La divisa dell'<em>Encuentro Santiago</em>.

«Qui a mostrare la bellezza che c'è nel mondo»

Dall'educazione al lavoro, passando per la Sagrada Família di Gaudí. Tre giorni intensi quelli del primo "Encuentro Santiago", tra incontri, mostre e spettacoli. Per ripartire da quella «pagina piena di storia» che è il Cile
Bolivar Aguayo Ceroni

La città di Santiago con i suoi frenetici 5,5 milioni di abitanti, espressione di modernità e ricchezza, ultimamente comincia a veder vacillare le sue posizioni nella classifica economica. Hanno fatto bene i giovani che hanno promosso Encuentro Santiago a mettere al centro della locandina la figura della Vergine del Cerro San Cristóbal, che protegge la città dall’alto della sua montagna.

Encuentro Santiago, alla sua prima edizione, si è svolto dal 2 al 5 ottobre nel campus Lo Contador della Scuola di Architettura dell’Università Cattolica, uno spazio di dialogo, dove «comunicare gratuitamente quello che si è ricevuto gratuitamente», dicono gli organizzatori.

Ad aprire la manifestazione, la presentazione della mostra Mossi dalla bellezza sulla Sagrada Família: la curatrice Chiara Curti, venuta da Barcellona per l’evento, interessa soprattutto i giovani studenti di Architettura, sorpresi dalla genialità di un Antoni Gaudí famoso quanto poco conosciuto in Sudamerica.
Venerdì sera, viene presentato Perché la Chiesa di don Giussani nella sede centrale della Università Cattolica. Sabato mattina un altro intervento su Gaudí, e questa volta arriva dalla Spagna Diego Giordani.

Da sabato, gli incontri si susseguono uno dopo l’altro, c’è giusto il tempo di mangiare qualcosa, salutare gli amici appena arrivati e correre al prossimo appuntamento, un’offerta molto ricca per soli tre giorni, che si scontra con le nostre abitudini da “fine settimana in famiglia”. Ma, lo avevamo già capito, questa offerta culturale è controcorrente.

In Cile l’istruzione è al centro dell’agenda politica, con una riforma parlamentare alle porte che ha polarizzato l’attenzione del Paese. Che cosa si vuole ottenere? Una società più equa, grazie a una legge che elimini l’iniziativa scolastica privata, impedisca qualsiasi metodo di selezione degli allievi e non permetta ai genitori di contribuire economicamente alle scuole. Il progetto è osteggiato da gran parte dei cittadini. In questo contesto un gruppo di educatori, che aveva già lanciato il manifesto Non lasciamoci rubare l'amore per la scuola, titolo ispirato ad una frase di papa Francesco, sabato alle 18.30 propone il tema: Nella società dell’equità, chi educa?. La sala è gremita, tanta gente rimane in piedi.

Anna Frigerio, dell’Istituto Sacro Cuore di Milano spiega: «Oggi l’educazione è possibile soltanto come comunicazione di un’esperienza, come il dilatarsi della certezza di un legame con un altro, allievo o amico, che per me è significativo». La sua voce calda diventa ferma quando sostiene che per lei è stata una vera rivoluzione scoprire l’educazione come esperienza per sfidare la ragione attraverso tutto quel che succede. Solo il testimone educa.
María Luisa Vial, 83 anni, educatrice , scrittrice e fondatrice di opere educative, interviene: «Come si risveglia un reale interesse nell’altro? Questo è il punto dell’istruzione. Guardare è celebrare ciò che esiste, questo è il vero atteggiamento dell’educatore che imita Dio. Educare è amare un bene difficile, bisogna soffrire per educare. Il segreto dell’educazione consiste nell’amare i docenti con i quali si lavora». In Cile pochi hanno un’autorità che può permettersi di parlare così.
Mariana Aylwin, ex ministro dell’Istruzione, direttrice di una associazione di educatori, ricercatrice, interviene in video; era in viaggio, ma non voleva essere assente: «Al centro dell’educazione ci sono le persone, non le strutture. Questa riforma non ha messo l’accento sui professori, gli allievi e i genitori. Si è voluto delineare un modello di educazione su una pagina bianca, come se il Cile non fosse una pagina piena di storia».

