Benedetto XVI inaugura l'account @Pontifex.

«Così siamo lì, dove i giovani si incontrano»

Un anno fa il primo messaggio di un Papa su Twitter. Ora l'ipotesi di Facebook. Perché «la Buona Notizia arrivi anche in questo nuovo spazio esistenziale». L'intervista a monsignor Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali
Carlo Melato

Meraviglia. È questa l’espressione che descrive l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei mezzi di comunicazione. Uno stupore che ricorre nei diversi documenti della sua storia, dalla Miranda Prorsus (“La meravigliosa invenzione”), la seconda enciclica di Pio XII del 1957 dedicata a cinema, radio e televisione; all’Inter Mirifica (“Tra le meraviglie”), il decreto promulgato da Paolo VI durante il Concilio Vaticano II, di cui ricorre in questi giorni il 50° anniversario. Ma se nel 1963 le “meraviglie” erano sostanzialmente quattro (stampa, radio, televisione, cinema) oggi la rete è aperta a tutti, macina numeri da capogiro e rappresenta una nuova frontiera anche per il Vaticano. Non a caso il primo tweet di @Pontifex, il profilo Twitter del Papa inaugurato con coraggio da Benedetto XVI e portato avanti da Papa Francesco, sta per compiere un anno. «La nostra missione è la medesima», ci dice monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali: «Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo innanzitutto con la testimonianza personale, come ci insegna Papa Francesco, e poi con le parole. Se vogliamo comunicare però dobbiamo sapere che di fronte a noi non abbiamo più semplici strumenti, ma tecnologie capaci di creare nuovi ambienti di vita che gli uomini e le donne del nostro tempo abitano».

L’esortazione dell’Inter Mirifica affinché la Chiesa e i fedeli non si chiudano in se stessi e non si chiamino fuori dai mezzi di comunicazione giudicandoli mondani è quindi ancora attuale?
Certamente. Quel documento segnò una svolta perché per la prima volta un Concilio ecumenico si interessava ai mezzi di comunicazione sociale ribadendo un giudizio positivo di fondo su strumenti considerati espressione dell’intelligenza umana e a disposizione dell’annuncio del Vangelo. Senza tralasciare i rischi e i pericoli di un’influenza negativa sugli individui e sulle masse venne perciò affermato con forza il diritto e il dovere della Chiesa di servirsi di questi media per portare avanti la sua azione pastorale e per rispondere all’esigenza di un annuncio missionario. Oggi i discepoli del Signore devono chiedersi come possono essere una presenza e quale linguaggio usare a seconda dei differenti strumenti, da quelli tradizionali a quelli più innovativi.

Cosa intende dire?
Credo che i cristiani più che ad annunciare il Vangelo su internet, siano chiamati oggi a essere presenza attiva, comunicativa ed evangelizzatrice in quell’ambiente esistenziale originato dalle nuove tecnologie che ha le caratteristiche di una rete. Le parole di Benedetto XVI sullo sviluppo delle reti sociali digitali che stanno contribuendo a far emergere una nuova agorà in questo senso sono illuminanti: «Se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante». Questo comunque non significa che gli strumenti tradizionali perdano di significato. Penso ad esempio che dovremmo recuperare la nostra presenza in campo televisivo e radiofonico.

In che modo?
Tra i media tradizionali ho volutamente tralasciato la stampa perché i dati parlano chiaro e ci dicono che i giovani non si informano più attraverso i giornali, ma grazie al web. Riguardo alle radio cattoliche bisogna dire che svolgono un lavoro importantissimo a favore di anziani e ammalati che hanno bisogno di una vicinanza, ma non sempre sono in grado di dialogare con i giovani e con i giovanissimi. In generale, la comunicazione presuppone un’ecclesiologia: a ogni visione di Chiesa corrisponde uno stile di comunicazione.

E quale comunicazione richiede la Chiesa “ospedale da campo” di Francesco?
Anche da questo punto di vista il Santo Padre ci invita a essere una comunità aperta e dialogante, rispettosa di tutti, che abbia simpatia per l’uomo e la donna di oggi. Una Chiesa che non si chiuda in se stessa, che rifiuti la cultura dello scarto e proponga quella dell’incontro.

Un anno fa la decisione di Benedetto XVI di aprire un account su Twitter venne accolta con una certa ilarità sul web, anche se le critiche più feroci arrivarono dal mondo cattolico e da alcuni vaticanisti di lungo corso. I più gentili dissero che Ratzinger era stato "consigliato male"…
Ricordo bene. In realtà eravamo assolutamente consapevoli delle difficoltà a cui andavamo incontro. Nel mondo dei social network si può trovare di tutto, anche contenuti negativi, irrispettosi e volgari. Consigliammo Twitter al Pontefice perché sembrava rispondere a un suo esplicito desiderio: essere là dove gli uomini si incontrano.

Altri sottolinearono il fatto che la figura del Papa era stata esposta agli insulti o comunque che il suo messaggio avrebbe perso di autorevolezza in una piattaforma che, tra l’altro, mette tutte le persone e tutte le opinioni sullo stesso piano.
Meditammo attentamente il problema delle offese e del turpiloquio. Preferimmo però continuare a essere presenti e l’oggi ci dà pienamente ragione. Inoltre è bene ricordare che anche Gesù sulla croce veniva offeso: "Lo deridevano" dice il Vangelo. Se qualcuno invece si scandalizza vedendo il successore di Pietro al pari degli altri uomini pensi che anche il Figlio di Dio è venuto in mezzo a noi senza “troni né aureole”. Infine il tema dei 140 caratteri: certo non sono molti, ma ci sono delle beatitudini del Vangelo che ne hanno meno e hanno cambiato il mondo!

Una volta raggiunti i 10 milioni di followers altre voci hanno invece rimproverato a Papa Francesco la ricerca del successo in un universo di sconosciuti piuttosto che la conversione dei singoli.
Non è il successo mondano ciò che interessa al Santo Padre. Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi del 1975 disse che la Chiesa dovrebbe sentirsi colpevole davanti al suo Signore se non utilizzasse le possibilità tecnologiche comunicative che ha a disposizione. A me rincuora sapere che in un momento di grande desertificazione spirituale come questo, grazie ai fedeli che ritwittano, almeno 60 milioni di persone ricevono sul proprio cellulare una piccola goccia quotidiana di saggezza e spiritualità di Papa Francesco, che li aiuta a camminare.

Da ultimo, la prossima frontiera tecnologica per il Vescovo di Roma potrebbe essere Facebook?
È un progetto su cui stiamo lavorando, ma va valutato attentamente...