 come sono adesso, uomini a metà fra i 50 e i 60, popstar miliardarie, ma che pur tali, hanno un vissuto, delle situazioni che vogliono ancora raccontare, dei mondi dove vogliono tornare e far tornare i loro numerosi ascoltatori. Adesso sono così.

U2, Songs of Innocence
Island Records, 2014