Padre Georgij Orechanov.

ORECHANOV: «Guardiamo a voi cattolici per lavorare coi giovani»

«Qual è la sfida principale della Chiesa in Russia? L’educazione». Parola di padre Georgij Orechanov, vicerettore dell’Università ortodossa di Mosca. In attesa dell'intronizzazione del nuovo Patriarca Kirill, terza puntata del viaggio nel mondo ortodosso
Fabrizio Rossi

«Il compito più importante che la Chiesa ortodossa deve affrontare adesso? Senza dubbio l’educazione». Parola di padre Georgij Orechanov, 46 anni, vicerettore dell’Università ortodossa umanistica “San Tichon” di Mosca. La “San Tichon”, dove padre Orechanov insegna Storia della Chiesa russa, con le sue 11 facoltà è la più importante istituzione culturale del Patriarcato. Un ateneo nato 17 anni fa «per formare i quadri di tutti i campi della vita ecclesiastica, dai ministri del culto ai teologi», frequentato oggi da 3mila studenti. Mentre a Mosca si apre il Concilio locale, con il compito di eleggere il nuovo Patriarca, padre Orechanov presenta a Tracce.it le questioni aperte che attendono il successore di Alessio II. Spiegando perché proprio «la sfida educativa è un’occasione per collaborare con la Chiesa cattolica».
Cosa intende per «sfida educativa»?
La possibilità di dire una parola che faccia riflettere sul problema della fede, facendo capire il valore che ha questa domanda per ogni uomo.
Quale situazione dovrà affrontare il nuovo Patriarca?
In questi venti anni dal crollo del regime sovietico, abbiamo lavorato molto per attivare le nostre strutture e per riottenere le chiese e i monasteri confiscati. Ma sono solo problemi esteriori. La vera priorità ora è il lavoro con i giovani.
In che senso?
Tanti pensano che l’educazione serva a tenere i ragazzi lontani da droga e alcol. Sono convinto, invece, che il compito della Chiesa non sia evitare un pericolo ma offrire una proposta positiva. Non basta costruire oratori, scuole domenicali, centri d’accoglienza: dobbiamo presentare ai giovani i grandi ideali cristiani. Tutti i nostri sforzi devono essere diretti a questo scopo, ma venti anni non sono certo sufficienti.
Eppure oggi la Chiesa ha molta più libertà di azione.
Non viviamo più nella clandestinità, possiamo incontrare i giovani apertamente. Addirittura possiamo insegnare teologia in alcune scuole statali. D’altro canto, però, siamo in un mondo post-cristiano, che ha subito cambiamenti epocali. Se una volta lottavamo contro l’ateismo, oggi dobbiamo fare i conti con la totale indifferenza religiosa dell’uomo moderno.
Si può dire che in questi venti anni la situazione sia peggiorata?
È paradossale. Nel periodo sovietico i credenti correvano grandi rischi a procurarsi materiali sulla Chiesa, eppure riuscivano a trovare il modo. Oggi sono caduti tutti gli ostacoli, ma quel che manca è innanzitutto l’interesse per le proprie radici. E i giovani non conoscono la nostra storia.
Cosa può fare la Chiesa ortodossa per rispondere a queste sfide?
Va innanzitutto risolta una serie di questioni, dalla formazione dei religiosi ai problemi economici, dalla didattica nei seminari ai manuali scolastici. Sono sicuro che in questo campo una maggiore conoscenza reciproca della Chiesa cattolica ci farebbe crescere. Per me personalmente ha avuto un valore enorme vedere il Meeting di Rimini, è stata una vera scoperta: non immaginavo che esistesse nulla di simile. Anche il Meeting è un esempio di educazione all’opera.
C’è già qualche progetto in cantiere?
Il 16 febbraio verrò in Italia con una grande delegazione della mia Università, per visitare le opere educative del Patriarcato di Venezia. Penso che avremo molto da imparare da voi su questo.