L'ingresso del teatro dove si è svolto l'anniversario.

Tornati per incontrarlo

In tremila a Rimini per ricordare don Giancarlo Ugolini, a un anno dalla sua morte. Una giornata di festa. Tra amici, testimonianze e la memoria dei fatti che - segnando la sua vita - hanno cambiato tanti
Valerio Lessi

«Questa è la questione decisiva dell’esistenza: di fronte a quel Bambino, cosa fai tu? Cosa faccio io?». Al termine di una giornata intensa, come sigillo per la memoria, un video ripropone il faccione visibilmente commosso di don Giancarlo Ugolini mentre tiene un'omelia nella basilica della Natività in Terra Santa, un anno prima della sua morte.
Non voleva essere una commemorazione sentimentale che lascia tutti come prima, voleva essere un gesto di memoria perché potesse riaccadere per tutti quell'avvenimento che ha reso don Giancarlo “un padre di molti”, secondo la bella espressione di don Francesco Ventorino nell'omelia della Santa Messa. E così è avvenuto. Grazie anche a lui, che ha riproposto secondo lo stile "provocatorio" che gli era congeniale la questione fondamentale della vita.
La memoria di don Giancarlo ha radunato a Rimini un popolo di quasi tremila persone. Durante la celebrazione eucaristica che ha aperto la giornata, la chiesa di San Giuseppe al Porto, la cripta e il Teatro Tarkovskij erano pieni. Non c'erano solo gli amici di Comunione e liberazione, alcuni arrivati anche dalle vicine città della Romagna. Sono tornati a "incontrarlo" anche tanti che hanno abbandonato la storia cominciata insieme a lui o anche altri che l'avevano semplicemente incrociato sui banchi di scuola o nei primi anni del suo sacerdozio.
Il primo tornante decisivo nella vita di don Giancarlo, scomparso il 4 ottobre 2009, è stato l’incontro con don Luigi Giussani, prima indirettamente attraverso alcuni ragazzi milanesi in vacanza a Rimini, poi direttamente a Milano, rimanendo impressionato dalla sua uscita dal Berchet, travolto da un nugolo di ragazzi. «Ho incontrato qualcuno che speravo ci fosse», dirà molti anni dopo a commento di quel faccia a faccia.
Il secondo tornante, decisivo non solo per lui ma anche per lo stesso don Giussani e per quello che sarebbe diventato il movimento di Comunione e liberazione, lo ha ricordato Alberto Savorana nel corso delle testimonianze dedicate al sacerdote. È il terremoto del ’68, che a Milano dimezza Gioventù studentesca e a Rimini la riduce a un cumulo di macerie dal quale si salva una dozzina di persone.
Sono proprio queste persone, disperate e deluse, che in accordo con don Giancarlo decidono di chiamare don Giussani, senza alcuna aspettativa, solo perché "tanto, male non fa". Si vedono a Torello, quattro case sperdute vicino a San Leo. Anche don Giussani arriva a quell’incontro senza saper cosa dire, senza sapere come rispondere alla domanda: da dove ripartiamo?
Parlando a quel gruppetto di sopravvissuti di Rimini, il Giuss arriva al giudizio che costituisce la svolta: non ci si poteva più riferire alla tradizione, non si poteva contare su un progetto umano, occorreva ripartire dall'incontro con Cristo, cioè dalla "presenza".
Da quel giorno – era il 23 luglio 1968 - e dal quel gruppetto in cui c’era anche don Giancarlo, è rinato tutto. Cosa sia stato quel tutto lo ha ricordato don Francesco nell’omelia: «In una società non più cristiana, cioè dopo Gesù ma senza Gesù, aveva la pretesa di sfidare il mondo sulla convenienza del cristianesimo per un guadagno di una più grande umanità nella vita personale e di protagonismo della storia. Il vostro Meeting (di cui don Ugolini è stato uno dei fondatori, ndr) divenne poi "emblema di questa sfida che per natura sua è aperta a ogni uomo che cerca e che ama la verità e la felicità"».
Don Ventorino è stato l'uomo che ha aiutato don Giancarlo a superare la paura per il volo, andando insieme ad un pellegrinaggio in Terra Santa. «Nei luoghi scelti da Dio per farsi uomo e che rendono in modo particolarmente efficace contemporaneo a noi quell'incredibile avvenimento», ha raccontato, «non ci si stancava mai di sentirlo parlare della carne e dello spirito, della vita e della morte, dell’amore e del tradimento, con una profondità dello sguardo che raggiungeva l'eterno presente. Lì don Giancarlo ha lasciato il suo testamento, ha consegnato agli amici che lo seguivano le cose più care che custodiva nel cuore».