Don Pigi Bernareggi.

«Abbiamo bisogno di recuperare la gioia»

La comunità del movimento brasiliana incontra don Pigi Bernareggi, uno dei primi giessini partiti in missione nel 1964. Dalle lezioni con Giussani alla gente della favela: «Sono loro il motore del riscatto per tutti»
Isabella Alberto

«Il tempo che passa può sembrare una cosa noiosa, priva di attrattiva. E invece è Dio che mi dà tutto. Perché in questo istante che sta passando, io non faccio nulla per esistere». Questa è per don Pigi Bernareggi la prima misericordia di Dio. Infinita gratuità. Classe 1939, don Pigi fu allievo di Giussani al Berchet di Milano e uno dei primi giessini partiti per il Brasile, nel 1964. Da allora non è più tornato. Vive a Belo Horizonte, dedicandosi al popolo delle favelas. È venuto a incontrarci durante la vacanza nazionale della comunità di CL basiliana. Qui, riportiamo alcuni momenti dell’assemblea con lui, un serrato botta e risposta sul tema degli Esercizi della Fraternità e sulla misericordia.

«Sono consapevole di portare con me un tesoro, grazie all’incontro con Cristo», dice un insegnante aprendo il dialogo, «ma spesso, davanti agli studenti, è come se ne dubitassi, come se avessi paura. E mi sento impotente. Può raccontarci come ha vissuto la sfida che Giussani le ha lanciato?». Don Pigi sorride, è contento, perché ricordare le lezioni di Giussani è uno dei suoi temi preferiti. «Ai miei tempi, in Italia, eravamo proprio immersi nel risultato di un cambiamento epocale. Non un cambiamento di giorni o di mesi, ma un cambiamento di cinquecento anni. Quindi nessuno di noi, almeno nella mia classe, era più cristiano o diceva di essere cristiano. E quando Giussani entrava, trovava un muro di preconcetti, un muro nemico. Non era l’uno o l’altro studente a non essere d’accordo su qualcosa: era tutta la classe ad essere contro di lui. Ma lui accettava la battaglia. Per cominciare, si presentava con una sfida: siate leali con la vostra esperienza».

Don Pigi ricorda le discussioni in aula, e soprattutto le “battaglie” nei corridoi della scuola tra Giussani e Mario Miccinesi, professore di filosofia. «Noi assistevamo con passione a queste discussioni, ci sentivamo coinvolti: vedevamo che non era un dibattito sleale o sgarbato, ma autentico. Questo ci ha aiutato a uscire dalla prigione di neutralità, di indifferenza, in cui ci portava la cultura del relativismo assoluto e dell’individualismo imperante. Eravamo invitati a partecipare a un confronto tra ideali: gli ideali umanistici e l’ideale del cristianesimo. Alla fine della lezione, dopo un intenso dibattito, Giussani prendeva sottobraccio Miccinesi e i due andavano al bar…».

Un’altra domanda riguarda il tema dell’Anno Santo: «Mi sembra che nel mondo di oggi sia raro trovare il bisogno della misericordia. Perché è così difficile percepire questa esigenza?». Don Pigi risponde che, in realtà, «la città ha molto bisogno di misericordia. Già nel mondo greco la polis era sorta proprio come possibilità di creare umanità in un mondo disumano». Poi ci sorprende tutti: «Oggi, nell’attuale contesto delle grandi città brasiliane, il motore del riscatto è la favela». Lui lavora da molti anni con la Pastorale per i favelados di Belo Horizonte, e racconta quello che vede in queste comunità: «Ogni mattina, quando gli abitanti della favela si recano in città per fare i lavori più umili e spesso mal pagati, portano con sé un carico di umanità che si diffonde in tutta la città. Il fattore di maggiore umanizzazione delle aree metropolitane sono loro. Si tratta di un popolo semplice, ma è un popolo che ha radici cristiane. E questo è già sufficiente a renderli un elemento di umanizzazione più forte nel contesto urbano. È vero che da un certo livello sociale in su la misericordia sembra non interessare… Ma è ancor più vero che, dove vi sono delle umili sorgenti di misericordia, la città è migliore. Io vedo tutta la bellezza e la gioia che queste persone provano nel conservare la fratellanza e la misericordia reciproca».

