Giovanni Paolo II in Polonia.

Retti, sorretti e corretti dal volto dei santi

C'è ancora qualcosa da dire sul Papa polacco? Che cosa significa che la Chiesa lo "canonizza"? Presentato alla Cattolica di Milano il libro-intervista di Gian Franco Svidercoschi al cardinale Dziwisz. Gli interventi di Scola, Geninazzi e Bocci
Michele De Petri

«Cosa è, nella Chiesa, una canonizzazione? Chi è un santo?» Queste le domande che il cardinal Angelo Scola ha rivolto giovedì pomeriggio all’aula magna della Università Cattolica di Milano, gremita per la presentazione di Ho vissuto con un santo, il libro intervista del vaticanista Gian Franco Svidercoschi al cardinale Stanislaw Dziwisz, storico segretario personale ed amico di Giovanni Paolo II.
Al tavolo con l’autore e l'arcivescovo di Milano erano seduti Lorenzo Ornaghi, ex rettore dell’ateneo, il suo successore, Franco Anelli, Luigi Geninazzi, giornalista di Avvenire inviato in Polonia negli anni di papa Wojtyla, e Maria Bocci, professoressa di Storia contemporanea della stessa università.

Ha aperto l’incontro il rettore Anelli, presentando gli aspetti salienti della figura di Giovanni Paolo II: «Egli è stato il primo santo della contemporaneità e dei mezzi di comunicazione di massa: vicino alla gente grazie ad essi, ma non prodotto degli stessi».

Proprio la pervasività della comunicazione nel lungo papato di Giovanni Paolo II fa porre a Geninazzi un interrogativo che suona provocatorio: «C’è ancora qualcosa da dire su Giovanni Paolo II?» Secondo il giornalista sì, «non solo e non tanto per ammirarlo per ciò che ha fatto, ma chiedendoci perché lo ha fatto», come disse lo stesso Papa polacco: «Cercano sempre di capirmi dal di fuori, ma io posso essere capito solo dal di dentro». Senza questa prospettiva, secondo il giornalista, non si può capire nemmeno il suo carattere «cordiale, profetico ed ironico». Come quando, durante la sua seconda visita in Polonia nel 1983, mentre vigeva la legge marziale, parlando della vocazione ai giovani dal palazzo vescovile di Cracovia, scherniva il regime: «Tutti hanno una vocazione. Anche questi poliziotti in divisa qui davanti. Tutti. Anche i poliziotti senza divisa, là in fondo, anche loro hanno una vocazione». «Grazie a lui, la gente nella Polonia sovietica rideva e gioiva. Era già libera», ha sottolineato Geninazzi: «Wojtyla non è stato un Papa politico. Ha liberato la Polonia stappandola al regime e rivendicandola a Cristo, grazie a un’energia che veniva dal suo essere conquistato da una presenza, dall’intima unione con Dio: egli era un contemplativo in azione». Un esempio di quella potenza si è visto nelle immagini d’archivio del video preparato per l’occasione dall’Università, in cui sono state raccontate le visite del Pontefice al Policlinico Gemelli di Roma il giorno dopo la sua elezione e alla sede milanese dell’Università il 22 maggio 1983. Le immagini dei chiostri pieni di studenti e del Papa che vi passava benedicendo e salutando la folla tra canti popolari polacchi e foulard di Solidarnosc rendono l’idea di quanto raccontato da Geninazzi.

Il rapporto tra il Papa polacco e l’ateneo dei cattolici italiani è stato l’oggetto della ricerca di Maria Bocci tra le carte d’archivio e i discorsi, ritrovando «un maestro per l’Università Cattolica, che ha aperto un varco per la riscoperta dell’identità e dello scopo dell’ateneo». Il filo di quel rapporto risale fino al 1958, facendosi sempre più solido nei venti anni successivi, grazie soprattutto al direttore amministrativo dell’Università, Giancarlo Brasca, definito «l’amico italiano del Papa» dai giornali il giorno dell’elezione. Un momento decisivo fu la visita di Wojtyla nel 1977 alla sede milanese, quando tenne un discorso agli studenti, il cui testo inedito è stato ritrovato per l’occasione dalla professoressa Bocci. Il futuro Papa paragonò la situazione polacca e quella italiana: per i cattolici italiani esistevano ancora molti canali di affermazione e di presenza nella società, come le associazioni e i partiti, ma la mancanza degli stessi in Polonia rendeva la scelta più radicale, tra la fede e la sua negazione, perché «chi sceglie la fede in Polonia non fa carriera». «Un discorso che fece scoprire ai testimoni un’esperienza di fede radicale e coinvolgente», ha raccontato la professoressa. Dopo l’elezione, i discorsi e i documenti indirizzati al mondo accademico furono moltissimi e fornirono un «sicuro orientamento alla comunità universitaria», ricordando alle università cattoliche la propria identità.

Anche Scola nel suo intervento ha portato alla luce un rapporto, il suo con Giovanni Paolo II: non tanto quello passato, quanto quello presente: «Ciò cui assisteremo il mese prossimo è una pro-vocazione. Canonizzazione deriva dal greco canon, che significa bastone su cui reggersi, regolo con cui misurare e, nella tradizione giudaico-cristiana, regola di vita. È la chiamata ad interrogarci su cosa significa essere cristiani oggi. Nel santo si riconosce che Gesù Cristo in persona è stato all’opera nella vita di colui che è canonizzato. Per questo torna nel mio cuore la tensione alla santità simile a quella piena di pace di questo grande uomo». Che insegna a noi che «la causa del Vangelo è strettamente legata alla causa dell’uomo e che la Chiesa non è per sé ma per la missione: essa deve far trasparire Cristo, in ogni sua realizzazione, anche in università». In questo Giovanni Paolo II fu, secondo Scola, un vero esempio: «Ciò che impressionava di lui era l’assoluta trasparenza grazie alla quale si vedeva che il suo io era innanzitutto strutturalmente rapporto con Dio».

Questo rapporto è il motore e il frutto di un processo di semplificazione, ha spiegato l’arcivescovo: «Di semplificazione della vita. Occorre togliere ciò che è di eccesso, come diceva Michelangelo: trarre la forma dal blocco indeterminato di marmo. Bisogna però avere in mente quale è la forma: ecco allora i Santi». Si può così imparare uno stile di vita: «Come dice la Didaché: "Cercate ogni giorno il volto dei santi e trovate riposo nei loro discorsi”. Da essi sei retto, sorretto, e, se necessario, corretto nei passi del tuo cammino».