Il Family Happening, nel centro di Verona.

Famiglia: un amore da cui scaturisce un compito

Matrimonio, accoglienza della vita, educazione. Sono i temi centrali del Family Happening, che ha animato il centro del capoluogo veneto. Quattro giorni di incontri, mostre e spettacoli, per una festa permessa da oltre duecento volontari
Francesca Mortaro

Duecentocinquanta volontari nel centro storico di Verona. Tutti con la maglietta arancione. Sono loro che hanno costruito il Family Happening. Una gratuità scaturita da un amore, come spiega Matteo, segretario generale della manifestazione: «Se si ha chiaro quello che si fa, il compito diventa meno gravoso e la responsabilità più interessante». Nel lavoro, nei gesti quotidiani, e anche nella vita di coppia.

“Come un bel giorno: dall’amore, un compito”, titolo tratto da una frase dello scrittore Albert Camus, è stato il filo conduttore di un week end "lungo" (dalla sera di giovedì 10 a domenica 13 settembre) fatto di incontri, mostre, laboratori per bambini e spettacoli. «Siamo rimasti molto provocati da due aspetti, quest’anno», racconta Dora Stopazzolo, presidente del Family Happening: «Innanzitutto la crisi dell’istituto familiare minacciato da più parti, a livello culturale e istituzionale, non sufficientemente protetto dalle leggi, e la diffusione di una mentalità che non crede forse più nel valore della famiglia. Ci ha ferito molto anche il grigiore che si trovano di fronte molti giovani che hanno compiuto il loro percorso scolastico normale e devono affrontare le scelte fondamentali della vita: la famiglia e il lavoro. Di fronte a tutto questo ci siamo chiesti: da quale avvenimento, fatto, scintilla può scattare l’energia per entrare nella realtà, per impegnarsi con la realtà? Tanti si lamentano che i giovani sono fiacchi, disimpegnati, non hanno idee, sono traviati dai telefoni e da internet. Ma che cosa può farli ripartire?». Una domanda a cui si trova un inizio di risposta nelle facce liete dei presenti. Volontari e visitatori, amici che si incontrano, famiglie che condividono una quotidianità fatta di gioie e fatiche. Tutti in piazza, a festeggiare una bellezza che può interessare chiunque.

Insieme alle famiglie, erano presenti al Family Happening anche tante associazioni. Dai “Giovani di Betania” all’”Associazione Aquila”, da “Alzheimer Verona” fino al “Movimento europeo per la difesa della vita", solo per citarne alcuni. «La cosa interessante è che noi del Family Happening non siamo da soli», spiega Dora: «Ci sono il Comune di Verona, la Provincia, la Consulta della Famiglia e soprattutto una quarantina di gruppi e associazioni di volontariato che si occupano chi dei bambini, chi dei giovani, chi dell’handicap, chi dell’accoglienza e dell’affido. Tutti sono qui per dare il loro contributo fattivo per fare vedere che c’è una vita fatta di bene».

Protagonisti della manifestazione, i bambini. Per loro sono stati organizzati dei laboratori e giochi divertenti, ma anche educativi. «Ho conosciuto il Family Happening tre anni fa e sono rimasto colpito dallo spirito di questa manifestazione, che era quello di sostenere e aiutare la famiglia», racconta Andrea del Randa Club, che prosegue: «Lo stesso che ha sempre mosso la nostra associazione. Per questo ci siamo implicati per dare il nostro piccolo contributo».

Altro tema caro alla manifestazione veronese è quello della vocazione alla famiglia: la chiamata a portare avanti un progetto basato sull’amore tra un uomo e una donna e sull’accoglienza della vita. Un compito grande che deve essere sostenuto da qualcosa di grande, spiega Mattia durante l'incontro conclusivo, raccontando del suo rapporto con la moglie Anna prima del matrimonio: «Finito il liceo, sono andato a studiare a Milano, all’Università Cattolica, e mi sono sempre più coinvolto nella vita della comunità di Comunione e Liberazione. Così inizio a verificare la convenienza, la bellezza della fede nello studio come in tutti gli aspetti della vita. Pian piano si è stagliato sempre più nettamente sullo sfondo delle giornate, un rapporto reale, intenso, con Cristo, che è sostanzialmente diventato, nella concretezza di una compagnia di amici, il mio centro affettivo. Il protagonista discreto ma reale delle mia quotidianità. Di questo Anna si è accorta, perché ero più attratto da quella vita in università che da lei. Non era più lei al centro».

«Questo l’ha fatta anche soffrire», continua Mattia: «Si chiedeva: mi vuole ancora o non gli interesso più come prima? Nel tempo però questo coinvolgimento totale con Cristo e con la vita della comunità mi ha ridonato lei. Ho iniziato a scoprire veramente cosa vuol dire che è segno di un Altro. E così mi sono reinnamorato di lei. Questo perché per me era divenuta accessibile, effettiva l’esperienza del segno. Mi ricordo ancora benissimo la sera, in Lungadige Panvinio, in cui per la prima volta, guardandola negli occhi mi è sgorgata dal fondo del cuore una profonda commozione nel dare del Tu a Dio. Mi ha fatto capire che cosa vuol dire che la fede cambia lo sguardo, che l’altro è un dono: c’è una Presenza che me lo dona adesso, in questo istante. Quella sera, mi ricordo, mi sono detto: un rapporto così “toccato” dal Mistero, così abitato dal Mistero, non può che essere per sempre».

Un amore da cui scaturisce un compito. Quello della famiglia, della responsabilità sui figli, sul marito o sulla moglie e nei confronti della società. Un compito pieno di operatività e di vita. Che richiede un sì quotidiano, uno stare di fronte a ciò che la realtà mette davanti giorno dopo giorno. Lo ha sottolineato don Stefano Alberto in chiusura dell’undicesima edizione del Family Happening leggendo la lettera di Luca, papà di Giacomo, bambino di tre anni spentosi dopo una grave malattia: «In questi anni abbiamo sempre sentito definire questi bambini come dei guerrieri, a noi Giacomo è sempre sembrato un bambino non che lottava ma che obbediva a quello che la sua vita gli chiedeva. Ha affrontato ricoveri di mesi sempre sorridendo e felice. Perché era felice pur essendo chiuso in una stanza di ospedale? Perché con lui c’erano sempre la mamma, il papà e i nonni, i suoi grandi affetti. Siamo grati al Signore per questi anni in cui ci ha permesso di curare Giacomo. Grati perché con Giacomo è stato chiaro, e abbiamo sperimentato, che cosa significa la dipendenza. Grati perché con Giacomo abbiamo capito cosa significa lasciarsi amare per ciò che si è senza fare nulla di più. Ecco perché abbiamo scelto questa frase che bene lo descrive: l'importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare».