Le manifestazioni dei brasiliani in piazza.

Il rinnovamento riparte dall’io

Il Senato sta per votare l'impeachment di Dilma Rousseff. Il Paese è alle strette tra corruzione e l'economia al collasso. Ma nella politica «in gioco c'è qualcosa di più grande». Il contributo di Marco Montrasi, responsabile di CL (da "Zenit.org")
Marco Montrasi*

Partendo dalla rilettura del libro L’io, il potere, le opere (L. Giussani, Marietti 1820, Genova 2000) e dalla mia esperienza personale, mi vedo molto provocato, come tutti, dal momento che viviamo in Brasile. Ho vissuto in Italia un momento simile, quando ci fu l’operazione “Mani pulite”, e adesso vivo qui una situazione differente, ma della stessa natura.

In primo luogo, possiamo vedere che questo problema della crisi economica e politica legata a fenomeni di corruzione si manifesta come una bolla che scoppia in alcuni momenti, in situazioni diverse, in differenti luoghi del mondo, però si tratta del medesimo fenomeno. Il fenomeno della corruzione accade in tutti i luoghi e in tutti gli ambienti dove persone hanno a che fare con il potere, di qualunque tipo esso sia. Ma se guardiamo un poco più a fondo, possiamo dire che quello che è in gioco è più di una crisi locale economica o politica. La cosa che possiamo osservare in tutti gli ambiti della nostra società è una crisi di umanità.

Ciò che è in gioco è l’umano. Vediamo che questo fenomeno della corruzione è come se fosse la punta o un aspetto di un fenomeno che riguarda l’umano, l’uomo. Ma l’umanità non è una realtà astratta. L’umanità sono io. Il primo a essere coinvolto, essendo in qualche modo legato agli altri uomini (politici o no), sono io. Io, essendo uomo di questa umanità in crisi, faccio parte, entro nella definizione di questo fenomeno.

La parola corruzione indica qualcosa che si è corrotto, che prima era unito, buono, giusto. Perché succede questo? Perché succede che una cosa che è unita, una cosa che è buona, un impeto che è umano, che è buono, si corrompe? Se osserviamo bene, ci accorgeremo di una tendenza a corrompersi di ciò che abbiamo di più unito. E questo è dentro tutto. È come se la morte, che in fondo aspetta tutti, mettesse semi già dentro la vita. In questo possiamo sperimentare il “corrompersi”. Per esempio, quando nasce un amore e due giovani decidono di sposarsi, niente sembra turbare quell’impeto positivo di stare uniti per sempre, ma, col passare del tempo, quell’impeto decade, rimane oggetto di una forza che tenta di corrompere, tenta di separare, tenta di togliere ciò che è buono, che è bello, quella bellezza di prima, dell’inizio. Qualunque cosa - la vita, la natura - col tempo mostra una tendenza alla corruzione.

Qual è la cosa più intima che abbiamo? Qual è la cosa più profonda e più mia che io ho, e che è soggetta anch’essa a tale fenomeno? È la prima parola che appare nel libro: l’“io”. L’io è la cosa più importante che abbiamo, e senza la coscienza di cosa sia il mio io stiamo soltanto trascorrendo il tempo. Per cominciare a godere il tempo, a vivere il tempo, è necessario che accada qualcosa che mi faccia rendere conto di chi sono, di cosa è questo mio io. Io non sono soltanto questo mio corpo, un insieme di cellule, che respira, dorme, cammina. Avvengono certi momenti nella vita nei quali comincio a rendermi conto di cosa sono, della grandezza che ho dentro, di cosa porto con me. La nascita dell’io avviene quando, per qualche fatto, mi rendo conto che io esisto, che vibra in me qualcosa di infinito. Per esempio, di nuovo, quando nasce una passione: quella prima esperienza di innamorarsi fa vibrare in te qualcosa della quale prima tu nemmeno ti accorgevi. Tu vivi e avviene qualcosa che ti fa tornare a casa contento e felice. Saluti tua mamma come non avevi mai fatto e lei si spaventa: «Che ti è successo oggi?». È questa esperienza che genera dopo il desiderio di rincontrare quel volto, di rifare quell’esperienza, di rincontrare quelle realtà che hanno cominciato a farti vibrare. Qualunque esperienza di fascino è cercata nuovamente perché ti ha fatto scoprire questa cosa unica che è l’io.

