Papa Francesco saluta i fedeli cubani

«Lo bueno viene ahora»

Un ciellino cubano racconta la visita di Francesco. La sua umanità, l'entusiasmo genuino dei fedeli, la gratitudine. E le domande che restano dopo la partenza: «Come possiamo rendere carne e realtà quello che abbiamo visto in lui?»
Manuel Marrero Ávila

Papa Francesco ha visitato Cuba dal 19 al 22 settembre, tracciando una strada di Misericordia che ha toccato L’Avana, Holguín e Santiago di Cuba, città dove vive praticamente la metà dei cubani, ma che ha incluso tutta la nazione, dentro e fuori l’isola, raggiungendo i cattolici, i credenti delle diverse confessioni, i non credenti, gli uomini e le donne di tutte le classi e provenienze.

Francesco è arrivato a Cuba visibilmente stanco, dopo un viaggio di quasi dodici ore da Roma a L’Avana, ma alla fine ha proseguito entusiasta il suo viaggio verso gli Stati Uniti, non senza prima dire nella Cattedrale di Cuba, con sorriso sornione, che in questi giorni si è sentito a casa sua (penso a quanto faccia bene a questo argentino purosangue poter parlare e ridere, scherzare, con chi parla la sua lingua madre).

Ha raggiunto migliaia di famiglie cubane. L’impronta che ha lasciato, quando passava per le strade - fermando più di una volta l’auto panoramica (made in Cuba) per salutare un bambino, un anziano o una famiglia che lo attendeva - o durante gli incontri e le celebrazioni ufficiali, ha fatto molto bene a tutti coloro che lo hanno visto e sentito. I media del Paese hanno compiuto uno sforzo enorme per seguire ogni particolare della visita, e ancora più per capire e trasmettere in chiave de-politicizzata il messaggio di questo missionario.

In ognuno dei suoi discorsi, era presente il richiamo a una cultura dell’incontro, del dialogo, ad abbattere i muri e costruire ponti, a generare una «rivoluzione (parola molto delicata a Cuba) della tenerezza e dell’affetto». Ad uscire dalle chiusure, dalle «conventicole» in cui viviamo, per allungare il passo ed andare alla ricerca degli altri (soprattutto i più poveri e i vicini), per incontrarli e servirli. A non smettere di sognare, a custodire la memoria di questi anni vissuti, a generare a Cuba un’amicizia sociale, come disse l’eroe cubano José Martí, sopra «il sistema, morto per sempre, di dinastia e di gruppo».

Il Papa ha presieduto tre messe, a L’Avana, a Holguín e a El Cobre (Santiago de Cuba). Ha incontrato i consacrati, i giovani, le Case di Missione, le famiglie e i Vescovi. Ha avuto colloqui con le più alte figure politiche del Paese, ha salutato le migliaia di persone che sono accorse lungo le strade con le bandiere cubane e quelle vaticane, ha vissuto altri incontri non programmati, con i suoi confratelli gesuiti a L’Avana o con altri gruppi. Ma la cosa più significativa è stata la sua vicinanza ai bambini, agli anziani e ai malati che ha incontrato per strada e con i quali è entrato in rapporto in maniera così spontanea.

È stato molto bello e importante vedere tante persone, non abituate al modo a volte formale e distaccato con cui si salutano gli alti prelati, baciarlo sulla guancia, lanciarsi al suo petto e abbracciarlo, stringerlo come un caro amico che non si vede da tempo... E lui si è lasciato stringere, si è lasciato voler bene in questo mondo, ha sorriso, sarà anche arrossito un po’, ma è stato tanto felice.

In questi giorni unici, tutti abbiamo sorriso al Papa mentre passava, lo abbiamo visto e ascoltato, abbiamo passato ore e ore nel seguirlo lungo questa via di Misericordia che ha tracciato, in nome di Colui che lo ha mandato a visitarci. Ci siamo emozionati e abbiamo voluto fissare ogni dettaglio, facendo foto con il cellulare, registrando dalla tv o ascoltando con tutta la nostra attenzione.

Abbiamo condiviso i sentimenti di bontà che Francesco ha suscitato in noi, ci siamo sentiti fratelli e abbiamo intravisto nelle sue parole, in questi tre giorni, una grande speranza per noi stessi e per Cuba... Ma, come si usa dire qui, lo bueno viene ahora: nella vita di ogni giorno, quando la tv non trasmette più gli speciali, quando la routine, il fastidio, la monotonia tornano a farci l’occhiolino, quando cala il sipario e si accendono le luci.

Come possiamo ora, con l’aiuto di Dio, rendere carne e realtà, nelle nostre vite e nella nostra Patria, tutto quello che abbiamo visto e sentito? Come possiamo incominciare di nuovo, a testa alta e i piedi per terra, a vivere una realtà che sembra assurda, immobile, a volte ostile e quasi sempre mediocre? Come possiamo essere cristiani e cittadini autentici? Come possiamo capire con il cuore e toccare con le mani questo Cristo presente, vivissimo, che non se n’è andato negli Stati Uniti come Francesco, ma che si è fermato con noi, è rimasto, in questa terra benedetta, e attraverso la visita di questo Pietro argentino ha reso più grande il suo dinamismo, la sua misericordia per noi e il suo desiderio di essere annunciato, adorato e servito nei più semplici, che ogni giorno sono di più, e più poveri?

Grazie Francesco di essere venuto a trovarci. Grazie che ci dai la tua benedizione, preghi con noi, sei la guida chiara, sicura, della Chiesa che amiamo, e hai trascorso questi giorni nella “Casa Cuba”. Ora, con la Grazia di Dio, senza cui la visita del Papa resterà solo un evento storico, tocca a noi vivere la fedeltà al Vangelo e costruire, a partire dal piccolo, dall’anonimo, pian piano, il Regno che attende di germogliare a Cuba.