L'icona fai-da-te con don Giussani e il Metropolita Antonij.

La "comunità volante" di inizio in inizio

Tre giorni a Kar’kov per riprendere l'anno insieme. Sono venuti anche da Russia, Bielorussia e Italia. Più di due terzi sono ortodossi. Tra loro anche il Vescovo ausiliare di Kiev. Un'amicizia che cresce e che chiede aiuto ai santi
Luca Fiore

Sui due televisori al plasma scorrono i video musicali di una specie di Mtv ucraina. Sui tavoli di legno grezzo del Puzata Kata si mangia borsch e pollo “alla Kiev”. Il ristorante si trova di fronte all’austero Museo di Storia di Kar’kov, presidiato da due carri armati della Seconda guerra mondiale. Il grande termometro alto come un palazzo, simbolo della città, segna zero gradi. La birra non è ancora finita quando Aleksandr Filonenko introduce la Giornata di inizio anno di quella che si autodefinisce la “comunità volante”: «È bello iniziare, la nostra comunità passa da inizio a inizio».

Quello che si è svolto il weekend di Ognissanti è un momento sui generis rispetto ai gesti di CL che conosciamo. Per diversi motivi. Il primo è che in realtà si tratta di una vera e propria tre-giorni. Il secondo è che i partecipanti non sono solo ucraini (di Kar’kov, Kiev, Odessa e Chernivtsi), ma arrivano anche da Russia, Bielorussia e Italia. Il terzo è che oltre i due terzi dei partecipanti (120, l’anno scorso erano 70) sono ortodossi. Ai tavoli del Pazata Kata è seduto anche Ilarij, vescovo ausiliare del Metropolita di Kiev. Ormai è un amico. E non è per niente scontato.

Il dopo cena trascorre con qualche canto e con alcune testimonianze. Aleksej racconta della gratitudine di aver potuto sentire all’Assemblea internazionale di Cervinia il giudizio di Julián Carrón sull’importanza delle circostanze. Ricorda di aver partecipato alle manifestazioni del Maidan e che quella circostanza gli ha permesso di avvicinarsi e approfondire l’amicizia con il movimento. Svetlana spiega di come un invito semplice al Meeting di Rimini ha le ha fatto desiderare che la propria casa, la propria famiglia, fosse aperta all'amicizia del movimento. Una nuova speranza che le ha fatto abbandonare l'idea di andarsene dall'Ucraina. Natasha ricorda di essere cresciuta in una famiglia sovietica atea e di aver iniziato a pregare da sola da bambina. Ha ricevuto il Battesimo e ha finito per fare da madrina a sua mamma. Eppure, dice, c’era un vuoto dentro di lei che non sapeva come riempire. Anche l’essere cristiana non le bastava. Poi ha incontrato un gruppo di amici che le hanno fatto leggere dei libri di don Giussani e così ha capito che quel “vuoto” «gli italiani lo chiamano senso religioso». La vita cambia, perché la sua fede non è più una questione personale ma ha assunto la forma di un’amicizia.

La mattina dopo a tema c’è la lezione di Carrón alla Giornata di inizio in Italia. Intervengono Filonenko, Constantin Sigov e Dmtri Strotsev sui tre punti della lezione: le circostanze e la forma della testimonianza, l’attrattiva della bellezza e la “scintilla”. «Noi vediamo la risposta di Dio perché Lui fa entrare nella nostra vita incontri, avvenimenti di bellezza», dice Filonenko: «Vorrei farvi notare la particolarità della nostra comunità, che tutti avvertiamo: la nostra compagnia è vulnerabile, e quando Dio sceglie qualcuno non è mai un gesto eclatante: Lui sceglie alcune persone che devono testimoniare non per pochi, ma per tutto il mondo». L’intervento di Sigov è una carrellata delle sorprese nate in questi anni dall’amicizia con CL: da Russia cristiana, la scoperta di Dante, la conoscenza di figure come il beato Rolando Rivi, l’esperienza dei bambini ucraini ospiti delle famiglie cielline. Strotsev, invece, ammette la difficoltà di alcuni nella comunità di capire le parole di Carrón. Per l’uomo cresciuto nel mondo sovietico, spiega il poeta bielorusso, il linguaggio è uno strumento di comando, il discorso un sistema. «Carrón, invece, non parla come noi siamo abituati a sentir parlare un’autorità. Il suo è un discorso libero. È come il balbettare di un bambino in cui sta accadendo qualcosa in quel momento».
Seguono altre tre testimonianze. Simona, di Mosca, racconta dell’amicizia nata col medico siriano ortodosso Souleiman che, dopo cinque anni passati in Russia a causa della guerra, è tornato nella sua Damasco con in tasca l’iscrizione alla Fraternità. Oggi continua a sentire gli amici in Russia. Racconta della vita sotto le bombe. E arriva a chiedere aiuto per aprire uno studio medico, per servire i bisogni di chi vive la tragedia della guerra.