Allora, l’io è la cosa primordiale, la cosa più bella che abbiamo, è ciò che maggiormente ci dà il gusto della vita. Ma cosa lo determina, cioè, cosa dà forma a questo io? Qual è la consistenza dell’io? «È quell’elemento dinamico che comincia ad esprimersi per mezzo di domande, di esigenze fondamentali. In poche parole, io chiamo senso religioso questo elemento dinamico che per mezzo delle domande fondamentali guida l’espressione personale e sociale dell’uomo. La forma dell’unità dell’uomo è il senso religioso. E questo fattore, questo ‘io’, comincia ad esprimersi in domande ultime» (L. Giussani, L’io, il potere, le opere, p. 161). Che senso ha la mia vita? Verso dove andiamo? Che senso ha discutere di queste cose se da qui a cinquanta, sessant’anni chissà cosa sarà di noi? Cosa sarà dei miei figli? Cosa sarà dei miei progetti? Queste domande ultime, che generalmente allontaniamo da noi, nascono in radice da questa necessità, dalla necessità di un infinito che vibra in noi. Questa è la costituzione ultima del mio io. È ciò che fa vibrare, è ciò che rende unito quello che prima noi percepivamo come separato, o quasi nemmeno percepivamo.

È unicamente a causa di questa esperienza che nasce un valore. Il senso religioso, queste domande, queste esigenze ultime che mi definiscono, che definiscono ogni uomo, è come se si unissero dando origine ai valori. È da questa coscienza della consistenza ultima di me che nasce il dar valore alle cose. Quando mi rendo conto del mio io, di questa cosa profonda, intima, che vibra in me, che mi fa vivere e muovermi, e mi fa vibrare, è come se cominciasse anche a nascere il valore delle cose e comincio anche a dar valore alle cose (il valore della persona, dell’amore, della mia vita, dell’altro). È quando un valore diventa astratto che comincio a trattare tutto come una cosa qualunque. Questo accade quando perdo la coscienza del mio io, poiché senza accorgermi di queste domande ultime che mi costituiscono tutto diventa relativo. La corruzione che vediamo da tutte le parti comincia con una corruzione del mio io, da questa perdita di coscienza di ciò che siamo. Quando perdiamo questo, perdiamo la coscienza del valore delle cose, e così le cose che sono unite si separano, si dissolvono, ed è facile trattare tutto come se fosse niente. Giustamente parliamo scandalizzati del politico corrotto che ruba milioni, ma questo è solo un piccolo riflesso di qualcosa che ha origine in questa corruzione dell’io. Pertanto questo non è solo un problema degli altri, tutti noi quando perdiamo questo senso dell’io, questa possibilità della sua scoperta continua perdiamo il valore delle cose.

La prima responsabilità che abbiamo è quella di una educazione: scoprire cosa è questo io, riscoprire queste domande ultime e aiutarci a recuperare tutto questo. Poiché dare inizio sempre a questo processo, che non è ovvio, è come mettere insieme i frammenti di un uomo dilaniato che può così cominciare a dare valore alle cose: a una bottiglia, a un libro, fino alla forma di trattare il denaro e la cosa pubblica. Questa è la crisi profonda della quale vediamo le conseguenze. Da dove viene questa debolezza? Fin dall’istante in cui ci svegliamo la mattina, è come se fossimo soggetti a radiazioni invisibili che tentano di toglierci la potenza della coscienza del nostro io. Da quando mi sveglio la mattina, metto i piedi in terra e comincio ad uscire di casa, tutto è come uno tsunami invisibile, come un «effetto Chernobyl», sono radiazioni che tentano di corrompermi senza che io me ne accorga. Questa è la forza della mentalità comune, la forza del potere. Il potere è questa forza invisibile che tenta e continua con una energia assurda a indebolire questo io. E noi crediamo che vada tutto bene e non ci prepariamo per vivere e combattere tale forza, che è peggio di avere la minaccia di un fucile puntato davanti a noi. Perché se mi è tolta la coscienza dell’io, tutto perde il suo senso. Io perdo tutto.

Se noi siamo dentro questa situazione nella quale esiste il mio io che è questa forza e questa bellezza, questa cosa che ciascuno possiede, ma siamo dentro anche a questo flusso negativo del potere, allora, a che cosa siamo destinati? Don Giussani dice una cosa grandiosa: «L’uomo non è definitivamente sconfitto: “Non parliamo del potere perché ne abbiamo paura, parliamo del potere perché dobbiamo svegliarci dal sonno”» (Giussani apud J. Carròn, La bellezza disarmata, Rizzoli, Milano 2015). La forza del potere non risiede nel potere, la forza che il potere ha è la nostra impotenza, il nostro dormire, che con il tempo non percepiamo più, e non ci aiutiamo più, la società non si aiuta più, ognuno diventa sordo e lascia che questa forza lo trascini, senza rendersi conto. La forza del potere è la nostra impotenza. Noi non dibbuamo aver paura del potere, ma delle persone che dormono, del nostro sonno. Prosegue don Giussani: «Dico che il potere addormenta tutti, il più possibile. Il suo grande sistema, il suo grande metodo è fare addormentare, anestetizzare o meglio ancora, atrofizzare. Atrofizzare cosa? Atrofizzare il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri, imporre un’immagine di desiderio o di esigenza differente da quell’impeto senza fine che ha il cuore. E così crescono persone limitate, definite, prigioniere, già mezzo cadaveri, cioè impotenti» (ibidem). Allora, il Potere ha potere soltanto se c’è la nostra impotenza.