Il cortile dove è allestito il pranzo si riempie, e la gente comincia a occupare la sala per il concerto La gioia del canto e il ballo latinoamericano. Prima i canti e poi i balli folcloristici, e alla fine il pubblico si azzarda a cantare e a ballare. Paula, Cae e Javier affermano: «Perché ci troviamo insieme a cantare, malgrado la fatica del lavoro o le difficoltà di ciascuno? Non vogliamo altro, se non offrire alle persone la bellezza che c’è nel mondo, e che per noi coincide con la musica. È questo che accade attraverso di noi: la bellezza di qualcosa di vero». «La musica» continua Paula, «permette di guardarsi di nuovo e di ri-incontrarsi... di rinnovare l’amicizia». È quello che succede a un gruppo di otto musicisti di età diverse: «La gente che canta si incontra», dicono.
Sono le 23.30 e la scuola di architettura è deserta, ma impregnata del sapore di un’autentica festa.

Domenica, ultimo giorno, alle 9.30 si gioca la finale del torneo di Baby football e a mezzogiorno parte il forum su Lavoro: esperienza dell’io in azione. La gente arriva a poco a poco, riempie la sala. Parecchi rimangono fuori e guardano due grandi imprenditori, uno nel settore dell’energia elettrica, Carl Weber, e l’altro, Juan Francisco Lecaros, nella grande imprenditoria e nel settore no profit, si confrontano con Madre Irene, fondatrice di residenze per malati terminali in Cile, Messico, Spagna e Colombia, tra cui l’Hogar del Buen Samaritano che accoglie 400 malati terminali, sulla domanda: a chi risponde l’uomo sul lavoro? Come si può imparare a lavorare oggi, quando sembra che tutto si sappia già? È domenica e parlano del lavoro, come se avessero scoperto qualcosa di nuovo, come se non vi fosse differenza fra prestare lavoro e avviare un’attività imprenditoriale… La posta in gioco è il rapporto con i lavoratori, è la possibilità che si possa riconoscere il valore di ciascuno, perché la differenza non consiste più nel salario; in un Paese a piena occupazione, la gente può andarsene e se ne va per qualsiasi ragione, non è il denaro che fa la differenza. Che cosa fa la differenza?

«Noi accogliamo tutti i malati che gli altri non vogliono», dice Madre Irene: «Nel malato c’è Cristo, e il sacrificio di assisterlo è un guadagno, si assiste Cristo nel malato e si insegna a lavorare guardando il valore dell’altro. Dov’è la dignità del malato?». Lancia questa provocazione mentre nel Parlamento si muovono con discrezione le pedine per presentare una legge sull’eutanasia; i giornali ancora non ne parlano, ma le inchieste dicono che sono quasi tutti d’accordo.
Un’ovazione accoglie la fine della sua testimonianza, e inaspettatamente, dopo la chiusura del dibattito, la gente le chiede di benedire i presenti. Per un momento il formalismo cileno cede di fronte a una presenza tanto fragile nel fisico quanto imponente nella fede. «Non accettiamo che i malati vengano trattati come merce», conclude Madre Irene «persino il capo della massoneria della città di Molina è stato accompagnato, nei suoi ultimi giorni di vita, nell’Hogar che oggi ospita 400 persone».

Poi il pranzo, la sala è piena, molti rimangono in piedi e fuori dal locale. Si mangia all’aria aperta, finalmente sta arrivando la primavera, mentre un gruppo musicale rende omaggio a Chieffo. Sono gli ultimi momenti, verso le 17 la gente comincia ad andarsene. I volontari iniziano a smontare e trasportare mobili e strumenti, pensando già a come sarà il prossimo Encuentro Santiago.