Don Luigi Giussani.

Sui gradini della scuola (e della vita)

All'istituto "La Zolla" di Milano, la presentazione del libro di Alberto Savorana. Tra i relatori, docenti dal mondo della scuola e dell'università. Una possibilità di incontrare più da vicino l'uomo che fu vero "inizio" di quest'opera educativa
Daniele Gomarasca

Ci sono dei gradini anche all’ingresso della Scuola “La Zolla” di Milano, in entrambe le sue sedi. Non sono tre gradini, a dire il vero, e ciò potrebbe rendere poco trasparente una possibile analogia con il famoso accesso al liceo Berchet, dove don Giussani incominciò la sua straordinaria opera educativa. Eppure “La Zolla” deve al carisma di don Giussani persino le ragioni della sua fondazione quando, più di quarant’anni fa, un gruppo di genitori volle costituire una cooperativa perché anche i propri figli potessero essere raggiunti e toccati nel profondo dalla bellezza che quell’uomo aveva incominciato ad introdurre in quel liceo milanese, dilatandola poi fino ad abbracciare il mondo intero. Ecco la ragione per cui, nella sera del 15 ottobre, si è voluta offrire a tutti i genitori e ai docenti della Zolla la possibilità di incontrare più da vicino don Giussani, attraverso la presentazione del libro che ne raccoglie la biografia.

«Riflettere sulla vita di don Giussani significa riflettere sulla nostra vita»: con queste parole Lorenza Violini, presidente del consiglio di amministrazione della scuola, ha introdotto gli interventi dei relatori, accomunati da una personale implicazione nel mondo della scuola e dell’università. Il primo ad intervenire, Giancorrado Peluso, professore di un liceo milanese, ha tenuto a ricordare anzitutto la sua personale amicizia con don Giussani, e la persistente appartenenza al carisma del fondatore. L’ha fatto in modo estremamente piacevole, da bravo insegnante di italiano, ossia sciorinando bellissime citazioni, per documentare che «quello che uno veramente ama non gli verrà strappato», come dice Ezra Pound. Anzi, a poco a poco, cambia la vita propria e degli altri. La commozione che ha spinto don Giussani all’insegnamento, «per strappare al vuoto e alla vacuità i suoi giovani», per aiutarli a «riscoprire una vita reale che può compiersi nell’incontro con Cristo», quella stessa commozione con cui lui ci ha afferrato può essere all’origine oggi della nostra personale iniziativa. Anche perché «la sfida degli anni Cinquanta si ripropone ora in modo ancora più radicale», in un tempo in cui, proprio come allora, «l’essere cristiani non ha alcuna incidenza sulla vita», e il relativismo «per cui tutto è uguale a nulla» ha di fatto sostituito ogni ideologia. Fare lezione allora, anche oggi, può essere «un avvenimento: il bello e il vero che portiamo in classe fa vibrare l’esigenza eterna di cui ogni ragazzo è fatto». A condizione di «scommettere sulla libertà dell’altro», senza volere compiere al suo posto i passi che a ciascuno sono chiesti «per diventare veramente se stesso».

Ha preso poi la parola Chiara Giaccardi, docente di linguaggi dei media all’Università Cattolica di Milano, che si è confrontata «da mamma e da insegnante» con alcune parole che, ritrovate come centrali nella vita di don Giussani, sono state riscoperte come piene di significato. Parole come realtà, desiderio, esperienza e libertà, «sprigionate dagli slogan e dalle etichette», sono state individuate come strumento potente di incontro nell’opera di don Giussani, di un uomo cioè totalmente immedesimato col “punto di vista” dei suoi interlocutori, chiunque fossero, e perciò capace di rendere «il reale luogo di un incontro» vero, che «lascia il segno».

Ha chiuso la serata l’intervento di Giorgio Vittadini, docente universitario di Statistica, ritornando ancora una volta sulla definizione di educazione di don Giussani, come «introduzione alla realtà totale». Non con una teoria però: perché don Giussani «non parlava di educazione, ma educava». E il punto di partenza per lui, «il primo ingrediente dell’educazione è l’umano nel suo essere triste, mancante di qualcosa. Perciò era innamorato di Leopardi». Ogni uomo, anche il cristiano, «è segnato da una ferita». A tal punto che, poco prima di morire, don Giussani si è fatto cantare Noi non sappiamo chi era, «mendicando fino all’ultimo istante il volto di Cristo», di chi cioè rispetta questa tristezza, si lascia percuotere e si commuove per noi. Aver conosciuto don Giussani, ha concluso Vittadini, è stato come «essere raggiunti personalmente, attraverso tutta la storia, dalla infinita benevolenza di Cristo», che «vuole riempire ogni vita, anche quella dell’uomo più sbagliato». Sui gradini, tanti o pochi, ripidi o a volte accomodanti, di ogni strada.