Papa Francesco ha detto durante l’omelia del primo gennaio, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, citando san Paolo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna». E il Papa si domandava come può essere che nell’Impero Romano, con tutta quella confusione che accadeva, con il popolo giudeo che era praticamente schiavo, con leggi che erano leggi pagane, san Paolo dicesse «la pienezza del tempo»? Ma che pienezza era quella? O è pazzo chi ha detto questo, o qui, dice il Papa, intende un’altra cosa. La pienezza del tempo fu il momento nel quale venne Cristo. Chi diede pienezza al tempo fu la presenza di Cristo. Allora non c’era nessuna condizione che fosse contro l’uomo, perché a dare la pienezza non erano le circostanze. Anche in quell’epoca che era peggiore della nostra. E noi pure dobbiamo stare attenti perché possiamo trascinarci nel pessimismo, nel credere che nulla più è possibile, una mancanza di speranza, mentre esistono uomini (questa è la forza della Chiesa) che ci mostrano come anche questa sia una «pienezza di tempo». Adesso, in questo momento confuso, siamo pure in questa «pienezza del tempo». E il Papa dice: «Un fiume di miseria, alimentato dal peccato, sembra contraddire la pienezza del tempo realizzata da Cristo». Come è possibile allora? «Questo fiume in piena non può nulla contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo». E io mi domando: ma quest’uomo vede ciò che noi vediamo? O ha ragione o è pazzo. E ciascuno di noi può verificare la cosa, se sia un pazzo o se abbia ragione, da come vive e da quello che ci mostra tutti i giorni. Per esempio, vedendolo in azione, quello che fa, che un giorno va ad incontrare i mendicanti a Roma, e un altro Raùl Castro, a Cuba. Perché? Perché ha la coscienza di immergersi dentro un oceano di misericordia che dà consistenza all’io, che lo fa nascere di nuovo, continuamente, e che vince la forza del potere. Questa è la nostra speranza, questa è la possibilità che il potere non vinca. Il potere non mi vince quando avviene un’esperienza così, di incontrare uomini che vivono così, è come se il mio io tornasse ad avere quell’unità. E i valori tornano, la possibilità di vivere in una forma più giusta torna. È possibile fare questa esperienza, anche dentro la confusione e il caos, dentro il momento che sembra terribile.

Allora, la potenza della misericordia, la possibilità di un popolo nuovo viene da un io che rinasce, e vince in mezzo a noi attraverso la testimonianza di uomini. Accade che io riscopro di nuovo questo mio io che vibra, che vive, che desidera, e che comincia a dar valore alle cose, e comincia a desiderare di vivere in modo differente. È in questo contagio che possiamo mutare la società, perfino la politica. Perché la politica è una maniera di servire, non di occupare spazi di potere. La politica è un servizio. Come è possibile parlare di questo ora? Sembra tanto assurdo. La politica come servizio nasce se io ho coscienza di cosa sia l’uomo, se ho compassione per lui. E come ho compassione per l’uomo? Se il mio io vibra, se ho commozione per il mio io: solo questo dà un valore nuovo alla vita. Come il mio io riaccade? Dentro un incontro umano, che mi dà speranza e mostra una possibilità nuova. Che questo tempo sia la pienezza dei tempi è possibile per questa misericordia, un oceano di misericordia. Solo così, dentro un incontro, l’io torna ad avere la coscienza di questa aspirazione infinita e delle domande infinite.

Questo momento tanto difficile può essere un momento di riscoperta, di rifondazione, a partire da un io, da vari io nuovi, che si riscoprono vivi, desiderosi, e che non hanno paura di entrare fino in fondo in un rapporto, in un lavoro, in un processo nuovo. Non sarà semplice, ma dentro ciò che abbiamo visto, anche nella politica può avvenire un contagio di desiderare di dire io in questo modo. Il contagio avviene se il virus comincia in qualcuno; comincia da uno, ma se riaccade in me questa coscienza, allora c’è la speranza per il mondo intero.

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*responsabile nazionale del Movimento Comunione e Liberazione