Gli scontri a Caracas.

Uscire di casa a Caracas, per un'ora di musica

Che cosa posso fare davanti al caos che assedia il mio Paese? Come posso essere protagonista, tra crisi, scontri e morti? Un insegnante racconta la risposta che ha "trovato" di fronte ai suoi allievi, durante una lezione di chitarra...

Mercoledì 12 febbraio, ero nella mia nuova casa a Parque Carabobo, a un paio di isolati da dove si stava svolgendo la manifestazione contro il governo del presidente Nicolás Maduro. In questa casa non ho accesso a internet e le finestre dell'appartamento danno in direzione opposta alla piazza. Non avevo idea di cosa stesse succedendo poche strade più in là, perché avevo solo la tv - che non parla dei fatti del giorno -; ma ricevevo di continuo messaggi che mi avvisavano di non uscire, perché la situazione era tesa. Ero a pochi metri da tutto quello che è successo quel giorno, dal posto dove sarebbero morte delle persone, e non sapevo niente.
Alla fine sono uscito, ho chiesto ai vicini del piano di sotto, e in qualche modo mi sono reso conto. Ma la cosa che mi ha colpito di più, in quel momento, è stato un pensiero: ma io cosa posso fare davanti a tutto questo? Ho fatto questa domanda a un'amica del movimento. Ci eravamo detti che «le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell'uomo», e che è un momento in cui siamo chiamati ad essere protagonisti. Ma come? Ho la grazia di essere stato toccato da questo carisma del movimento e di potermi accorgere che, anche se ho più o meno paura, ho un cuore che ha un desiderio d'infinito che non può essere definito da nessuna circostanza, buona o cattiva. Per questo che potevo e dovevo fare qualcosa di diverso dallo scendere in strada a lanciare pietre, rompere e distruggere.

Poi è arrivata la notte. Il mio alunno di chitarra del giovedì - un signore di sessanta e passa anni - mi ha chiamato insistendo perché non spostassimo la lezione. La situazione era più serena, ma io avevo lo stesso molti dubbi. Alla fine, dato che la mattina sembrava tranquilla e che lui aveva un'altra chitarra e non dovevo portare la mia, sono andato. In un pausa della lezione, abbiamo iniziato a parlare della situazione generale, e gli ho raccontato quello che mi era successo il giorno prima. La sua risposta mi ha sorpreso: mi ha detto che proprio per questo aveva insistito così tanto per fare lezione. Perché la musica lo aiuta a rimanere legato alla realtà, a guardare a sé e a quello che succede in questo momento. Quest'uomo avrebbe voluto imparare a suonare da sempre, ma solo adesso ha tempo e modo di farlo. Dopo queste parole, con cui mi aveva fatto vedere il valore di quella lezione, il mio stato d'animo era completamente diverso. Abbiamo finito, lui mi ha ringraziato per il lavoro. E io, tra me, ho pensato: «Ecco, questo sono io. Francisco, in azione».

Il giorno dopo avevo tre alunni in una scuola, con le lezioni che iniziavano alle due e mezza del pomeriggio; l'orario in cui è meglio iniziare a ritirarsi verso casa, per non rischiare di trovarsi coinvolti negli scontri. Ero certo che non sarebbe venuto nessuno. Ma sono andato lo stesso, perché ho un contratto con la scuola.
Quando sono arrivato, verso le due e venti, il primo alunno era già lì. Era seduto e si stava esercitando. Questo fatto mi ha disarmato completamente. Abbiamo fatto lezione, ho dato tutto. L'alunno successivo (che arrivava dalla zona più calda di quel giorno) non poteva venire, perché aveva fatto un incidente in macchina. Ma sua madre aveva chiamato la scuola per avvisare. Anche questo mi ha colpito molto: non mi sarei mai aspettato che, in una situazione così, si sarebbero presi la briga di avvisare.
L'ultima a cui dovevo fare lezione era una ragazzina (questi alunni sono tutti tra i 10 e i 16 anni) che viene da una zona fuori Caracas. Pensavo che naturalmente non avrebbe affrontato il viaggio in quelle condizioni per una lezione di chitarra. Arrivata l'ora, infatti, non c'era. Ma subito dopo ha chiamato la scuola per avvisare che era in ritardo per il traffico. Stava arrivando. Mi ha chiesto se potevo aspettarla. Ero di nuovo disarmato. L'ho aspettata. Abbiamo fatto la sua lezione, completa.

Alla fine per me è stato impossibile non chiedermi: ma che cosa ha spinto questo ragazzini a venire a lezione? Quanto avranno dovuto lottare con i genitori perché li lasciassero venire, in una situazione così incerta e pericolosa? Mi sono venute in mente molte cose. Ma dopo queste lezioni non ho più avuti dubbi sul fatto che, in mezzo a questo caos che assedia la città, valesse la pena uscire di casa ed essere me stesso, e dare quello che sono. Chiaro che vale la pena. Perché sono certo di chi sono e a chi appartengo.
José Francisco Sánchez, Caracas