I detenuti insieme ai frati di Sant'Antonio.

PADOVA Sant'Antonio e la ricetta nata dietro le sbarre

La "noce del Santo" è il nuovo dolce realizzato dai detenuti, a rendere omaggio a Sant'Antonio. La conferma che per sentirsi liberi serve un altro che ti guardi in maniera diversa. Come ha fatto il Santo otto secoli fa...
Emmanuele Michela

Padova, da giugno, può vantare un dolce in più: è la “noce del Santo”, ideata e prodotta da Rebus, un consorzio di cooperative (già famoso per “I dolci di Giotto”, la linea di panettoni e biscotti presentata al Meeting 2008) che unisce maestri pasticcieri e detenuti della casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Il dolce, dedicato a Sant’Antonio, è stato appena presentato al pubblico, e ha alle spalle una storia che prende inizio circa un anno fa.
È il giugno del 2008, e nel carcere di Padova vengono esposte le reliquie di Sant’Antonio. Numerosi detenuti rimangono colpiti da questo momento, come racconta il Rettore della Basilica del Santo, padre Enzo Poiana: «È stato un avvenimento imprevisto che attraverso la preghiera e la devozione sincera di tanti tra detenuti, agenti di polizia penitenziaria e operatori, ha portato molti frutti, tra cui il cambiamento del cuore di alcuni». In tanti si sono stupiti del singolare legame che c’è tra la vita del santo e i detenuti: non sapevano, per esempio, della preferenza per i carcerati da lui manifestata nel 1231 quando, poco prima di ritirarsi a Camposampiero, aveva chiesto al Comune di Padova di liberare le vittime dell’usura dalla pena del carcere.
Si è pensato quindi di rendere omaggio a questa figura, realizzando un dolce che la richiamasse direttamente. Per fare ciò, i detenuti, insieme agli operatori del Consorzio, hanno dato vita a un’autentica ricerca sulla vita del santo e sulla sua epoca: si è pensato in primo luogo di inquadrare il periodo storico in cui Antonio è vissuto, chiedendo collaborazione anche ai frati del Santo, così da poter scegliere gli ingredienti più prossimi a quelli in uso nel tredicesimo secolo, epoca considerata di transizione per l’economia europea. E dopo la ricerca, arriva il momento della pratica: ecco che si mescolano le noci, le mandorle, le nocciole e il miele, prodotti tipici di un’economia silvo-pastorale ancora in uso ai tempi del Santo; e in aggiunta, la farina integrale di frumento, frutto invece della nuova produzione di tipo agrario che prendeva piede proprio in quei decenni.
La sperimentazione è stata lunga. Alla fine il dolce è stato presentato, il 5 giugno. Data non casuale: è infatti in questi giorni (31 maggio - 12 giugno) che ricorre la “tredicina”, il periodo di preghiera al Santo che richiama a Padova numerosi fedeli.
L’assaggio ha conquistato il pubblico. Su tutti Cesare Bisantis, professore membro dell’Accademia Italiana della Cucina: «Tradizione e qualità sono due elementi fondamentali di questo dolce: hanno fatto risvegliare in me sapori antichi della mia breve storia, ma ancor più della tradizione culinaria del nostro paese». Ma soprattutto a conquistare è stata la vicenda di uomini che, pur vivendo dietro alle sbarre, riescono a riscattarsi grazie a qualcuno che riscopre il loro vero valore.