Una persona gli chiede di approfondire un aspetto di Giussani: «Qual era l’evoluzione del suo pensiero davanti alle idee contrastanti? O nell’accettazione di posizioni antagoniste che gli venivano esposte?». Don Pigi torna di nuovo agli anni del Berchet: «Giussani citava spesso questa frase: “Nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Ma questa non era una sua evoluzione, era il suo punto di partenza. Tanto che è andato a incontrare i monaci buddhisti del Monte Koya, e ha la sua tesi era su grande teologo protestante, Reinhold Niebuhr. Se è esistita una persona completamente aperta a tutto ciò che può esistere nel mondo, questa è stata don Giussani. È una specie di fantastica percezione del cristianesimo».

Le domande si spostano sul cambiamento epocale di oggi, e raccontano anche di una certa paura, perché sembra che ovunque prevalga il negativo. «L’altro giorno il Papa ha parlato della “pienezza dei tempi”», interviene una persona: «Quando è nato Cristo, i tempi non erano chiari, proprio come adesso. Ma a volte in noi prevale una resistenza, come se il male prendesse il sopravvento. Vorrei che ci parlasse di questa idea di tempo. E cosa può darci la speranza?». Pigi risponde a partire dal Battesimo dei primi cristiani: «Le persone venivano immerse nell’acqua di una grande piscina, e quando riemergevano potevano respirare. Era per far sentire che il cristianesimo fa respirare. Perciò la questione della pienezza dei tempi è molto seria. Forse il problema che viviamo oggi non consiste tanto nel fatto che il mondo sia negativo, ma che abbiamo bisogno di recuperare urgentemente la gioia, quell’abbraccio infinito». Poi dà un suggerimento: «Ricordatevi che il periodo di Pasqua non finisce nel giorno della Risurrezione, ma con la festa dell’Ascensione e della discesa dello Spirito Santo». E condivide con tutti un suo ricordo: «Un giorno a Gudo, alla periferia di Milano, don Giussani tenne una riunione con il Gruppo Adulto, meditando sull’Ascensione. Disse: “Cristo è asceso al Cielo. Ma che Cielo è quello? È la nostra vita, è la fonte della vita che abbiamo nel profondo di noi stessi: Cristo, con il suo corpo risorto, è nel profondo dell’essere di tutti voi e di tutti coloro che, in tutto il mondo, non hanno mai pensato a Cristo”».

Senza interruzione di continuità, don Pigi si mette a raccontare di Belo Horizonte, dove il traffico di droga è il problema centrale. Il quartiere in cui vive è come la mano del traffico rivolta al popolo: da lì partono i canali di distribuzione in tutta la città. «Ecco, quando uccidono uno di questi ragazzi di 18, 17, 15 anni, barbaramente, pensano di fare il suo male. Invece, lo stanno consegnando all’Eterno. Se lo sapessero, non lo ucciderebbero più, perché loro pensano di fargli del male, ma in realtà gli danno il passaporto per il Cielo. Lo dico alle madri durante i funerali, e loro lo capiscono. Lo vedo sui loro volti. Che sorpresa… Non è “sorprendente” in senso metaforico: è la realtà che ci sorprende, la realtà in cui siamo immersi, giorno e notte, questa sorpresa. È un’esplosione, non di una bomba, ma di Cristo risorto e asceso al Cielo, che è in tutti noi. Se qualcuno dice che questo significa essere visionari, si sbaglia. Non è un modo immaginario di essere, questa è l’essenza stessa del cristianesimo, è il nucleo centrale del cristianesimo». A sentirlo siamo rimasti tutti in silenzio.

Lui ha continuato, parlando del valore del tempo: «Simone Weil ha detto: “Il tempo è l’attesa di Dio che chiede il nostro amore”. Che cos’è il tempo? Io non vivo nel passato, che è già passato, non vivo nel futuro, che non è ancora arrivato, vivo in questo momento che passa, e che è già passato, è fluido. Questo fluire non è una banalità, è Dio che mi sta aspettando, che sta chiedendo il mio amore, che mi offre una possibilità in più di sentire che l’istante è il tempo che io passo con Lui. E allora, lasciamoci portare dal fluire di Dio che mi dona infinitamente la Sua vita, in questo momento, e in un altro momento, e in un altro ancora… fino al Momento con la “m” maiuscola, che è l’eternità. Lì il tempo diventa pieno: non riusciamo a immaginare come potrà essere, ma è un vero affare! Tutto questo abbiamo imparato da don Giussani, quel giorno, nella sala di Gudo».
È terminato così l’incontro con don Pigi, che ci ha lasciati meravigliati, e grati, perché a settantasette anni continua a insegnarci la gioia di vivere.