Papa Francesco a Central Park, New York.

Così l'America si è guardata allo specchio

Dalla visita al Congresso al Palazzo di Vetro, dai selfie coi ragazzi di Harlem a Ground Zero. Un uomo di speranza, giunto a «svegliare le coscienze». Ma quali novità ha portato il viaggio di Francesco? Il racconto di chi l'ha vissuto in prima persona
Holly Peterson

«Vi ringrazio per il lavoro che farete nell’aiutarmi a diffondere la mia missione di pace», così aveva detto il Papa ai giornalisti lasciando Roma per il suo viaggio a Cuba e negli Stati Uniti. Padre Lombardi, portavoce vaticano, ha ripetuto queste parole ai giornalisti la prima sera dopo l’arrivo del Papa a Washington, sottolineando che i due discorsi più importanti di papa Francesco - quello al Congresso e quello alle Nazioni Unite - sarebbero stati i punti fondamentali del suo messaggio di pace. Delle molte, incredibili impressioni di questi giorni passati a seguire papa Francesco, ne metto "in primo piano" tre.

In primo luogo, papa Francesco ha uno straordinario dono per i rapporti. Padre Lombardi lo ha definito il «carisma personale di Francesco». Osservandolo sul prato della Casa Bianca, alla messa per la canonizzazione di Junípero Serra, al Congresso, alla mensa di St. Mary delle Catholic Charities, nei gesti con i bambini, nella tenerezza verso i malati, nelle risate (e i selfie) con i ragazzi ad Harlem, a Ground Zero con i familiari delle vittime e i sopravvissuti, siamo stati testimoni di questo: un sorriso che attrae. Veramente il rapporto con le persone è il suo carisma, il suo metodo per portare la pace. Quando incontra un leader politico, incontra una persona, non ha un programma da comunicare. Allo stesso modo, chi incontra lui incontra una persona. "Incontro" è stata una delle parole più usate dal Papa in questi giorni ed è anche qualcosa che è accaduto. Ecco "l’effetto Francesco", ecco il suo "progetto di pace": un fiorire di rapporti.

Seconda impressione: papa Francesco in questi giorni ha accompagnato gli Stati Uniti a guardarsi allo specchio. È una bella cosa, specialmente quando sei certo che chi ti sta dicendo come stanno le cose, ti ama. Ovunque sia andato, Francesco ha messo in evidenza la grande storia di libertà, carità, accoglienza, tolleranza e integrazione della nostra nazione. Inoltre, ha indicato gli ambiti che richiedono una seria attenzione da parte nostra. Nel suo discorso al Congresso ha detto che la «tentazione da cui dobbiamo guardarci è il semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, se preferite, giusti e peccatori». Purtroppo, viviamo in un periodo segnato da un'estrema polarizzazione, sia sul piano politico che su quello religioso, e questo commento ha raccolto pochissimi applausi dal pubblico. Il Santo Padre ci ha anche ricordato che «è importante che la voce della fede continui a essere ascoltata»; che dobbiamo rifiutare «una mentalità di ostilità verso i nostri vicini», specialmente quelli provenienti dal Sud del mondo (e qui, grandi applausi, almeno da metà dell’assemblea); e ha proseguito su questa linea al Ground Zero Memorial: quelli che incontriamo «hanno sempre un volto, un nome, una storia concreta». In questa occasione ha poi posto la domanda centrale: «Perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società?».

Terzo: Francesco è un uomo di speranza (che è ciò che uno si potrebbe aspettare, eppure è sempre una sorpresa scoprirlo). Ancora nel discorso al Congresso, citando dall’enciclica Laudato si', ha sottolineato che in America «abbiamo la libertà necessaria per limitare e orientare la tecnologia» e ha incoraggiato gli Stati Uniti a trarre vantaggio da questa libertà per creare una società «più sana, più umana, più sociale e più integrale». È come se avesse detto: «Conto su di voi ragazzi!». E infine, ha dichiarato: «I nostri sforzi devono puntare a restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni, e così promuovere il benessere degli individui e dei popoli»; affermazione seguita da un commento che ha suscitato forse il più grande applauso da parte dell’intero Congresso: «Sono certo che lo possiamo fare». Poche ore più tardi, nella parrocchia di St. Patrick a Capitol Hill, prima di pranzare con i poveri e i senzatetto, ha ringraziato per il fatto che anche a lui capita di essere "inguaiato", confuso; in quelle occasioni ricorre a san Giuseppe, la cui fede «ci apre alla presenza silenziosa di Dio in ogni vita, in ogni persona, in ogni situazione».

Il Presidente Obama ha detto bene accogliendo papa Francesco al suo arrivo: «Lei scuote le nostre coscienze assopite!». Quest’uomo, che ha viaggiato in cinque diversi Stati del continente americano in pochi mesi, e il cui papato è ricco di "prime volte" (il primo papa sudamericano, il primo a parlare al Congresso, il primo a twittare un’enciclica, e l’elenco potrebbe continuare…) ci ha "chiamato a raccolta", ci ha incoraggiato per ciò che facciamo bene, ma ci ha chiesto di farlo meglio e ci ha esortato ad andare oltre noi stessi, i nostri pensieri e i nostri progetti. La missione di pace di papa Francesco, che si è svolta sotto i nostri occhi, ha riecheggiato il motto dell’ultimo santo americano da lui canonizzato, Junípero Serra: siempre adelante!