Maria Grazia Bighin, Chioggia.

Le sorgenti di Maria Grazia

Lella, per gli amici, è tornata al Padre il 15 dicembre scorso. Giovanissima conosce don Giussani. «Dopo una vita così, cosa ci rimane? Questa luce del suo volto, questa inesauribile sete di vitalità»

Maria Grazia Bighin, Lella per gli amici, nasce l’11 gennaio 1950 a Chioggia, sulla laguna veneta, da mamma Amelia e papà Michele. Prima di sette fratelli, frequenta il liceo classico ad Adria. In quegli anni, tornando da un incontro missionario subisce un grave incidente stradale nel quale rischia di perdere la vita. In quel contesto avverte la chiamata del Signore alla consacrazione.

Nel 1969 parte per una missione in Libia, ma durante il volo avviene il colpo di Stato di Gheddafi, che la costringe a tornare a casa. Successivamente verifica la vocazione nelle Piccole Sorelle di Gesù di Charles De Foucauld, prima ad Assisi e poi a Roma. Proprio attraverso un'amica conosciuta in questa esperienza, incontra don Luigi Giussani che la accoglie nel Gruppo Adulto nella casa di Gudo, dove rimane per una decina d’anni. In quel periodo consegue la laurea in Filosofia all’Università Cattolica di Milano avendo come professori, tra gli altri, don Luigi Negri e lo stesso don Giussani. Lavora come insegnante a Milano e Buccinasco, vivendo in diverse case del Gruppo Adulto per poi trovare il luogo di approfondimento della sua vocazione nella Fraternità San Giuseppe.

Mantiene per tutta la vita un legame stretto con la città natale, nella quale conserva e coltiva il rapporto con alcuni amici e i genitori, riconosciuti come punto originario della fede e della vocazione, e con i fratelli e i molti nipoti. Raggiunta l’età della pensione, mossa dal desiderio mai spento fin da giovane, parte per la missione in Colombia dove lavora come insegnante nell’Istituto Alessandro Volta di Bogotá. Nel 2010 rientra in Italia a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Vive gli ultimi anni a Buccinasco, dove porta a compimento la sua vocazione nel rapporto con amici ai quali lei dà tutto e che a loro volta la sostengono accompagnandola al Destino. Torna al Padre il 15 dicembre 2013, giorno del compleanno del suo amato papà Michele. Riposa accanto a lui e a mamma Amelia nel cimitero di Chioggia.

Maria Grazia non avrebbe mai voluto che si parlasse pubblicamente di lei. Per questo lasciamo parlare lei, attraverso le sue lettere.

La percezione, oggi, è che, comunque vadano le cose, sto arrivando alle porte di Gerusalemme, la Grande Città! Sono proprio in pace ed accompagnata in questo sordo e pesante dolore, quasi “bestiale” nella sua energica scossa di morte sulla mia personalità psichica. Anche se so che altra parte di me è ben forte e bardata dalla Sua armatura vincente e guerriera, l’esperienza terribile di oggi è questo schiaffo mortale. La prima domenica di Avvento iniziata ieri nel rito ambrosiano, la venuta a Milano della tenera e delicata Norma, l’anniversario della morte di mamma vissuto insieme con dolcezza ed amore, tutto è diventato un sì di accettazione, ed un sì non forzosamente pronunciato, ma scaturito dalla profondità del cuore, come un profumo di soave odore, senza nessuna violenza.
Ciò che mi fa paura, ora non è più così sordo e spaventoso: capisco che mi sto incamminando verso la Via della Pace, verso il territorio dove «scorrono latte e miele». Ricordi, don Angelo, il brano del Deuteronomio che mi ha accompagnato quando sono entrata dalle Piccole Sorelle? (la congregazione delle Piccole Sorelle di C. De Foucauld, ndr). Anche ora, in questo preciso anno, si avvicina quella stessa data, e quanto ricca di promessa compiuta, oggi più di ieri! Ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi! In questi giorni avrei potuto agire verso queste traversie in mille altri modi e sollecitare l’aiuto di molti. Fossi stata “diversa” come temperamento, avessi avuto una storia meno complicata, fossi stata in certo senso più malleabile e conciliante con gli altri… Senz’altro gli altri avrebbero potuto di più in certo senso mettermi a tacere ed “imbavagliarmi!”.