Poi c'è il racconto di Irina, importante filologa di Mosca. Ha conosciuto il movimento ospitando una studentessa italiana. Ne è nata un’amicizia che l’ha portata a partecipare alla Scuola di comunità via Skype della “comunità volante”. Per la prima volta in pubblico, dice, racconta la sua drammatica vicenda personale. All’inizio degli anni Ottanta, lei, moglie di un importante studioso di Puskin, vede precipitare dal balcone il marito inseguito dalla polizia. La vendetta del regime si abbatterà anche su di lei, che per molti anni non potrà più insegnare in università. Si capisce che oggi, insieme ad amici molto più giovani, si sente a casa. Tra gente a cui, finalmente, può dare la fiducia.

Anastasia, reduce da sei mesi trascorsi a Milano, racconta del suo incontro con il beato don Carlo Gnocchi. Il cappellano degli alpini che passarono proprio di qui, a meno di cento chilometri da Kar’kov. Visse l’esperienza della guerra, raccontata in Cristo con gli alpini, durante la quale nacque la vocazione alla cura dei più deboli sintetizzata in un altro testo importantissimo: Pedagogia del dolore innocente. In questa parte dell’Ucraina, a poco meno di trecento chilometri dai campi di battaglia del Donbass e decine di migliaia di profughi da accogliere, un santo cattolico sembra essere una luce anche per gli ortodossi.

Filonenko e Elena Mazzola, la visitor dell’Ucraina, si prendono un momento per ripercorrere la storia degli ultimi anni che ha portato alla nascita della “comunità volante” e del perché, a un certo punto, un gruppo di ortodossi russi e ucraini si è messo a seguire un movimento fondato da un sacerdote cattolico nato a Desio. È l’occasione per fare una proposta anche ai tanti nuovi: la Scuola di comunità, la caritativa, il fondo comune.
La giornata si conclude con un intervento di Franco Nembrini, grande amico della “comunità volante”: «Si vede che l’amicizia tra noi è cresciuta tanto che è diventata davvero una casa. Una casa dove tutti siamo chiamati a essere letteralmente Memores Domini. Siamo chiamati a ricordarci di Lui dentro la vita, davanti al mondo».

La domenica, giorno di Ognissanti per i cattolici, trascorre nel villaggio di Timchinki, in mezzo all’immensa pianura ucraina. Nella piccola ed elegante chiesa di padre Potapij la comunità di CL si raduna per la Divina liturgia presieduta dal vescovo Ilarij che, nell’omelia, riprende anche lui i contenuti della Giornata di inizio: Abramo e la nascita dell’io e la sfida della testimonianza dei cristiani nel mondo. Alla fine, nella sala della parrocchia con le pareti dipinte con il logo della Champions League, Daria, la moglie di padre Potapij, ha preparato con i parrocchiani un banchetto ricchissimo. Si canta in italiano, russo, bielorusso e un solista georgiano intona Torna a Surriento. Andreij regala a Nembrini un’icona fai-da-te che mostra don Giussani e il Metropolita Antonij che si abbracciano. Dice: «Nell’attesa che entrambi siano riconosciuti santi».
La tre-giorni ucraina si conclude nella cattedrale cattolica di Kar’kov con la messa celebrata da monsignor Stanislav Shytokoradiuk, vescovo della grande diocesi dell’est Ucraina che comprende le martoriate Donesk e Luhansk. Alla fine della celebrazione accoglie la comunità nei locali della Curia. «Ci aiuterà a far arrivare una reliquia di don Gnocchi?», chiede sorridendo Filonenko. «Se ci sarà bisogno, scriverò all’Arcivescovo di Milano».