La località del Cabrito, dove Marta fa catechismo.

Una festa qui, dove non c'era niente

Il catechismo di Marta e Jassiara, l'amicizia con Rafaele, la morte di Duda. «Tutto ci è dato per scoprire quel pezzettino di mondo che si chiama cuore». Seconda puntata del diario di un parroco in una favela di Salvador de Bahia
Emilio Bellani

Ai sacramenti ci si prepara, qua come in tutto il mondo, con la catechesi. E quest’anno, in questo lavoro, non sono mancate delle sorprese proprio belle. Al Cabrito, per esempio. Un’area piuttosto lontana dalla nostra chiesa, e non solo geograficamente. Moltissime famiglie sono di fatto evangeliche e altre, afrodiscendenti, praticano il Candomblé, religione derivata dall’animismo africano. Di sabato, salvo eccezioni, celebro la messa nella piccola chiesa con tre o quattro persone. Erano anni che in questa regione non si faceva il catechismo. Ma quest’anno la musica è cambiata. Attraverso Marta, giovane mamma con un passato da catechista, Dio sta facendo fiorire qualcosa di bello in questo deserto.

Marta scende dalla collina a piedi, di sabato, con la figlia in braccio e il figlio Matteo che la aiuta a reggere una grossa borsa di merende, perlopiù preparate in casa. Poi con Jassiara, l’altra catechista, apre la chiesetta e la piccola sala attigua, e mette in ordine le sedie e i tavolini. I bambini intanto cominciano a sbucare da ogni lato. Sono quasi una ventina e qui imparano i primissimi rudimenti della fede, fanno cartelloni, giocano, cantano, ballano. Alla fine entrano nella sala alcune loro mamme, con qualche salatino o specialità casereccia.

Insomma, una festa dove prima non c’era quasi niente. Una strada, un cammino che si é aperto, e per iniziarlo Dio si è servito di una madre che ancora non è sposata, e che parla di Maria con una tenerezza che sempre mi commuove. Una donna che non ha la volontà - e neppure il tempo - di rivendicare per sé ruoli speciali nella Chiesa.

Anche la storia delle Cresime è bella da raccontare. La partenza del cammino preparatorio è avvenuta in sordina, con tre o quattro ragazzine di quindici anni con le quali abbiamo diviso molte cose in questi anni. Ad un tratto si è aggiunta, non ricordo come, Annaurelia, che ogni settimana portava qualcuno di nuovo: per cominciare il nipote, poi la sorella (alla quale - parole sue, al momento della presentazione - interessava soprattutto la birra). Poi un altro nipote, una seconda sorella con lo sposo, un terzo nipote... infine un'amica. Quest’ultima, dopo due settimane, ritorna accompagnando un ragazzino di sedici anni che col pallone tra i piedi è capace di incantare.

Il gruppo, quindi, si allarga. E anche l’entusiasmo. Mi colpisce anche Rafaele, una ragazza da poco tornata da Brasilia, dove ha studiato. Mi dice che coi sacramenti lei è a posto, però mi porta il moroso: «Io vorrei sposare un giovane che ama le stesse cose che amo io». I due non mancano una sola volta.
C’è poi Giovanni, che si è riavvicinato alla Chiesa cattolica dopo un terribile incidente di moto. Padre Ignazio lo andava a trovare nei difficili giorni di coma, e da allora non lo ha mai lasciato. L’altra domenica ciascuno di questi amici è uscito di casa con qualcosa: chi una torta, chi della frutta, succhi, caffé, e all’uscita della messa hanno voluto servire a tutti, gratuitamente, una buona colazione.

Quando penso alla Cresima mi invade la memoria la storia di Duda, una nostra ragazzina che, nonostante le nostre sollecitazioni, non ha mai voluto andare oltre la Prima comunione. Abitava con il papà di fronte alla nostra chiesa. L’uomo aggiustava casse acustiche e, quando era "su di giri", le testava anche a mezzanotte, invadendo di musica tutta la favela sottostante. C’erano notti che, per fare un favore ai padri metteva su Roberta e altre canzonette italiane, e non importava l'ora. Anche i suoi vicini erano piuttosto turbolenti. Non per questioni legate alla musica, ma alla droga. Così un certo capetto, di notte, forzato il cancelletto, è entrato nella casa del povero uomo chiedendo soldi. Nella colluttazione il nostro amico è rimasto ferito alla testa, alla mano, al piede. Azzoppato, è stato costretto a muoversi con le stampelle per qualche mese.

