Luca Rapaggi.

Appassionato alla vita, fino alla fine

Nel 2006 Luca Rapaggi lasciò il suo lavoro di informatico per dedicarsi al Banco Alimentare, nel suo Trentino. Da allora, in tanti lo hanno seguito. Fino al suo ultimo giorno. «In una vita vissuta così, la morte non ha l'ultima parola»
Roberto Vivarelli

«Se interpreto bene quello che pensano i medici, mangerò il panettone a Natale, ma non la colomba a Pasqua». Invece Luca Rapaggi, 49 anni, bolzanino, non è riuscito nemmeno ad arrivare al panettone. Il suo pronostico - lasciandomi di stucco - me lo aveva confidato una sera di inizio novembre, dopo un’ennesima visita medica. I medici si erano arresi, avevano dichiarato esauriti i loro protocolli. Restava la speranza in fantomatiche cure alternative o nel miracolo. E Luca la vita a Dio l’aveva chiesta insistentemente, come ha ricordato padre Giacomo Milani introducendo la messa del funerale.

Ma quel pronostico su una fine vicina l’aveva fatto con la solita calma, con il consueto sguardo ironico che lo ha caratterizzato fino all’ultimo giorno, con quel modo di rivolgersi all’altro che rimandava sempre la palla nel campo dell’interlocutore. «Ma tu cosa vuoi?» sembrava chiedere sempre a chi gli stava di fronte, anche a chi con il groppo in gola andava a trovarlo negli ultimi giorni, distrutto, ma mai domato dalla malattia. Avevo appena letto il libro su Francesca Pedrazzini Io non ho paura, e volevo capire se era veramente possibile vivere con serenità sapendo di avere i giorni contati, lasciando la moglie Raffaella e due figli ancora ragazzi. Luca, con la massima tranquillità (e si capiva che non era uno slogan), con la figlia quindicenne Lucia al suo fianco, mi ha ripetuto due volte: «Anch’io sono lieto».

Luca, a Bolzano prima e in molti centri altoatesini poi, aveva messo in piedi il servizio del Siticibo, la raccolta di prodotti freschi del Banco Alimentare. Aveva raccolto una delle tante sfide della realtà che lo appassionavano: andare incontro ad un bisogno primario dell’uomo, quello del cibo. Aveva lasciato il suo lavoro di informatico e si era lanciato a tempo pieno in un progetto ancora allo stato delle idee, rischiando in proprio. Era il 2006 e da allora Luca, conquistando la stima degli enti pubblici e l’amicizia e l’entusiasmo di tanti volontari, ha reso il Siticibo in Alto Adige un servizio sempre più necessario, apprezzato e capillare.

Al convegno per i dieci anni del Banco Alimentare in Trentino Alto Adige, il 27 settembre scorso, tra autorità e testimonianze, i ringraziamenti erano tutti per lui, che se ne stava in disparte con il suo sorriso sornione e profondo, quasi a schernirsi, pensando probabilmente tra sé: «Io tra un po' non ci sarò più: toccherà a voi, smettetela di parlare, datevi una mossa». E così, tra una discussione di politica ed una sul calcio (le sue grandi passioni), Luca arriva alla fine: ancora pochi giorni prima di morire lascia un segno profondo nei giovani di una scuola della periferia di Bolzano ai quali in vista della Colletta aveva raccontato la sua esperienza del Siticibo. Nonostante la sua fatica nel parlare, nessuno di loro si era accorto della malattia, che lo ha vinto nel fisico, ma ha lasciato intatto fino alla fine il suo desiderio di verità.

Gli amici del Banco Alimentare hanno scritto: «La malattia e la morte non sono l’ultima parola su una vita vissuta così. Lo abbiamo visto e sperimentato insieme a Luca, stupiti e grati di tutto quello che ha generato ed ancora genera, nel lavoro, nella famiglia, nelle amicizie e nel cuore delle persone che lo hanno conosciuto. Questa possibilità di pienezza è reale ed è per tutti, oggi». E in una chiesa gremita da centinaia e centinaia di persone, il figlio Tommaso, 17 anni, lo ha ricordato così al termine della messa: «Mio padre mi spronava sempre a fare quello che amo di più e ad essere appassionato alla vita avendo uno sguardo particolarmente attento alle persone. Siamo fatti per vivere, ma un giorno moriremo - diceva - Dio dà una luce alla nostra vita, una fiamma, e sta a noi alimentarla per illuminare il cammino e far domandare al mondo: “Chi è costui, cosa lo spinge e soprattutto cosa ci guadagna?”. Quando uno semina bontà e amore non può che riceverne di ritorno cento volte tanto».