Padre Ioann Privalov.

RUSSIA Se i gradini del Berchet portano al Mar Bianco

Nel Nord della Russia, dove le chiese sono sempre più vuote. Un parroco di campagna che non si stanca di annunciare Cristo. Scoprendo in Giussani un «padre nella fede». Seconda puntata del viaggio di Tracce.it nel mondo ortodosso
Giovanna Parravicini

La città di Archangel’sk, affacciata sul Mar Bianco, è uno dei porti principali della Russia, a ventiquattr’ore di treno da Mosca. Proprio per la lontananza dalla capitale, nel corso dei secoli queste terre intrecciarono un rapporto particolarmente stretto con i monasteri, centri propulsori della cultura e della civiltà in quelle lande remote. Negli anni ’20-30 la campagna contro i contadini, portatori della tradizione cristiana, arrivò fin nei villaggi nascosti fra le sterminate foreste e i laghi del Nord, con deportazioni di massa e il sorgere del sistema concentrazionario, che proprio in queste zone ebbe il suo epicentro.
Il villaggio di Zaostrov’e, qualche chilometro fuori Archangel’sk, non fa eccezione: anche la chiesetta di legno dalle cupole celesti dedicata alla Presentazione al tempio, una delle poche rimaste aperte in epoca sovietica nella regione, ha avuto i suoi martiri. Oggi, questi volti e le loro storie si affacciano da vecchie fotografie e documenti ingialliti alle pareti di legno dell’atrio. E in mezzo a loro il volto giovane, sorridente del parroco attuale, padre Ioann Privalov, arrivato alla Chiesa alla fine degli anni ’80 direttamente dalle panche della facoltà di Pedagogia di Archangel’sk. La sua passione per la storia si è trasformata in un atto di memoria. Come padre Ioann ama ripetere, «il problema della nostra epoca è l’assoluta perdita della memoria. Esistono due diversi concetti, l’oblio e la perdita della memoria. Il primo è un dono di Dio (non è necessario, infatti, ricordare offese e paure), mentre la seconda è un peccato. Tra amore e memoria esiste un legame diretto: ricordiamo ciò che amiamo».
Le vecchiette hanno conservato la fede negli anni bui, ma non sono state in grado di renderne ragione, di trasmetterla ai propri figli. E con la progressiva scomparsa delle vecchiette la chiesa è condannata a svuotarsi. Un problema che non è solo ecclesiale: «La campagna russa ha sempre avuto una forte matrice cristiana, ma oggi neppure le vecchie generazioni ne serbano la memoria, e nel frattempo sono state chiuse anche le biblioteche sorte in epoca sovietica», sottolinea padre Ioann. Tv e videoregistratore sono le uniche fonti di alimentazione religiosa e culturale della popolazione rurale. Come dice Aleksandr Solženicyn (che padre Ioann era riuscito a invitare nella sua parrocchia poco dopo il rientro in Russia) alla «ruota rossa» nel Paese ha fatto seguito quella «di carta patinata». «Ho capito che non posso influire sulle sorti del mondo, della Russia, neppure del mio villaggio - continua padre Ioann -. Non posso impedire alla “ruota di carta patinata” di imperversare, ma posso impedirle di dettar legge nella mia vita, nel cuore dei miei amici in Cristo, in parrocchia».
Quest’argine è l’educazione, che non conosce limiti d’età o di istruzione: nella parrocchia di Zaostrov’e nascono una biblioteca, una scuola domenicale per i ragazzi, riunioni per adulti in cui a tema c’è anche l’attualità, e perfino gli autori letterari vengono letti alla luce dell’Avvenimento cristiano. Per la sua gente di campagna padre Ioann non ha avuto timore di invitare personalità come Solženicyn, Nikita Struve o la poetessa Ol’ga Sedakova. Nel salone annesso alla chiesa si affollano periodicamente esponenti di varie generazioni e categorie sociali: dagli «intellettuali» del paese ai ragazzini, ai veterani, e non manca neppure qualche «nuovo ricco». «La chiesa è dedicata alla festa della Presentazione al tempio: “Sretenie”, in lingua slava, cioè “incontro”. L’incontro, vale a dire un rapporto autentico, è esattamente ciò di cui la gente ha nostalgia», sottolinea padre Ioann.
Di incontri nella sua vita padre Ioann ne ha fatti tanti: con la fraternità ortodossa San Filaret, cui appartiene, con il metropolita Antonij di Surož… e anche con don Giussani. Si era procurato i suoi libri qualche anno fa, alla «Biblioteca dello Spirito», spinto dalla necessità di dare una conformazione giuridica alla fraternità San Filaret, e insieme ad altri amici si era messo a studiare le diverse esperienze comunitarie e i movimenti cattolici. Ma poi è scattato qualcosa: «leggendo e rileggendo» (sono parole sue) tutto quello che è uscito di Giussani in russo, ha scoperto la densità di parole come «missione» ed «esperienza», e soprattutto ha scoperto per sé «un padre». Racconta sorridendo: «Qualche tempo fa ho fatto una predica sulla missione, elencando varie personalità ortodosse che mi hanno guidato nel cammino; poi ho detto ai parrocchiani: “Scusatemi, ma tra questi miei ‘padri nella fede’ adesso devo citare anche un sacerdote cattolico, don Giussani. Perché lui mi ha testimoniato proprio questo: salendo i tre gradini di un liceo milanese aveva la consapevolezza di portare l’Avvenimento di Cristo nel mondo».
Il metropolita Antonij di Surož ha scritto che un incontro vero è per sempre. Sentendo padre Ioann non ho potuto non sobbalzare: il suo non era un parere, un apprezzamento ad un teologo. Non si può parlare con questo accento se non si è fatto un incontro vero, proprio come è capitato a chi ha visto e sentito parlare don Giussani. Ma in fondo, è esattamente ciò che è successo a lui: quante volte ci ha parlato di Cristo come se fosse stato lì con Lui e i dodici… La dinamica dell’incontro è la dinamica di un miracolo che si fa quotidiano.