Ma il Venezuela si gioca tutto in una domenica?

È la vigilia di un voto storico: dopo 14 anni, Hugo Chávez rischia di perdere contro Henrique Capriles. L'esito avrà un impatto su tutta l'America Latina. Ma non sarà "l'ultima parola". In un volantino di Cl «il lavoro che ci aspetta, chiunque vinca»
Alessandra Stoppa

Domenica notte non si dorme. In molte case è già stipata la spesa per due settimane, perché non si sa cosa accadrà da lunedì in poi. Meglio avere provviste. E meglio non uscire. A chi può, è stato consigliato di non andare in ufficio.
È il Venezuela che si prepara al voto di domenica: un voto “epocale” che sembrerebbe poter cambiare del tutto la sua storia. Dopo quattordici anni, il presidente Hugo Chávez è sfidato alle urne da Henrique Capriles, il leader della piattaforma Mesa de la Unidad Democrática, che riunisce una ventina tra partiti e movimenti. È stato scelto lo scorso 12 febbraio, con le primarie d'opposizione: le prime nella storia del Paese.

Il voto di domenica non è decisivo solo per il Venezuela: ne risentirà tutta l’America Latina, perché avrà conseguenze sulle relazioni e gli accordi economici con Paesi come Cuba, Nicaragua, Bolivia e altri. Il risultato sarà determinante anche per le elezioni che si avvicinano: a dicembre, si sceglieranno i Governatori regionali, a febbraio i sindaci e nel dicembre del prossimo anno è previsto il rinnovo del Parlamento.
Per alcuni sondaggi, la vittoria di Capriles non è impossibile: calcolano che potrebbe battere Chávez di 500mila voti, sui 15 milioni di affluenza prevista. Quarant’anni tondi, Capriles è stato vicepresidente del Congreso a soli 23 ed oggi è il governatore dello Stato di Miranda, vicino a Caracas. Quando gli chiedono, come nell'intervista tv che ieri sera ha concluso la campagna elettorale, quale sia la sua identità politica, risponde: «Non so non né di destra, né di sinistra. L'ideologia è superata. Io voglio solo lavorare per il bene del popolo. La mia identità è questa: io sono cristiano, cattolico, mariano». Negli ultimi mesi, ha girato il Paese tre volte. Una settimana fa, nella capitale, un milione di persone era in piazza per sentirlo dire, ad una società permeata dal caudillismo: «Io non sono il messia, io non posso fare nulla da solo, dobbiamo costruire tutto insieme. Domenica, l’unico sconfitto sarà Chávez, mentre tutti gli altri vinceranno, perché io chiamo tutti a costruire il Paese».
Il Presidente uscente, invece, dopo una campagna in sordina tra la degenza a Cuba e il segreto sulle sue condizioni di salute, ha concentrato l’impatto con il popolo nell’ultima settimana. Ieri Caracas era bloccata per la sua presenza: si è presentato alla folla in grande forma fisica e ha chiuso una campagna elettorale che è stata meno violenta di altre, ma che lascia comunque la paura delle reazioni del dopo-voto. Anche lui, ieri sera, ha rilasciato un'intervista prima del silenzio elettorale, andata in onda su tutti i canali dello Stato: «Se vengo rieletto, sono disposto a dialogare. Ma il progetto è uno: il socialismo bolivariano del secolo Ventunesimo. Questo è il meglio per il popolo».

Quindi, domenica il Paese si gioca davvero tutto il suo futuro in un aut-aut? Anche un’eventuale vittoria di Capriles sarà pesantemente arginata dalla maggioranza politica, che resterà nelle mani del partito chavista, così come molti posti di potere. A Capriles spetterebbe comunque un lavoro di trattativa molto impegnativo. Ma è lo stesso per Chávez: se anche vincesse per la terza volta, il suo progetto politico (entrare in una nuova fase della rivoluzione bolivariana, più radicale, e con l’ambizione di essere una prospettiva per tutto il Continente) non potrà non fare i conti con le sue condizioni fisiche e, soprattutto, con un’opposizione che ormai ha alzato la testa e si è compattata.

Ma l’esito di domenica non è da considerarsi “l’ultima parola” sul Paese per un’altra ragione. Nel volantino di giudizio pubblico che la comunità di Cl sta distribuendo in queste ore, si legge un’altra cosa: «La nostra consistenza non dipende dal potere, né da un’ideologia, né dallo Stato, perché noi siamo come ciascun uomo rapporto con Dio». Il documento invita tutti ad andare a votare e a fare una scelta in base a dei criteri precisi - il rispetto della dignità della persona in tutte le sue dimensioni, la libertà di educare come diritto fondamentale, la possibilità di una società pluralista e di uno Governo veramente democratico -, «ma siamo consapevoli che il progetto di Dio non è in questo o in quel candidato, ma è in quello che ci sarà dato di vivere». Per questo, scrivono: «Il lavoro che ci aspetta dopo il 7 ottobre, qualsiasi sia lo scenario politico, sarà contribuire, a partire dalla nostra esperienza cristiana, alla riconciliazione di un Paese diviso dall’ideologia. E collaborare perché ogni persona nel suo cammino incontra e viva il significato della sua vita».