L'incontro con Axel Rokvam, del gruppo <br>dei "Veilleurs" francese.

La cosa meno scontata del mondo

Chi, tra tapas e sangria, si aspettava qualcosa di grande scrive che l'ha trovato «nella cura per il particolare». Hostess, musiche dei Beatles e qualcosa che attira. A Madrid, un italiano ha scoperto un tesoro sorprendente da custodire

Un déjà vu: la fila per l’imbarco del volo Malpensa-Madrid ad inizio primavera è diventata una specie di luogo di incontro, l’anticamera di quello per cui stiamo partendo. Una scia di incontri accaduti negli ultimi anni mi spinge per la seconda volta a EncuentroMadrid ed ancora, come lo scorso anno, assieme a me quelli che da alcuni sono ormai diventati molti italiani.

C’è qualcosa che attira, qualcosa (strano a credersi) di molto più allettante che tapas e sangria, che spinge universitari e non a spendere tempo e denaro per venire fin quaggiù. Perché mai spostarsi per quello che non sembrerebbe altro che una versione allo stato primordiale del Meeting di Rimini? Quale bisogno di fare tanta strada quando basterebbe aspettare pochi mesi per ritrovarsi immersi nel fiore all’occhiello degli “eventi” ciellini? Il fatto è questo: ciascuno di coloro che arriva qui lo fa perché ha incontrato qualcuno con cui condivide un pezzo di strada. Incontri che inaspettatamente hanno resuscitato un interesse alla vita e valorizzato la propria esperienza.

Non ci si muove per l’evento, ma per l’incontro, per riscoprire e approfondire quel che si è visto in esso. «L’altro è sempre un bene», come ha scritto recentemente don Julián Carrón, e questo «andare incontro» per me ne è il riconoscimento e la testimonianza. Questa essenzialità risalta negli aspetti concreti; il primo contraccolpo che subisce l’ospite italiano è dato dalle dimensioni. La domanda costante che gli avventori pongono nella fase preparatoria del viaggio è incentrata curiosamente su questo aspetto. Non ci aspettiamo qualcosa di mastodontico come il beneamato Meeting, ma immaginiamo qualcosa di grande, discretamente grande, comunque non piccolo; la sorpresa è che si viene proiettati in una realtà che proprio grande non è.

L’immaginazione ne esce, come spesso accade, ridimensionata, ma si schiude agli occhi un dato non meno evidente. La cura per i particolari parla chiaro. Il cardinale Scola, parlando di gratuità, dirà che «tutti noi confondiamo la gratuità con il gratis. Invece è un rapporto tra soggetto personale e comunitario, un rapporto in cui il fine è ricercato con amore, con libertà creativa». Così come Péguy notava a proposito degli artigiani di un tempo: «Ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali».

Ci sono affetto e coscienza e quel che lo svela sono i piccoli gesti. Da mesi si continuano a provare i brani dei Beatles che verranno suonati nel concerto della seconda sera. Come racconta uno dei musicisti: «Perché tanti nostri amici non li conoscono, è una cosa troppo bella la musica dei Beatles e vogliamo condividerla con loro, farla arrivare a loro». Hostess e steward non lavorano in modo meno serio e rigoroso, come potrebbe essere giustificato da un contesto familiare. Per tre giorni le case di amici e conoscenti sono aperte a tutti coloro che possono ospitare e, smontata l’area bambini, le mamme ripongono nelle proprie case i giocattoli dati in prestito, discutendo animatamente sulle migliorie possibili per l’anno successivo.

Questa dimensione della costruzione di EncuentroMadrid come relazione con l’altro rende vivo il tema dell’edizione di quest’anno: “Buone ragioni per la vita in comune” ed è ben sintetizzata dalle parole dell’arcivescovo Angelo Scola che, nell’incontro dedicato alla discussione del titolo afferma: «Chi vuole essere l’uomo postmoderno? Solo il suo proprio esperimento o vuole essere un Io-in-relazione? Questa è la sfida. Questo Encuentro è espressione di questo Io-in-relazione». Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano incontri e spettacoli, occasione per condividere l’esperienza di relatori e artisti e ritrovarsi, imprevedibilmente, a pranzo con qualcuno di loro.

Davanti a un piatto di patatas bravas sommerse da una coltre di formaggio, invocando un prossimo ritorno alla cucina italiana, il pianista e compositore Marcelo Cesena si racconta, condivide le vicende rocambolesche della sua vita («mi serve almeno un’ora, devo raccontarvi tutto per potervi mostrare che se sono qui è perché qualcuno mi ci ha portato; se tralascio qualcosa sembrerei un pazzo») con una passione ai propri sconosciuti interlocutori che spalanca la domanda su quale ne sia l’origine. «Cristo è la risposta al tuo cuore, non un po’ di meno. Se è di meno te ne andrai, fosse anche dopo cinquant’anni, ma te ne andrai. C’è una coerenza misteriosa in quello che mi è successo; Dio si è servito di tutto, del mio desiderio e degli errori che vi ho raccontato per farmi arrivare ad essere qui adesso».

Un’amica ha detto in questi giorni: «Ogni volta che qualcuno viene da me e mi racconta qualcosa di personale, qualcosa di sé, io non posso fare a meno di commuovermi. Perché questa è la cosa meno scontata del mondo, meno dovuta che ci sia». L’esperienza del raccontarsi reciprocamente è il tesoro che questo weekend madrileno ci lascia da custodire. E che ha molto a che fare con quella parola logorata dal tempo che risponde al nome di testimonianza.

Pietro, Milano