Sacro Monte di Oropa.

Costretti ad alzare gli occhi dalle nostre scarpe

Erano in 170 alla convivenza dei giovani lavoratori guidata da Claudio Bottini. Tre giorni vissuti insieme per riscoprirsi in cammino. E vedere che è possibile affrontare tutto con intensità, dentro «una compagnia al lavoro»
Francesca Zurlo

Sabato mattina il sole splende sul santuario di Oropa. Persino il cielo ci accoglie e ci costringe a spostare lo sguardo dalle nostre scarpe al panorama che si apre sui monti attorno allo storico santuario dedicato alla Madonna, dove oltre 170 giovani lavoratori (con l’eccezione di qualche universitario, invitato e incuriosito da questa assortita compagnia) si sono ritrovati per una convivenza di tre giorni, guidati da Claudio Bottini.

Già da venerdì sera, quando abbiamo guardato insieme il video per i 60 anni di Comunione e Liberazione, ci è stato subito ricordato che, come all’inizio, l’unica cosa che occorre per amare la vita è continuare a dire sì. Sì quindi a quello che ci veniva proposto, sì ai volti presenti e sì al continuo richiamo alla bellezza. Racconta Marta mentre scendiamo dai monti dopo una scarpinata prima di pranzo: «Quando mi hanno invitata avevo un po’ paura di sentirmi fuori luogo, perché conoscevo solo due o tre persone, e invece arrivata su le mie paure sono state smentite e mi sono sentita a casa. Questa familiarità mi ha colpita e mi ha fatto accorgere che è possibile solo perché in questa compagnia c’è quello che il mio cuore desidera, cioè la compagnia di Gesù».

La processione con il paese, l’incontro con Roman Sigov, diciassettenne ucraino che ci ha raccontato degli eventi di Piazza Majdan, la serata di musica con Carlo Pastori e Walter Muto, l’assemblea conclusiva, ci hanno testimoniato come diventa grande la vita quando l’uomo accoglie quello che gli capita.

Come? Lo dice don Nicolò, vice rettore del seminario della Fraternità San Carlo, quando alla domanda: «Che cosa ti ha colpito di più di questi giorni?», risponde: «Che siete al lavoro!». Un lavoro che non si fa da soli, ma in una compagnia come questa, in cui uno può essere veramente se stesso e libero di porre le domande che albergano nel suo cuore. «Mi colpisce come ci teniamo al nostro destino, come ci guardiamo e ci vogliamo bene. È palese per la mia vita la convenienza di stare con queste persone», ha detto Elisabetta. «So che c’è un bene che vince anche nelle circostanze faticose». Come sta scoprendo Chiara, che a tavola spiega agli amici: «Il punto non è che la vita sia tutta a posto, ma che si possa essere lieti anche nelle sofferenze». Di questo se ne è accorta anche grazie alla canzone Riso e prezzemolo di Pastori, sulla morte della madre. Per Cristina è un’esperienza da tempo, ma è sempre una commozione vedere come, «fin dalla partenza, c’è stata una disponibilità alla condivisione e all’accoglienza, per me evidente perché necessito di tanti aiuti: dal carico dell’auto fino a trovare una persona disposta a camminare tenendo il mio passo. Ecco perché questo aspetto, un tempo fastidioso, sta diventando sempre più amabile, segno di un Amore più grande nella mia vita».

«Al risveglio mi sazierò della Tua Presenza», è la frase del Salmo con cui Bottini ha iniziato l’assemblea domenica mattina. «Siamo dominati da questo o dalle nostre preoccupazioni pur giuste? È per amore a questo, ragazzi, che si può dire sì in qualsiasi condizione. Non serve essere buoni, in pace o giusti. Quanta resistenza facciamo, quanti se, quanti ma… Eppure è solo nel sì al modo e al momento in cui il Mistero ci chiama che lasciamo che il bene agisca nella storia. Perché è lui che ci cambia non i nostri sforzi». È proprio così, ha concluso Cristina: «Si impara nel tempo, lentamente, ad amarLo sempre di più».

Abbiamo visto che è possibile affrontare con vera e sincera intensità tutto: la gioia, il dolore, le domande e le risposte. Roberta, arrivata sabato pomeriggio nell’impatto con volti contentissimi o piangenti, ha capito che: «Anche io voglio essere così: ferita e contenta. E mi rendo conto che è possibile solo dentro a un luogo che mi aiuta a vivere intensamente come il mio cuore desidera. Questo è il metodo dell’esperienza». Insomma, ora più che mai, ci troviamo come don Giussani ci ha insegnato: in cammino.