La presentazione di <em>Si può vivere così?</em> a Yurimaguas.

PERÙ Si può vivere così, anche nel cuore dell'Amazzonia

Cronache da Yurimaguas, foresta amazzonica. Dove 15 anni fa sbarcò un prof italiano per fare lezione a un gruppo di ragazzi. E oggi vive una comunità
Michele Faldi

È stata la stessa cosa, è successa la stessa cosa. Non come in passato, ma quello che è successo una volta. Quasi duemila anni fa in alcune città del Medio Oriente e della Grecia, a Filippi, in Licia, a Tessalonica o a Corinto, il protagonista fu Paolo; viaggi, incontri, parole scambiate, rapporti nati: comunità che nascevano. Nel 1993 a Yurimaguas, nel cuore della regione amazzonica peruviana, il protagonista è stato Dado Peluso.
Docente in un’università a Lima da pochi mesi, viene a sapere che in mezzo alla selva ad est delle Ande c’è un piccolo ateneo con una facoltà di Educazione; organizza il viaggio e ci va, d’accordo col Rettore e il Vescovo locale, per tenere alcune lezioni ai ragazzi. Due o tre giorni di soggiorno, una serie di interventi sul senso religioso e sulla bellezza del cristianesimo; accenni ed esempi, certamente, non discorsi teologici troppo approfonditi. Del resto i ragazzi che vivono lungo il Rio Huallaga, che va a formare il Rio delle Amazzoni, non ci sono abituati. Ma è sufficiente. L’insegnante che arriva dalla capitale e parla ancora poco (è un eufemismo) lo spagnolo si fa ascoltare, e in due o tre restano affascinati da un docente che non sembra un docente, più interessato a loro che al caldo e all’umidità del luogo (ancora oggi si ricordano che aveva la giacca e la cravatta) e protagonista di quello che dice e spiega. Il breve soggiorno finisce, ma hanno già deciso che si rivedranno a breve. E, infatti, Dado ritorna; ogni volta che lo fa, il rapporto si approfondisce e per i ragazzi comincia ad essere familiare anche questo don Giussani di cui lui parla e di cui iniziano a leggere i testi.
Yurimaguas è il tipico assembramento urbano nato sulle sponde del grande fiume per fungere da porto di passaggio sulla grande via dall’Atlantico alle Ande. Temperatura costantemente sopra i 30 gradi e umidità mai sotto l’80%, il sole sorge alle 6 - ed già implacabile - e tramonta alle 6, tutti i giorni di tutto l’anno: sempre uguale e senza cambiamenti. I cambiamenti che accadono sono altri. Sono passati quindici anni dal primo viaggio di Dado a Yurimaguas e qui ancora ci sono i primi ragazzi che ha incontrato: Carla, che ora è direttore generale della Caritas diocesana, ed Elmer, che insegna in una scuola elementare a sei ore di canoa sul fiume e che da giovane, per mantenersi agli studi, aiutava a coltivare la coca. Nel frattempo, però, se ne sono aggiunti altri: ci sono Rosa, segretaria della parrocchia di Nostra Signora della Neve (sembra uno scherzo, ma è così); c’è la moglie di Elmer, Nuria, che aiuta nel ristorante di famiglia; c’è Rocio, che insegna in una zona rurale a otto ore di canoa da Yurimaguas; c’è Nixon, che fa il maestro e il conduttore di mototaxi (il mestiere più utile a Yurimaguas, perché è l’unico modo di prendere un po’ d’aria fresca); ci sono Aladino, che ha una piccola fattoria dove alleva serpenti per venderli, e sua moglie Vivian. Sono la comunità locale di Cl, l’esito inaspettato e sorprendente di quanto cominciato 15 anni fa. In una situazione certamente non agevole, danno continuità a quello che un altro ha cominciato.
Bisogna vedere cosa sia questa cittadina, questo avamposto di (una qualche) civiltà in mezzo alla selva: gli spostamenti si calcolano in ore sulle piste che la collegano ai villaggi più vicini o in giorni di navigazione lungo il fiume che, sebbene ancora agli inizi del suo corso, è già largo quasi un chilometro. Tutto sembra un grande mercato per i prodotti che da qui partono per raggiungere il Brasile o le Ande. Ad un certo punto dei suoi viaggi Paolo arrivò a Roma e probabilmente la prima cosa che vide fu il porto; anche qui ce n’è uno, probabilmente funzionante come quello di Ostia antica: merci, frutta, animali, persone, elettrodomestici, scaricatori carichi come schiavi, mercanti, donne di malaffare. A poche centinaia di metri la parrocchia dove Rosa e Carla lavorano: su richiesta del Vescovo, curano le disponibilità della Chiesa verso i più bisognosi, verso i più poveri dei poveri. Il fulcro della vita della comunità, come in tutto il mondo è la Scuola di comunità, il lavoro sistematico sulle parole di don Giussani che, come per miracolo, anche fino a qui sono arrivate e hanno trovato fertile terreno.
In parte per festeggiare il quindicesimo anniversario della presenza del movimento, in parte per dire a tutti chi sono, hanno deciso di fare una presentazione pubblica del libro su cui si ritrovano ogni settimana. E così, lo scorso 7 novembre, sono arrivate un centinaio di persone nell’auditorium del Palazzo Municipale - l’unico edificio, con la Cattedrale, che dimostri una certa storia e una certa solidità -, per assistere alla presentazione di quel libro strano, che racconta di un approccio strano al cristianesimo, Si può vivere così?. Carla racconta del suo lavoro, Elmer dei suoi figli, dell’insegnamento che svolge con i bambini in mezzo alla foresta, della normalità della vita di tutti i giorni. Apparentemente niente di straordinario. In realtà lo straordinario è che qui, dove spesso niente ha senso, quello che raccontano porta un senso, porta un significato: che è possibile vivere così come descrive don Giussani nel libro all’altezza dell’Equatore.
Non c’erano ancora i libri ai tempi di Paolo in Medio Oriente e Grecia, c’erano solo persone. Anche oggi ci sono. Non come duemila anni fa, ma lo stesso fatto di duemila anni fa.