La presentazione di "Luigi Giussani. Su vida" a Lima.

«Accadrà anche a Lima?»

La presentazione di "Luigi Giussani. Su vida" nella città sudamericana. Relatori dell'evento il senatore Miguel Cruchaga, l'oncologo Gòmez Moreno e Alberto Savorana. Un dialogo intenso e la riscoperta che «la bellezza è una Presenza, ora».
Silvia Neciosup, Vanessa Montañes e Alfonso Ranninger

Sono le sette del 23 maggio, si è fatto tardi. Nel pieno dell’intenso traffico quotidiano di Lima, arriviamo all’auditorium di Petroperú, la principale compagnia petrolifera del Paese. Tutto è pronto per la presentazione di Luigi Giussani: Su Vida. Quattrocento persone sono in attesa dell’inizio dell’incontro. Si fa silenzio. Il coro della Università Sedes Sapientiae esegue la prima opera polifonica quechua del Nuovo Mondo: Hanacpachap cussicuinin («Gioia del Cielo! Madre di Dio, fammi conoscere il posto pronto per me nel Regno dei Cieli!»). E poi Povera Voce.

L’incontro inizia. Alle spalle ci sono i giorni frenetici per la preparazione. Abbiamo visto cosa abbiamo di più caro. È un regalo vedere gli amici che corrono: Silvia che si dà da fare per costruire questo momento, Lucho con la sua prudenza e la sua passione, Dani che organizza il volantinaggio, Igor che si impegna per il canto perché vuole dare in questo il suo contributo, gli amici che chiedono gli strumenti per fare pubblicità. Una quantità di piccole iniziative, cene, pranzi, colazioni in cui la conversazione era sempre intorno a questo evento. Un'amica, da poco in attesa di un bambino, va a volantinare a scuola, con una amica alle fermate dell’autobus, all’uscita della messa, distribuisce tutti i volantini e vende persino qualche libro! I volantini sono lì, sulla mia scrivania in ufficio, con qualche timore, ma con il desiderio di invitare i miei colleghi con cui sono più in amicizia dicendo loro che si tratta di un momento molto importante per me in prima persona. Un popolo in cammino.

Alberto Savorana, l’autore del libro, ci racconta, durante la cena del giorno prima, la lunga serie di incontri con persone di ogni tipo che si sono succeduti nell’ultimo anno, in occasione delle decine di presentazioni che ha tenuto in tutto il mondo e in particolare in Italia. Persone che leggevano per la prima volta don Giussani e che sono rimaste attratte, affascinate, interpellate, toccate, commosse dalla vita di quest’uomo. Ci guardiamo l’un l’altro e ci domandiamo com’è possibile che la vita di un uomo che è morto undici anni fa continui ad agire così nel presente? Accadrà anche a Lima quello che Alberto racconta di altri luoghi?

Il primo intervento è stato quello del senatore Miguel Cruchaga, architetto, decano della facoltà di Architettura della UPC (Università Peruviana di Scienze Applicate), un uomo che ha avuto una lunga e brillante carriera professionale come direttore di pubblicazioni tecniche, architetto e docente. Dopo aver descritto il contesto storico della vita di don Giussani, racconta, attraverso la lettura di alcuni passi del libro, come è passato dallo stupore al piacere sino ad arrivare a un fascino per la vita e l’opera di don Giussani. Nel momento culminante del suo intervento racconta di come don Giussani risponde alla domanda: da dove vengo? Chi sono? E dice: «lasciate che legga questa bellissima risposta, una delle cose più potenti che ho letto: "Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo […] sentimento che avreste? […] Io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una 'presenza'. Dall’essere, da una presenza che trovo, che mi si impone. L’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me. […] Io sono tu che mi fai"». Era commovente e sorprendente ascoltare un estraneo, uno che legge per la prima volta don Giussani, identificare come la cosa più importante trovata nel libro e leggere con voce vibrante il capitolo decimo del Senso religioso. «Probabilmente», diceva don Giussani «è il testo più importante che ho scritto». Cruchaga ha concluso sottolineando come sia rimasto profondamente attratto dall’ispirazione di un personaggio straordinario, riconfortato dall’intensità quasi magnetica che il testo trasmette, ed edificato dal torrente di grazia, saggezza e bene che fluisce dalle pagine del libro. L’enfasi della sua voce e il suo sguardo danno forza alle sue parole.

