I volontari in ristorazione (©L. Giovanazzi).

DAL MEETING Io, la Rustichella e la pelle d'oca

«Ho costruito anch'io il Meeting, almeno un po'»: i volontari raccontano cosa hanno scoperto nella loro settimana. Dalla gelateria al ristorante, ecco una prima puntata di testimonianze

Alla notizia che al Meeting avrei lavorato di nuovo in gelateria, volevo spararmi: avrei dovuto passare un’intera settimana a lavorare con la responsabile della gelateria, che l’anno scorso con il suo carattere duro e sospettoso ci aveva messo in difficoltà.
Invece, ecco cos’è successo il secondo giorno. Quella sera non ho rispettato la pausa di mezzora per la cena e sono tornata dopo 50 minuti... La responsabile ha deciso, quindi, di mettermi in punizione, affidandomi tutti i lavori più duri senza l’aiuto delle compagne (lavare le celle frigorifere, pulire le vaschette e le palette del gelato...). Ma più mi vedeva contenta nel fare tutto ciò, con un’affezione per quello che mi chiedeva, più si arrabbiava e mi caricava di ulteriore lavoro, perché ancora non vedeva l’esito della punizione...
Così, alla fine delle pulizie, le ho detto: «Ti sei mai chiesta perché noi siamo volontari al Meeting?». Lei: «Mi hanno detto che siete universitari e che vi danno dei crediti extra per questo». Allora le ho risposto: «Non è proprio così. Se vuoi, ti dico perché lo faccio io: in università ho incontrato un gruppo di amici appassionati a tutto quello che facevano, che erano contenti anche nella fatica, che si gustavano la vita, e questo perché avevano incontrato Gesù. Anche io, attraverso loro, L’ho incontrato. E sono contenta di lavorare con te perché Lui c’è». Poi l’ho abbracciata, e lei si è commossa. Mi ha colpito molto questo fatto, perché solo un Altro può sciogliere il cuore di chi hai davanti...
Da lì è cambiato tutto: il suo sguardo, il suo modo di trattarci e, in noi, una coscienza maggiore nel lavorare. Questa responsabile ha iniziato a incuriosirsi per il modo in cui lavoravamo e per come la trattavamo. Al quinto giorno, le ho proposto: «Se vuoi, ti porto a vedere la mostra su don Giussani: così vedi di chi siamo figli e da chi è nato tutto questo». Ha accettato. È rimasta colpita dal volto di Giussani, sembrava una bimba con gli occhi sgranati che scopriva la cosa più bella del mondo e continuava a dirmi: «Ma sono io, sono io, io sono fatta così... Ho la pelle d’oca». Ha iniziato a scoprire se stessa e il desiderio infinito del suo cuore. Si sentiva sproporzionata, ma abbracciata e accompagnata da noi cinque. È nata un’affezione, tanto che ci ha chiesto di tornare a lavorare l’anno prossimo. Quando l’abbiamo salutata, per augurarle di non aver paura di quel che il suo cuore desidera le ho detto: «È perché c’è il gelato che la fame ha un senso».
Per la prima volta, lavorare al Meeting mi è servito a vivere di più tutto. Grazie a Uno che è accaduto, attraverso il nostro “sì” nell’essere seri e affezionati al lavoro, ho visto accadere il titolo di quest’anno.
Elisa

Durante questa settimana di lavoro mi perdevo spesso nei pensieri. Soprattutto nei momenti morti del turno, che non sono mancati, bastava vedere una faccia o sentire una voce, e queste situazioni mi ritornavano alla mente e mi intristivo. Tutto diventava più pesante: i panini “Camogli” e gli “Icaro” diventavano improvvisamente più pesanti dei sassi...
Ma più il Meeting è andato avanti, più questi momenti di tristezza non rimanevano fini a se stessi, grazie allo sguardo nuovo che stava entrando in me, riaperto dalle mostre e dagli incontri a cui partecipavo. Quei pensieri rimanevano, ma al posto di lamentarmi li ho vissuti un po’ più come domanda. Allora, anche scaldare bene una “Rustichella” diventava un’occasione per chiedere a Dio di farsi vedere e rispondere alle mie domande. Senza perdermi nei pensieri, ma facendo al meglio quello che dovevo fare, anche se era un lavoro semplicissimo. In questo credo di essere cresciuto, e di avere costruito questo Meeting. Almeno un pochino.
Samuele

Le cose grandi accadono. Come quest’incontro incredibile, mentre una sera uscivo dal bagno: una ragazza piangeva disperata, perché il Meeting era troppo grande e il suo cuore di fronte a questo scoppiava di gioia. Piangeva perché non riusciva a trattenere tutto questo...
Mi ha chiesto di abbracciarla e di pregare insieme a lei. Intanto ci ha raggiunti una mia amica, e insieme abbiamo recitato la preghiera dell’offerta di don Giussani. Quella ragazza ci ha raccontato di essere arrivata dall’Argentina, a 23 anni, ed era al Meeting per la prima volta, con degli amici: «Ho chiesto loro di pregare con me, perché qui tutto parla di Cristo», ci ha detto: «Ma loro avevano da fare altro e non mi hanno ascoltata... Volete pregare voi insieme a me?». Io mi sono commossa: il Meeting è questo! Quello che succede dietro le quinte, negli incontri con le persone... Certo, bisogna sempre fare i conti con la stanchezza, ma è tutto offerto a Lui: è il cuore che ci spinge a desiderare tutto questo.
Orietta

La mia settimana in caffetteria mi ha insegnato cosa significa obbedire, e quanto sia vero che chi segue Gesù e la sua Chiesa (che per noi corrispondeva a fare il caffè al popolo del Meeting) è felice, indipendentemente da cosa fa. Mi sono scoperta esaltata ogni volta che qualcuno mi chiedeva il caffè, e triste quando non veniva nessuno. Cioè, mi sono scoperta più vera se lavoravo, se facevo fatica (incredibile...), perché lì potevo finalmente servire ed essere anch’io protagonista.
Ringrazio anche per Patrizia, Luciano e tutti gli amici conosciuti in Pausa Caffè: mi hanno testimoniato una passione (per lo studio, la poesia, la vita...) che porto a casa con me. E mi hanno sollecitato a risvegliare il cuore, affinché non si accontenti ma desideri per sé solo cose grandi.
Noemi