Padre Marcello, al secolo Carlo Zucchetti.

Lo chiamavano il "Santo confessore"

Una vita semplice, spesa tra l'ospedale, il convento e il confessionale. Si è aperta l'8 dicembre, a Ferrara, la causa di beatificazione di Padre Marcello, «una testimonianza di cui, oggi, la Chiesa ha bisogno». Qui il racconto di un giovane parente

Ferrara, 8 dicembre 2014. Viene istituito nella Cattedrale il tribunale ecclesiastico. Al cospetto dell’arcivescovo Luigi Negri e di monsignor Ennio Apeciti, giudice delegato arcivescovile, una serie di personaggi si alza giurando di compiere con dovizia e zelo il proprio dovere; «davanti a Dio e agli uomini, con l’aiuto di Cristo…». Sono don Riccardo Petroni, il Promotore di Giustizia, il laico Fabio Ragazzoni “notaio attuario” e padre Romano Gambalunga, postulatore, dell’ordine dei Servi di Maria del Monte Carmelo. Quest’ultimo poi, si alza e legge il Supplex Libellus: chiede l’apertura della causa di beatificazione del Servo di Dio padre Marcello dell’Immacolata. Tra i giuranti anche padre Antonio Sangalli, vice-postulatore, carmelitano anche lui. Lo stesso che ha seguito la causa dei beati coniugi Martin.

La Cattedrale è piena; d’altronde padre Marcello (Carlo Zucchetti) qui lo conoscevano tutti. Carmelitano scalzo, originario di Vighignolo (Milano, 1914), aveva passato praticamente tutta la vita a Ferrara; dal ’48 all’84: trentasei anni. Lo chiamavano il “santo” confessore, perché confessava tutti sempre, a tutte le ore, anche la notte. Perfino il vescovo e molti preti della diocesi. Sua «caratteristica singolare», recita il Libellus, era l’uso del “noi” per cui si faceva uno con il penitente, «esortando quasi più se stesso, come se il peccato fosse suo». Era certo e «soprattutto dava la certezza», continua il testo, «che mai nessun peccato, per quanto orribile, avrebbe mai potuto superare la misericordia di Dio». Una vita normale, semplice, riservata, perché non amava apparire, vissuta nel triangolo tra il convento di San Girolamo, l’ospedale pediatrico Sant’Anna di cui era cappellano e la chiesa dove confessava. Per un certo periodo aveva anche insegnato religione all’Istituto Einaudi, di fianco al convento. Niente di particolarmente grandioso, dunque. A parte, forse, il suo sorriso e l’instancabile impegno con le persone di ogni genere. E proprio dalle persone viene la richiesta di “farlo santo”. Vox populi… Per questo le testimonianze raccolte sulla sua vita e quelle ancora da raccogliere, sono quasi tutte orali. Intorno a me, infatti, al terzo posto sulla navata di destra, ma pure in fondo, sono tanti gli anziani che assistono alla cerimonia. Loro Marcello lo hanno conosciuto. Così come lo hanno conosciuto mia madre e mia nonna. E bene, anche. Perché è cugino della nonna.

L’arcivescovo si alza, mentre i vari incaricati del processo firmano i documenti. «La santità è opera di Dio, accanto alla capacità di servizio di umiltà e castità dei servi di Dio», dice monsignor Negri: «Padre Marcello è stato una presenza che a distanza di anni segna ancora l’animo di chi lo ha conosciuto». Pur non avendo fatto nulla di esagerato, pur non avendo mai voluto imporsi. Di questa testimonianza ha bisogno la Chiesa oggi, mentre, continua l'arcivescovo Negri, «Ci avviamo a vivere i prossimi anni particolarmente difficili di una nuova evangelizzazione». Veramente il mondo di allora, come adesso (ora più che mai), aveva bisogno di uno sguardo così misericordioso. Il “santo” lo sapeva, cosciente che – cito ancora il Libellus«non si deve mai fare del peccato il centro gravitazionale morale», né si deve “meritare” la grazia. Come ripete in continuazione anche Papa Francesco.

L’officio prosegue solenne, ma semplice e veloce. Quindi viene data voce al Nihil Obstat della Santa Sede: il processo è aperto, si può fare. Viene cantato il Salve Regina e l’assemblea è sciolta, sempre in assoluta semplicità.
Ci dirigiamo al convento per visitare la tomba e mia nonna dice di essere colpita dal fatto che io, anche io, sono contento. Non se lo aspettava, pensava che fossi lì solo per accompagnare lei e la mamma. Unico giovane tra molti anziani, credeva che mi sarei annoiato, che non mi interessasse. Invece ero curioso di conoscere il “santo” di famiglia, mi interessa eccome. Ora ho la conferma: per testimoniarLo non occorre essere particolarmente dotati. Basta vivere quel che accade. Come con la nonna adesso, «davanti a Dio e agli uomini, con l’aiuto di Cristo…».

Giacomo, Milano