Don José Medina durante "Encuentro DF" 2015.

Tirare le arance, per ritrovare la speranza

A Città del Messico, l'ottava edizione di "Encuentro DF". Dalla provocazione di papa Francesco alla mostra su Jérôme Lejeune, passando per i problemi del Paese. Per scoprire l'importanza di un metodo educativo
Giovanna Bruno

Il 6 e il 7 febbraio, il Centro Universitario Incarnate Word di Città del Messico, ha ospitato l’ottava edizione di "Encuentro DF", un'iniziativa promossa dall’associazione "Aventura Humana". Quest'anno il tema scelto è stata la provocazione di papa Francesco: "Verso le periferie del mondo e dell’esistenza: il destino non ha lasciato solo l’uomo", con l’intento di mostrare alcune di queste periferie umane e dei tentativi di risposta ad esse.

Don Julián Carrón, nell’articolo apparso sul Corriere della Sera in occasione del Natale, aveva posto la questione, suggerendo di domandarsi personalmente da dove ci si sarebbe aspettata la soluzione ai problemi che la vita quotidiana pone. E in Messico i problemi quotidiani si identificano con un tasso di violenza e instabilità sociale tale che viene voglia di non leggere più i giornali, dato il livello di brutalità umana che le notizie descrivono, oltre alla sensazione di abbandono da parte dei governanti.

"Encuentro DF" è stata l’esperienza per rendersi conto ancora una volta che la nostra certezza non dipende da qualcosa che possiamo raggiungere o fare, ma è radicata in ciò che accade davanti agli occhi.

La proiezione de La strada bella, il video sui 60 anni del movimento di CL, ha dato inizio all'evento, venerdì pomeriggio, mettendo tutti nella posizione adeguata per desiderare che in quei due giorni potesse accadere qualcosa di grande. Ed è stato così.

Yordanis Enriquez, dottore in Bioetica e ricercatore presso l’Università Cattolica Sedes Sapientae di Lima, ha presentato la mostra su Jérôme Lejeune, medico francese che nel 1959 ha scoperto il nesso tra il cromosoma 21 e la sindrome di Down, mettendo così le basi per le successive scoperte in ambito di citogenetica clinica. A seguire, è stato proiettato un documentario sulla storia di "La Patrona", un gruppo di donne di un paesino molto povero vicino a Veracruz, che aiutano i sudamericani diretti verso gli Stati Uniti, costretti ad una attraversata in condizioni estreme. Il video ha mostrato soprattutto i momenti in cui le donne preparano il cibo da lanciare agli immigrati mentre passa il treno. La nipote della promotrice di questa iniziativa ha affermato come «è il rendersi conto della situazione in cui quelle persone vivono il motivo per cui fanno questo. Sanno anche che il cibo lanciato non potrà soddisfare totalmente quegli uomini, ma è per se stesse innanzitutto, per essere più contente, che continuano. Queste donne insegnano cosa sia la speranza, in un momento in cui tutto sembra dire l’opposto». Inoltre, uno sguardo vero e profondamente umano può anche diventare contagioso per altri, tanto che nel paese vicino, invece di tirare pietre ai migranti, come erano soliti fare, ora tirano arance.

Sabato mattina la manifestazione è iniziata con la presenza del nunzio apostolico, monsignor Cristophe Pierre. «Siamo creature che cercano il senso della vita, e non siamo noi la fonte di questa vita», ha detto. «Solo nell’incontro con Dio possiamo fare esperienza di una relazione che ricostruisce la nostra povera umanità», ha sottolineato nella conclusione.

A seguire due tavole rotonde. La prima, sul tema "Educazione: introduzione alla realtà totale", ha visto come protagonisti don José Medina, da molti anni negli Stati Uniti e con una lunga esperienza di insegnamento alle spalle, e Alicia Lomello, argentina, professoressa di scuola media e liceo. Entrambi hanno sottolineato come educare sia generare l'umanità nell’altro, e che non è possibile educare senza essere perennemente educati. Ma questo è possibile se si appartiene a un luogo vivo, nel quale si possono vedere persone che vivono un'umanità piena e compiuta.

Durante la seconda tavola, intitolata: "Messico: è possibile un nuovo inizio", sono invece intervenuti Eduardo Gonzalez di Pierro, ricercatore di Filosofia presso la Università Michoacana, e Leonardo Curzio, famoso cronista e opinionista di diversi periodici messicani, con Jorge Traslocheroros, ricercatore di Storia dell’Università UNAM, in qualità di moderatore. Secondo Di Pierro, «la maggioranza dei problemi attuali del Paese derivano da una perdita di identità, da una dimenticanza della radice cattolica del popolo messicano. La sola possibilità per un recupero di questa realtà è un processo educativo che parta da una nuova concezione di persona, centrata sulla necessità dell’altro come compimento di sé». L'analisi di Leonardo Curzio si è invece incentrata su vari aspetti culturali della società messicana: «Fondamentale è la fiducia negli altri. Se viene meno l’unico punto affettivo riconosciuto, la famiglia, luogo nel quale ci si sente capaci di relazioni sicure, non c’è possibilità di sviluppo e crescita. Si rischia di cadere nell’individualismo. O peggio, si sfocia nel fatalismo». Curzio ha anche identificato una strada per il cambiamento: «Dar voce a coloro che, in piccole comunità, provano a fare qualcosa di diverso, attraverso proposte e iniziative costruttive».

Nella conferenza dedicata al tema del titolo di "Encuentro DF", don José Medina ha ripreso molti dei temi emersi durante la giornata. Citando Hannah Arendt, ha sottolineato che «è il potere a voler eliminare la persona, riducendola a pezzo della collettività. Così l’uomo, il singolo, diventa tranquillamente sostituibile, intercambiabile, non avendo una sua identità personale. Ma dove si trova la possibilità di una rinascita? È necessario», ha continuato Medina, «che arrivi qualcuno: Cristo ci è venuto incontro, proprio per risvegliare in noi la capacità di conoscere la realtà e di giudicarla. Diventa allora fondamentale il metodo educativo: testimoniare con la vita cosa sia un io che vive». A conclusione dell'evento, la serata finale, a base di canti e musiche russe, con protagonisti un gruppo di giovani musicisti.

"Encuentro DF" è stato proprio la possibilità di ridirsi quello che diceva don Giussani: «Veramente siamo nella condizione d’essere (...) i primi di quel cambiamento profondo, di quella rivoluzione profonda che non starà mai in quello che di esteriore, come realtà sociale, pretendiamo avvenga»; infatti, «non sarà mai nella cultura o nella vita della società, se non è prima (...) in noi. ( ...) Se non incomincia tra di noi (...) una rivoluzione di sé, nel concepire sé (...) senza preconcetto, senza mettere in salvo qualche cosa prima».