Papa Francesco sul volo di ritorno dal viaggio negli Usa.

«I muri per fermare i migranti crollano, non sono la soluzione»

L'intervista a Francesco sul volo di ritorno dagli Stati Uniti. Dall'accoglienza calorosa degli ultimi giorni al perdono per gli abusi sessuali. Perché la vera sfida della Chiesa è essere sempre più vicini alla gente (da Vaticaninsider)
Andrea Tornielli

Le barriere di filo spinato, i muri per fermare i migranti «prima o poi crollano, crollano tutti, non sono la soluzione» e aumentano l'odio. Lo ha detto Papa Francesco nella conversazione con i giornalisti sul volo dell'American Airlines che da Filadelfia lo ha riportato a Roma. Bergoglio ha parlato degli abusi sui minori commessi dai chierici dicendo di comprendere le famiglie che non perdonano, ha parlato della comunione ai divorziati risposati e della sua recente riforma delle nullità matrimoniali spiegando che non si tratta di un «divorzio cattolico». Ha detto di amare il popolo cinese e di voler andare in Cina.

Che cosa l'ha sorpresa degli Stati Uniti e che cosa è stato diverso da quello che si aspettava? Quali sfide deve affrontare la Chiesa negli States?
«È la prima visita, non ero mai stato qui. Mi ha sorpreso il calore della gente, tanto amabile, una cosa bella, e anche le differenze tra Washington, con un'accoglienza calorosa, ma un po' più formale, e New York, un po' straripante, e Filadelfia, molto espressiva. Tre modalità diverse di accoglienza. Sono molto colpito dalla bontà e dall'accoglienza e nelle cerimonie religiose anche dalla pietà, si vedeva pregare la gente. Grazie a Dio è andato tutto bene, nessuna provocazione, nessun insulto, nessuna cosa brutta. La sfida: dobbiamo continuare a lavorare con questo popolo credente come abbiamo lavorato fino adesso, accompagnando il popolo nella crescita, nelle sue cose belle e nelle sue difficoltà, nella gioia e nei momenti brutti, quando non c'è lavoro, nella malattia. La sfida della Chiesa di oggi è quella di sempre: essere vicina al popolo degli Stati Uniti, non staccata dal popolo, ma vicina. E questa è una sfida che la Chiesa degli Stati Uniti ha capito bene».

Filadelfia ha avuto molte difficoltà per gli abusi sessuali. Ha sorpreso il fatto che parlando ai vescovi a Washington lei abbia offerto consolazione alla Chiesa. Perché ha sentito bisogno di offrire compassione ai vescovi?
«A Washington ho parlato a tutti i vescovi degli Stati Uniti. Ho sentito il bisogno di esprimere la compassione perché è accaduta una cosa bruttissima, e tanti di loro hanno sofferto, perché non sapevano e quando la cosa è scoppiata hanno sofferto tanto: sono uomini di Chiesa, di preghiera, veri pastori. Usando una parola dell'Apocalisse ho detto loro: so che state venendo dalla grande tribolazione. Quello che è accaduto è una grande tribolazione. Poi c'è quello che ho detto al gruppo di persone abusate: è stato quasi un sacrilegio! Gli abusi avvengono dappertutto: in famiglia, nel vicinato, nelle scuole, nelle palestre. Ma quando un sacerdote commette un abuso, è gravissimo perché la vocazione del sacerdote è di far crescere quel bambino o quella ragazza verso l'amore di Dio, verso la maturità affettiva verso il bene. Invece di fare questo, lo ha schiacciato con il male e ha tradito la vocazione, la chiamata del Signore. Nella Chiesa sono colpevoli anche quelli che hanno coperto, anche alcuni vescovi che hanno coperto. È una cosa bruttissima e le parole di conforto ai vescovi non significano: state tranquilli non è niente. Ma è dire invece: è stato molto brutto, mi immagino che abbiate pianto tanto».

Lei ha parlato molto del perdono. Ci sono tanti sacerdoti che non hanno chiesto perdono per gli abusi commessi. Lei li perdona? E che cosa pensa delle famiglie che non vogliono perdonare?
«Se una persona ha fatto il male, è cosciente di ciò che ha fatto e non chiede perdono, io chiedo a Dio che lo tenga in conto, lo perdoni, ma lui non riceve il perdono perché è chiuso. Tutti siamo obbligati a perdonare, perché tutti siamo stati perdonati. Un'altra cosa è ricevere il perdono. Se questo sacerdote rimane chiuso, non lo riceve, perché ha chiuso la porta dal di dentro. Si può solo pregare perché il Signore apra la porta. Non tutti possono riceverlo, non tutti lo sanno ricevere o sono disposti a riceverlo. E così si spiega perché c'è gente che finisce male la propria vita e non può sentire la carezza di Dio. Comprendo che le famiglie possano non perdonare: prego per loro, non le giudico. Le comprendo. Una volta una donna mi ha detto: quando mia madre capì che mi avevano abusato, ha bestemmiato contro Dio, ha perso la fede ed è morta atea. Io la comprendo questa donna. E Dio, che è più buono di me, la comprende. Sono sicuro che questa donna Dio l'ha accolta, perché quello che è stato distrutto era la sua stessa carne, la carne di sua figlia. Non giudico qualcuno che non può perdonare. Ma Dio è un campione per trovare vie di perdono».

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