Londra di sera.

«Voi siete l'avamposto»

L'incontro di don Julián Carrón con le comunità di CL del Nord Europa. Qui la vita diventa sempre più difficile e complicata. Ma proprio per questo «un gesto davvero umano» è più facile da riconoscere
Gianluca Marcato

Negli ultimi anni, le comunità di CL nei Paesi del Nord Europa di lingua inglese sono cresciute. Quest’anno ci siamo ritrovati vicino a Londra in cinquecento (di cui novanta bambini!) con don Julián Carrón, dopo settimane di intense attesa nel fine settimana tra il 9 e l'11 gennaio.

Il titolo dato a questi due giorni di convivenza - “Il cammino al vero è un’esperienza” - era conosciuto: si trattava dell’ottavo anno consecutivo, eppure c’era un movimento strano di popolo che incuriosiva molto. L’arrivo, il venerdì sera, da Regno Unito, Irlanda, Olanda, Lussemburgo, Svezia e Norvegia confermava questa impressione, con saluti ed abbracci che mostravano un desiderio grande. Per alcuni la strada era stata lunga, come chi ha preso aereo e mezzi di vario tipo o chi, determinato a venire anche con i figli e visti i costi dei trasporti Gran Bretagna, ha deciso di partire in macchina da Edimburgo facendo 10 ore di viaggio.

La sfida è lanciata subito, durante la messa che apre il gesto: «Che cosa conquista il mondo?». Che cosa vince la confusione? Che cosa ci rende certi di fronte agli atti terroristici di questi giorni, alla crisi economica, alle sfide di tutti i giorni, al lavoro, in famiglia, con gli amici? «Cristo è la risposta», ma questo può rimanere un nome o diventare un’esperienza. Sono Cristo e la Sua proposta sufficientemente potenti per affrontare qualsiasi situazione? Possiamo dire che la Sua testimonianza è vera e vince contro ogni cosa? «Chiunque ha il Figlio, ha la vita». Questa è la promessa. Tu hai la vita? Siamo vivi? La nostra vita è intensa, interessante?

Non si può non pensare a Stephen, che Carrón aveva conosciuto poco prima a cena. Ragazzo di 13 anni, operato di tumore tre anni fa, recentemente era stato invitato ad un incontro per i presidi delle scuole della sua provincia. Davanti a duecento persone ha raccontato la sua esperienza per dire a tutti che è possibile affrontare questa malattia grazie alla famiglia e alla preghiera e che lui innanzitutto non è malato, ma un bambino con sogni e desideri e da tale vuole vivere. Così, alla fine dell’incontro, una preside di cinquant’anni gli si avvicina e, in venti minuti di dialogo serrato, finalmente, trova qualcuno (un ragazzo di 13 anni!) con cui per la prima volta può guardare alla perdita della sorella a causa del tumore.

È questa la testimonianza che Cristo fa nella nostra vita. Ci cambia dal di dentro, manifestandosi con un’umanità eccezionale. È accaduto a Francesca che, dopo il tentativo di una scuola di cucina e un’ora di attività fisica settimanale, ha inziato - su richiesta di un’amica - a ritrovarsi con un gruppo di alcune mamme per leggere la Bibbia e paragonarla alla vita. Un giorno si è sentita dire: «Mi piace come tu parli della Bibbia, perché si vede che sei saggia». Non è un problema di forme. Questa diversità umana è percepibile distintamente. Come è accaduto a Fabiano che, trascorrendo due mesi in Texas per lavoro, si è sentito dire da una collega: «Io non ho mai visto nulla di tutto ciò». È la sorpresa di un’umanità al di fuori dal comune, che vive la stessa vita ma diversa, che ha un modo di essere se stesso inimmaginabile prima. È la stessa sorpresa presente nei Vangeli ed essa sorprende noi stessi quando ce lo sentiamo dire.

Inizia così l’assemblea, il sabato mattina. E quando uno sente questa febbre di vita in sé, non ha più paura di nulla, neanche del suo desiderio. È questo che a volte ci blocca, come ci ha aiutato a capire Jack: «Quando abbiamo scoperto che il bambino nel grembo di Giulia era morto, abbiamo sentito un dolore immenso. E sentirci dire: “Ora potete pregare il vostro bambino” ci sembrava astratto. Dopo l’operazione per la rimozione del feto, guardando a Giulia e al suo volto sofferente, il mio bambino è diventato presenza a me. Ora posso veramente rivolgermi a lui (si chiama Christopher) chiedendo tutto». Se è una Presenza così reale, uno allora può anche lasciare il proprio lavoro (in un periodo di crisi) per spostarsi e seguire la moglie che inizia un dottorato all’università di Southampton. Carrón incalza: «Qual è il valore della memoria in questa esperienza?». Risposta immediata: «Affrontando le circostanze, non sono mai solo. La memoria è essere in dialogo con Qualcuno che ti rende libero».