Fin dall’inizio della mia personale vocazione mi sono sentita «in capite et in cute!», Piccola Sorella di C. De Foucauld ed è così che il don Gius mi ha raccattata dal mio nulla ed ha amato ogni vibrazione del mio essere, sopportando il mio terribile carattere, senza mai togliermi il credito alla vocazione perché ero diversa dagli altri. E con questo mi ha rigenerato alla vita, fin da quando, arrivata a Gudo (la casa dei Memores Domini, alle porte di Milano, ndr) da un piccolo paese di mare in cui ero la “preferita” di mio padre (primogenita di sette figli! E da tanti considerata come un buon partito essendo anche la figlia dell’avvocato e del sindaco della città), per una scelta leale di povertà ed umiltà, ho preferito sparire dopo varie traversie dal contesto conosciuto per andare a chiudermi in una landa di campagna umida e nebbiosa, a soli 21 anni, lasciando ogni contesto familiare ed amicale.

Mi è stato evidente dall’inizio che questo cambiamento di stile di vita, anche se doloroso per me che a Chioggia avevo chi mi voleva bene, mi faceva approfondire il motivo della mia permanenza in Lui. E sulla bontà dell’incontro col movimento avvenuto successivamente alla vocazione, mai ho dubitato! Sono certa che se non avessi fatto questo incontro, se non fosse venuto il don Gius a casa mia, in Veneto, a “chiedere la mano” a mio padre, mai avrei potuto vivere felice la mia vita in altro modo! Io che dopo i primi mesi di postulandato dalle piccole sorelle di C. de Foucald, pure avventurosi per me che amavo la vita degli zingari e la gente del circo, affascinata anche alla moda dei “figli dei fiori” del ’68, non potevo permanere in un convento freddo ad espletare, dopo la maturità classica, i lavori manuali mai prima svolti e così pesanti che mi facevano stare male, soprattutto dopo il grave incidente automobilistico avuto tornando da un convegno missionario a cui avevo partecipato solo per cercarmi il moroso! Ma le storie sono così! Con tutti questi avvenimenti che hanno, formano la mia personalità rivestendola come di una corona di fiori, una ghirlanda da mettere fra i lunghi capelli di un tempo.

«Nel peccato mi ha concepito mia madre», ed è questa la ferita che non si rimargina se non in cielo, don Angelo! Ed infatti questo marchio stretto del peccato originale ce lo portiamo addosso dovunque andiamo: non possiamo reciderlo né limitarlo nel danno. È Lui che ci ha presi su di Sé con tutto il travaglio! Forse nel tempo della giovinezza, invasi da sacro furore di gratitudine per il dono della vocazione ricevuta, quasi pensandolo come un merito nostro, ci siamo illusi di potere cambiare qualcosa di noi in meglio. Quasi potessimo diventare noi, con le nostre sole forze, un’offerta a Lui gradita ed il merito rimanesse “nostro”. Ma Lui ci ha risposto: «Senza di Me non potete fare nulla». Ed ancora ha aggiunto: «Non voglio olocausti né vittime per la colpa, l’offerta non gradisco». Ora capiamo meglio: sei Tu, Signore, che compi il miracolo. Sei tu che «gli orecchi mi hai aperto», allora ho detto: «Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà». Sono io, oggi, che mi piego a Te, non viceversa. E poi il brano più bello. «E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”». Dopo una vita trascorsa così, cosa ci rimane? Queste sorgenti in Lui, questa Luce del Suo Volto, questa inesauribile sete di vitalità, questo desiderio di non più avere sete, questa mendicanza nostra che salvi la cattiveria di cuori, soprattutto di quelli che ci hanno conosciuti e ci hanno chiuso la porta in faccia, non ci hanno aperto, ci hanno tolto credito e stima perché non corrispondevamo alle loro misure, alle loro aspettative e non abbiamo gratificato la loro prevaricazione su di noi! Io sono oggi certa che ogni scelta che ho fatto nella vita, è stata buona, perché è avvenuta secondo un’indicazione chiara.
Ciao, abbi pazienza con me! Poi Lui completerà per me l’opera Sua, non abbandonerà l’opera delle sue mani. Solo in questa certezza riesco a respirare e comunicarti di me!
Ciao, oremus ad invicem!
19 novembre 2012

Carissimi compagni di cordata, oggi occorre fissare lo sguardo sulla Vera Gioia che mai ci sarà tolta: c’è una Speranza che incede già ora, più alta di ogni nostra miseria. «Il Signore è risorto». «Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte».
Lo stupore è di essere ancora in vita e non per le forze residue che invece sono del tutto azzerate. Occorre, poveramente, accettare una totale mancanza di autonomia alla quale non ci si abitua mai. Ma è questa la strada alla conversione di sé: io avverto allo stesso tempo la forza dello Spirito per uno trascinamento di Lui verso l’altra riva del mare, trascinamento “gratuito” che avverto proprio reale quando sono al limite della disperazione e lotto per «sperare contro ogni speranza».
Offrire l’oggi così come si presenta, per volti amici che corrono con me sulla stessa strada mi è prezioso più di mille pezzi d’oro e d’argento.
Da un augurio di Pasqua