Duda, che era stata con noi negli "Amici di Edimar", aveva cominciato a staccarsi dalla Chiesa, dalla scuola e persino dal papà, fuggendo di casa e frequentando il peggio. Una notte di due anni fa ci chiamarono al telefono dicendo che, in preda all’alcool (o ad altro), Duda sibilava il mio nome. Io e Ignazio, immaginando l’imminente pericolo, siamo saltati in macchina e l'abbiamo cercata dappertutto, nell’ora nella quale nessuno esce di casa. Anche al posto di polizia non avevano nessuna notizia sulla ragazzina che continuava a fare il mio nome, credo, nel tentativo estremo di chiamare un soccorso.

Fece ritorno a casa qualche settimana più tardi, inventandosi un mare di bugie. Duda non chiedeva soldi, perché sapeva che non gliene avremmo dati. Ma a volte si presentava alla nostra porta con la pancia vuota. Bastavano due battute e una manciata di biscotti perché cominciasse a raccontare tutte le cavolate che faceva. Ma in fondo aveva un cuore bello, che il male non era riuscito a distruggere.

Mi vien la pelle d’oca al ricordo di come una sera, commossa, gli eran scese le lacrime a sentirsi raccontare la storia del figlio prodigo e del padre buono. Il tempo passava e lei, inseguita da uomini coi quali si era indebitata fino al collo, dormiva ogni notte in locali differenti. Fino a quando, forse con la soffiata di una amica, le hanno teso la trappola fatale. Mezz’ora dopo che l’hanno uccisa con vari colpi alla testa e al collo in un angolo squallido della collina, la foto di una ragazzina raggomitolata in una pozzanghera di sangue era postata in facebook, in pasto a tutti. È una foto che conservo nel mio cellulare, insieme ad una sua poesia.

Anche la sepoltura, accompagnata dal papà e da due o tre amiche, sotto un cielo grigio, sembrava fatta apposta per cancellare per sempre le tracce di questa ragazzina che aveva cominciato a chiamarmi pai, papà. Non c’era posto nel nostro cimitero e l’hanno posta del peggiore dei cimiteri che io conosca, chiusa tra quattro assi senza maniglie. Ma ci rivedremo, Duda, tu con quella tua "treccia indio", e la piccola Bruna nell’abito inusuale ed elegante col quale era proclamata vice-regina nella piccola sfilata tre giorni prima di morire.

Domenica sarà la solennità di tutti i Santi. Qua, nella Bahía de Todos os Santos, non si celebra niente. Nella città più "festaiola" non si celebra la festa che ha dato il nome alla sua incantevole baia. Però è domenica. E noi ci recheremo via di qua per un giorno intero su una piccola isola, per la chiusura dell’anno catechistico.

Nell’Ilha de Maré, cantata da molti artisti, faremo gioconi, il bagno nell’acqua cristallina, celebreremo la messa dinnanzi ad una chiesetta conosciutissima. Questi sono i giorni delle iscrizioni e saltano fuori ragazzini che non ho visto una sola volta al catechismo, inventandosi storie che li fanno tra i più assidui frequentatori della chiesa... Massì, li caricheremo proprio tutti sul barcone che attraversa quel pezzo di mare.

Ma al momento di salpare, e prima che si scateni la grande festa, vorrei mostrare a tutti, puntandovi il dito, quel cimitero in cima alla collina. So che alcuni, al ricordo di Duda, si commuoveranno. Ma è solo per dirgli che noi siamo proprio fortunati, perché abbiamo tra noi Chi ci aiuta a stare davanti a tutte le cose della vita, il sole e la pioggia, il gioco e il pianto.

In fondo, il corso e i tornei di calcio con sessanta ragazzi, la scuola di balletto, dove saranno centocinquanta, i vari corsi di computer, gli incontri e i pranzi, tutto ci è dato per incontrare e scoprire, insieme agli amici, quel pezzettino di mondo che si chiama cuore, e tutto il bisogno che lo abita. Così da poter dire, con l’Avvento alle porte: «Vieni Signore Gesù!».