I ragazzi della Bicocca durante il concerto.

Tredici "alpini", Chiara e la voglia di tornare a Messa

Grazie all'invito di un prete del posto, alcuni ragazzi della Bicocca si ritrovano a cantare in una chiesa colma di gente. La guerra, l'amore, la preghiera a Dio. Una ragazza si avvicina e li abbraccia: «È quello che aspettavo da tempo»

Una sera, a cena dai miei nonni, c'era un ospite, don Mirco, parroco di S. Chiara a Marciana Marina, sull'isola d'Elba. Gli racconto dei miei amici in università: rimane colpito e mi dice della difficoltà di entrare in contatto con i giovani del suo paese. Gli parlo del nostro coro di canti alpini, lui è entusiasta e così gli propongo di andarlo a trovare con i miei amici, per comunicare la nostra amicizia e l'amore per il canto. Lui risponde che ha un asilo dove ospitarci. Così nasce l'idea di un concerto nella sua chiesa con il coro Cultura e Montagna, dell'Università Bicocca di Milano.

Partiamo il primo agosto. In tredici. I manifesti del concerto sono già stati esposti dalle parrocchie in tutti i paesi dell'Elba. È una bella giornata di sole. Sul traghetto Piombino-Portoferraio iniziamo a cantare. Arriviamo in paese: la torre in fondo al porto, le barche in rada, il rosa delle case... I miei nonni ci accolgono in giardino, centinaia di fiori ben curati di tutti i colori, e c'è il tavolo del rinfresco. Un'accoglienza inaspettata! Che bello vedere sorridere i propri amici, fin dall'inizio del viaggio. Pronti a ricevere e pronti a donare.
La casa della parrocchia ha un sapore antico, è pulita, su due piani, due saloni, cucina professionale, giardino con griglia e in fondo un prato con la grotta della Madonnina. Al piano superiore un corridoio, due camerate con letti a castello e un grande bagno con sette lavandini e specchi in fila. Abbiamo sempre tenuto in ordine la casa nonostante la sua grandezza, perché ce l'hanno data ordinata e perché ognuno di noi si è sempre reso disponibile, spesso silenziosamente, prodigandosi alla pulizia senza aspettare che il "santo" di turno saltasse fuori, semplicemente per non far pesare il compito a chi era più stanco. La mattina presto, preparata la colazione, molti di noi vanno a Messa.

In soli nove giorni è accaduto così tanto... Fino al 5 sera, data del concerto, durante le giornate tra la spiaggia e le cene ci aiutiamo anche a fare le prove e a pubblicizzare il concerto. Dovunque andiamo invitiamo, mettiamo un volantino e cantiamo: strade, piazzette, gelaterie, spiagge... Una signora canta a sua volta per noi, molti si fermano alle nostre finestre per ascoltare, una tedesca con famiglia sentendoci cantare ci chiede in italiano se lo facciamo «per professione o per gioia?». Non poteva trovare migliore traduzione...
Il giorno del concerto facciamo la prova generale della serata, intitolata Cor che sempre canta e sona. Il percorso è diviso in due parti: la guerra e la bellezza. Facendo parlare i canti partiamo dal dato che anche oggi ci sono delle fatiche, difficoltà (una malattia, un dolore, la crisi economica...). Poi solleviamo delle domande: perché il cuore di tutti gli uomini batte da sempre per le medesime cose? Per la fidanzata, la mamma, un fiore, una stella... Ed infine chiediamo: cosa può sostenere la vita dell'uomo, chi può sostenerlo? Così passiamo da canti che esprimono il dolore secco della guerra a canti che raccontano dell'offerta di sé a ciò che più si ha caro (Il testamento del capitano), ad altri sull'amore, fino ad arrivare al canto che diventa preghiera dove l'alpino, l'uomo, riconosce che tutto ha ricevuto, quindi raccomanda a Dio il proprio destino e coloro che ama. La chiesa è piena. Ci sono persone in piedi fino a fuori sul sagrato. Alcuni tra il pubblico, mentre cantiamo, piangono. Finito il concerto, continuiamo fuori: anche il pubblico canta. Non abbiamo mai cantato così. Abbiamo chiaro perché lo facciamo. Noi amiamo questi canti perché parlano al nostro cuore e sono lo strumento con cui trasmettiamo la nostra amicizia, la nostra passione per ciò che è bello. Il concerto non è stato il punto d'arrivo della nostra vacanza, ma di partenza.

Un fatto su tutti. In chiesa c'era una ragazza di nome Chiara. Alla fine del concerto è salita sull'altare e si è avvicinata a noi. Ha chiesto se poteva abbracciarci, ci ha guardati fissi negli occhi e ha detto: «Ora voglio tornare a venire a Messa. Era quello che aspettavo da tempo, quello che desideravo. Ora voglio tornarci. Sapete da quanto non vado a Messa?...». La risposta è stata: «Non importa, Cristo ti guarda in questo momento per tutto quello che sei stata e sarai, ma innanzitutto ti ama ora, nel presente». Le abbiamo chiesto perché le si è ridestato questo desiderio. E lei: «Mi è venuto dal cuore dopo aver ascoltato questi canti, mi hanno smosso il cuore per la loro bellezza». Uno di noi le ha detto: «La Bellezza che abbiamo testimoniato nel cantare sono esattamente i tratti propri, caratteristici, inconfondibili del Cristo Vivente, di Gesù che stava con i discepoli, di Gesù oggi nella Messa, nella Chiesa. Questo è l'Avvenimento: iniziare un cammino con disponibilità, ricevendo la grazia di riconoscere il Signore nella realtà. Occorre pregare per questo tutti i giorni della nostra vita».

La mattina dell'ultimo giorno eravamo tutti a Messa alle nove. C'era anche Chiara. La sua fedeltà a quanto le è accaduto ci ha stupiti e commossi, sempre presente, attaccata a noi.
Sarà bello ricordare questi giorni. Ma soprattutto sarà fondamentale far memoria di questo avvenimento che ha toccato innanzi tutto noi. La nostra compagnia è vera, perché vivendo insieme e cantando abbiamo tenuto aperto, anzi allargato il cuore alla Bellezza, ricevendo i fatti delle giornate. La fatica e la tensione per la prova, per il concerto, non ha prevalso. Ha vinto il desiderio di raccontare a tutti quello che abbiamo. La speranza nei giorni duri o nei giorni in cui si è "soli" ritorna come memoria di quanto siamo amati e privilegiati, come lì all'Elba. Dobbiamo ricevere ancora tanto. Siamo felici di tutto questo. Sappiamo che ci riempie il cuore perché Egli è presente.
Vittorio, Milano