Dopo di lui è intervenuto Henry Gómez Moreno, oncologo, Direttore sanitario dell’Istituto per le Neoplasie e autorevole specialista nella cura dei tumori, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Mi sorprende la genialità del suo modo di entrare in rapporto con il libro: essendosi da subito reso conto che non avrebbe potuto affrontare la lettura semplicemente dal punto di vista di un’analisi intellettuale («c’è un’enorme quantità di notizie», e «mettendo in fila le idee secondo un ordine logico è troppo complesso per muoversi al suo interno solo con la ragione») ha compreso che «occorre usare lo spirito. Io sono oncologo, lo spirito lo vivo tutti i giorni, ogni momento, nel dolore dei miei pazienti davanti a una malattia devastante». Ha messo a confronto questa circostanza che vive quotidianamente con la vita di don Giussani, e ha visto come rispondeva a un aspetto chiave della sua vita di ogni giorno: il modo di stare davanti ai suoi pazienti, al loro dolore, alla loro ricerca di risposte dalla scienza. L’evidenza immediata è la solitudine, «la solitudine dei pazienti, come Giacomo Leopardi, la solitudine infinita; il paziente, quando esce dalla visita, si trova solo, i dati scientifici, pur essendo validi, non sono sufficienti, da soli non portano da nessuna parte. La parte più difficile da interpretare è il senso religioso, chi sono io in questo mondo, perché sono al mondo, questo significato è ciò che mi dà la possibilità di sopravvivere. E alla fine questa esperienza deve trovare conferma nella verità, nella felicità, nella giustizia, e soprattutto nella Bellezza. La bellezza di dire le cose, di avere un paziente che si sente amato. Il Senso religioso ci svela questa Bellezza, Cristo». «Il libro è uno strumento per me per avere una maggiore chiarezza sulla realtà e per poter aiutare i miei pazienti, la mia famiglia, il mio Paese e rendere questo luogo migliore». Cosa fa sì che uno scienziato colga nell’istante questa Bellezza e desideri farla sua? Alla fine dell’incontro, si è messo in disparte timidamente grato, in silenzio, un silenzio pieno di commozione per l’aver intuito che la Bellezza è una Presenza ora.

Alla fine è stata la volta dell’autore del libro, Alberto Savorana, giornalista e già direttore di Tracce. Con la semplicità di un bambino, prende spunto dagli interventi che lo hanno preceduto e ci conduce in un percorso attraverso alcuni momenti della vita di don Giussani, che illuminano ancor più gli interventi dei suoi colleghi. Mi rimane particolarmente impresso il "Bel giorno", il giorno in cui don Giussani si rende conto che Cristo è la risposta al senso religioso, che l’incarnazione di Cristo, l’incontro con quest’uomo, è ciò che risponde alle domande fondamentali del nostro cuore.

«Non ardevano forse i nostri cuori mentre ascoltavamo tutte queste cose?». Un’allegria libera caratterizza la cena che segue l’incontro, alla quale tutti quelli che possono si uniscono. Nascono dialoghi e commenti sulla presentazione del libro, sulle persone presenti, su quanto hanno detto gli oratori, sul modo in cui Alberto li ha ripresi citando don Giussani, in definitiva sul segno che ha lasciato la presentazione. Un’amica racconta: «All’inizio dell’incontro mi si è avvicinata una professoressa e mi ha detto: “Scusa, io sono venuta quasi per caso (non saprei spiegarmi il motivo), ma avevo sentito già prima di questo Giussani, perché nell’Università dove ho studiato Pedagogia (parlava della Unife, Università femminile del Sacro Cuore) c’era un professore che mi aiutò tantissimo, perché io andavo bene negli studi, ma avevo paura a parlare in pubblico. Questo professore mi sfidava e mi metteva all’ultimo posto negli interventi dicendomi - e io me lo ripeto ancor oggi - : 'Non avere paura! Stai serena e vedrai che quando arrivi alla fine c’è il meglio, è come quando beviamo il caffè, il meglio è sempre alla fine'. Si chiamava Andrea Aziani!"».

Non c’è dubbio, è accaduto, accade, cammina presente fra noi, e ci fa desiderare una vita grande, piena di significato, attraverso questi volti amici che Cristo ci dona, come quelli di questi oratori che molti di noi abbiamo ascoltato per la prima volta.