Alcuni ragazzi del meeting di Villavicencio.

Una Chiesa che si apre

Cinque anni fa la proposta di comunicare la grandezza incontrata nel movimento con un meeting. Dalla mostra «videro e credettero» all'omaggio a monsignor Gregorio Jiménez. La consapevolezza che «la missione deriva dalla gratitudine e non da un'attività»
Sandra Valero Pérez

Sono passati cinque anni da quando Alver Metalli, uno dei primi organizzatori del Meeting di Rimini, ci ha provocato durante una cena in una piccola parrocchia, sfidandoci ad andare nelle periferie a proporre un piccolo meeting nella nostra città. E così nel 2010 nasce questo curioso tentativo di comunicare al mondo la grandezza di ciò che abbiamo trovato e che prende vita nell’esperienza di Comunione e Liberazione.

Quando l'anno scorso, con il comitato organizzativo, stavamo pensando a un titolo per quest’anno, abbiamo deciso di seguire papa Benedetto XVI che ha indetto l’Anno della Fede nel mondo. Per questo l'edizione 2013 del meeting di Villavicencio si è intitolato: «La pertinenza della fede alle esigenze della vita». Per più di otto mesi abbiamo preparato l’incontro con gli amici, abbiamo scoperto che è possibile vivere un’amicizia dove il tradimento e il limite non sono più uno scandalo che determina le cose.

Videro e credettero. La bellezza e la gioia di essere cristiani
Proporre quest’anno la mostra «Videro e credettero» ci ha portato a togliere la maschera e a dire davanti a tutti che la grandezza che abbiamo incontrato si chiama Cristo; mentre nelle edizioni precedenti avevamo presentato esposizioni su l’istruzione, al lavoro e all’evangelizzazione tra gli indigeni del Paraguay, quest’anno al centro c'era l’Avvenimento: Gesù di Nazaret ci sfida costantemente a domandarci, nella nostra esperienza, se veramente è bello e gioioso essere cristiani oggi. Come racconta Harvey, che ha fatto la guida alla mostra: «Incontro persone come il professore di musica che davanti al pannello del violinista di Alvar Cawen capisce perché i suoi allievi non sono interessati a imparare una cosa bella come la musica, o come l’insegnante di scacchi che esce brontolando dicendo che tutta la fede che hanno portato gli Spagnoli ha distrutto l’“immensa” cultura degli indigeni, “uccidendo il loro dio che era il Sole”; siamo una presenza originale o una presenza reattiva? Incontri come questo ci interrogano su questo».

Omaggio a monsignor Gregorio Garavito Jiménez
Mi ricordo che quando ero piccola monsignor Gregorio Garavito Jiménez, ora vescovo emerito di Villavicencio, gettò in me il seme della fede. Allora si univa alle comunità e suonando la fisarmonica ci insegnava i canti natalizi; è forse l’unico vescovo conciliare che ci sia ancora in Colombia, ed è stato lui, di ritorno dal Concilio Vaticano II, ad animare i movimenti nella nostra diocesi. Con il suo spirito missionario ci ha dato una testimonianza di come si possa essere gioiosi e trasmettere umanità, proprio come papa Francesco ricorda sempre a tutti. A novantaquattro anni monsignor Gregorio continua a esere per noi un testimone vivente dell’abbraccio di Cristo nel mondo.

Gli spettacoli e gli artisti
Cinaque anni non sono niente se consideriamo che i nostri amici del Meeting di Rimini ne hanno passati trenta imparando a non dare nulla per scontato. E in qualche modo a noi è successa la stessa cosa, con gli spettacoli a Villavicencio, per la nostra incapacità intellettuale di giudicare le cose e anche qualche assurdità nei contenuti. Ma è ancora papa Francesco ci indica come cambiare il nostro sguardo: «Preferisco una Chiesa incidentata perché si apre, piuttosto che ammalata per chiusura» (Veglia di Pentecoste 2013). Questo ci spinge a continuare e a desiderare che ogni anno sia un’occasione per maturare di più.

L’avventura di quelli che videro e credettero
Mi sono sempre chiesta come fare a trasmettere ai miei nipoti la passione per la vita del movimento che ho ereditato dai miei genitori. Mi preoccupa che non vedano l’attrattiva di Cristo nella realtà e che finisca per essere “una cosa dei grandi”. Il festival per bambini che abbiamo proposto, «L’avventura di quelli che videro e credettero», è un tentativo di dare una risposta a questa provocazione. Un giorno ho sentito dire queste parole da padre Marco, il responsabile del movimento in Colombia. Uno pianta il seme e poi Dio lo farà crescere come vorrà e quando vorrà.

Il cammino da seguire
Don Giussani ci insegna che la compagnia è un fattore fondamentale nella storia della salvezza dell’uomo; ora più che mai desideriamo essere accompagnati da altri più grandi, che hanno già fatto un cammino. In particolare, chiedo la grazia che questo piccolo "sì" che abbiamo potuto dire qui in Colombia con la nostra iniziativa, si rinnovi costantemente e che non ci dimentichiamo l’origine del perché facciamo quel che facciamo. La missione deriva dalla gratitudine e non da un’attività in più che facciamo. Solo così possiamo essere una presenza originale nel mondo.