I due tratti della vita intensa: libertà e felicità. Come ci ricordava Stefano: «Spesso ci accade di essere ricattati dall’idea che dobbiamo meritarci di essere amati ed accettati. Mentre entrare nella giornata vivendo il desiderio di incontrare Colui che non ci abbandona mai già mi cambia, perché non sono più solo e così affronto il lavoro, i colleghi a partire da una pienezza. E sono felice». E questo si vede: tre colleghi sono andati separatamente dal manager per chiedere che gli venisse rinnovato il contratto in scadenza.

In questa esperienza di pienezza, uno è allora anche disposto a cambiare l’impostazione delle proprie lezioni universitarie, come Veronica a Copenaghen:«Io ho un corso difficile e la valutazione degli studenti non era buona. Così, avevo pensato di rendere il corso facile per migliorare la valutazione. Andando alla Giornata di inzio anno, però, ho capito che sbagliavo metodo, perché innazitutto dovevo suscitare la domanda negli studenti. Non potevo darla per scontata. Così ho ristrutturato il corso a partire da questa intuizione».
Ma questo è esattamente lo stesso metodo che Cristo usa con me, risvegliando il mio desiderio continuamente e mostrandomi una pazienza che non ha limiti. La questione è: ma io sono paziente con Lui? Io sono disposto ad attendere che Lui mi riveli cosa desidero veramente? Questa sfida è ancor più messa alla prova quando di mezzo ci sono i figli, come raccontava un’amica irlandese. «Quando una delle nostre figlie faceva cose che noi genitori non approvavamo. La prima reazione è stata la paura, come se ciò che stavamo vivendo non avesse nulla da dire a questa situazione. Subito, però, questa paura è cessata, grazie al lavoro che stavamo facendo su noi stessi. Il proibire non bastava e, quindi, abbiamo iniziato a provocarla chiedendole (e chiedendo a noi stessi): tu cosa desideri? Questo lavoro ha portato dei frutti. Innanzitutto, abbiamo iniziato un vero rapporto con lei e, poi, abbiamo scoperto che questa nuova situazione era per noi genitori. Ed il cammino, che è sempre stato un mio tentativo, ora è diventato un coinvolgersi con la realtà. In questo, la fede, invece di essere un altro peso da aggiungere al dramma della vita, è diventata l’unica possibilità per me di ripartire sempre».

Il problema non è sbagliare. Ma ripartire sempre: essere in cammino. Come lo è stata Gisele in questi anni. Da una grande disobbedienza ha capito il valore dell’obbedienza, come il figliol prodigo. Infatti, dopo aver divorziato ed avendo avuto un figlio con l’attuale marito (sposato civilmente), è rimasta sempre attaccata a questa compagnia. «Ma all’inizio volevo starci facendo ciò che volevo. Poi, andando a messa la domenica con mio figlio e in un dialogo con padre Christopher (morto due anni fa), ho scoperto che mi mancava il Suo corpo e il Suo sangue. Non potevo fare la Comunione per la mia situazione e padre Christopher mi aveva chiesto: “Ma tu non vuoi condividere fino in fondo la vita di tuo figlio, accompagnandolo nella preparazione alla prima Comunione?”. E così ho iniziato un cammino che mi ha portato a chiedere l’annullamento del primo matrimonio (poi ottenuto) ed ora a desiderare di sposare mio marito in Chiesa. Ora mi sento veramente in comunione». È esattamente la stessa appartenenza sperimentata da Richard, nella preparazione della mostra sulla crisi per lo scorso London Encounter: «All’inizio, la mia percezione di religione era: non posso vivere con essa e non posso vivere senza di essa. Lavorando con un gruppetto di persone sulla mostra ho scoperto molte cose sulla crisi, ma soprattutto la bellezza di questa comunione vissuta».

Un dato colpisce tutti e per primo Carrón: non un solo intervento con dentro il lamento. Questo è il segno di un popolo in cammino. E allora la sfida finale: «In questo ambiente, voi siete l’avamposto del movimento. Voi siete il primo punto della battaglia in questo mondo. Quindi la verfica di ciò che vivete è cruciale per tutto il movimento. Questo e’ il trend della storia e voi siete chiamati a vivere il cristianesimo in questo contesto, semplicemente testimoniando come Cristo ha cambiato la vostra vita. La testimonianza sarà sempre più semplice, perché sarà sempre più facile riconoscere un gesto umano differente in mezzo ad una società sempre più distratta».
Viene proprio voglia di vederLo accadere, sempre più, nell’esperienza.