L'incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill.

Il Papa e il Patriarca: «Finalmente! Siamo fratelli»

Lo storico incontro di ieri sera a Cuba tra Francesco e Kirill. «L'irruzione del Mistero nel terzo millennio», che, dopo secoli, apre nuove prospettive per i rapporti tra cattolici e ortodossi: «D'ora in poi le cose saranno più facili»
Francesco Braschi

«È chiaro che è volontà di Dio». «D’ora in poi le cose saranno più facili…». «Non ci sono ostacoli per l'organizzazione di altri incontri». Queste poche battute, tra quelle scambiate da papa Francesco e dal patriarca Kirill nel corso del loro storico incontro a l'Avana, ci permettono subito di apprezzare non solo il clima positivo e cordiale in cui si è svolto il primo colloquio vis-à-vis tra i due prelati, ma anche la sua caratteristica di costituire un reale nuovo inizio nella vicenda bimillenaria della Chiesa. Che porta chiaramente l'impronta – quasi il sigillo – di un'irruzione del Mistero nel nostro tormentato inizio del terzo millennio.

Nei giorni scorsi sono state moltissime le analisi che si sono intrecciate sui diversi mass media – religiosi e laici – al fine di mettere in luce i retroscena, le attività più o meno visibili, l'attivismo delle diplomazie che avrebbero reso possibile un incontro, da anni insieme sperato e continuamente frustrato nei tentativi di realizzazione. Relativamente al quale si continuava a sentir ripetere, come un mantra carico di delusione, che «i tempi non sono ancora maturi».

Ma che cosa è successo perché questa maturazione avvenisse in tempi così rapidi, tali da stupire persino chi credeva di conoscere bene i diversi soggetti in gioco?

Sicuramente vi sono anche ragioni di politica ecclesiastica – si pensi ad esempio alla prossima celebrazione del Sinodo di tutte le Chiese ortodosse e alla convenienza che in quella sede il patriarca Kirill si presentasse forte di una recente interlocuzione con il Papa di Roma -, ma basta guardare all'ampiezza e alla ricchezza della dichiarazione congiunta firmata a l'Avana per rendersi conto che questa vicenda non si può comprendere se ci si limita all'analisi dei fattori puramente umani.

Il primo fattore “eccedente” la sfera meramente terrena, menzionato sia nelle battute che hanno accompagnato l'abbraccio dei due presuli, sia nell'incipit del testo conclusivo, è infatti la volontà di Dio: una volontà che diventa chiara, nel corso della dichiarazione congiunta, principalmente in due aspetti. Da un lato, infatti, la volontà di Dio si concretizza (cf. n. 6) nel «ristabilimento dell'unità» tra i cristiani «per la quale Cristo ha pregato», che diviene così il fine ultimo – ma non per questo puramente teorico, giacché al n. 7 si parla di una «determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato», nonché della volontà di «unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio» - dell'incontro dell'Avana e del dinamismo che da esso scaturirà; dall'altro – e questa affermazione non deve essere sottovalutata – la volontà divina già si rivela nella testimonianza dei martiri della storia odierna, i quali (cf. n. 12), «uniti da una comune sofferenza, sono un pegno dell’unità dei cristiani». E nella volontà del Papa e del Patriarca di inchinarsi davanti al loro martirio, che costituisce una chiara testimonianza della «verità del Vangelo» (cf. n. 12), possiamo leggere la loro comune obbedienza a questo «segno dei tempi» così drammatico e insieme imponente per la sua forza disarmata, nel quale si rivela come il più importante segno di unità per la Chiesa sia già presente nella nostra vicenda storica.

Non possiamo non sottolineare quanto siano preziose e importanti queste affermazioni: se guardiamo al recente passato, nel quale spesso si aveva l'impressione che la linea predominante da parte ortodossa (ma non solo) fosse quella di optare per un ecumenismo che lasciava lontanamente sullo sfondo il desiderio di una vera comunione, per incoraggiare progetti miranti unicamente ad “alleanze strategiche” mirate alla difesa comune di valori da contrapporre al pensiero dominante secolarizzato, notiamo che nella dichiarazione congiunta la comune difesa dei valori – la famiglia basata sull'unione feconda di uomo e donna, il diritto alla vita dal concepimento alla fine naturale, la pace e il rifiuto dell'integralismo, la libertà religiosa, le radici cristiane dell'Europa, la lotta contro la povertà, la solidarietà e la giustizia (cf. nn. 13-21) – viene proposta come la conseguenza della comune fede in Cristo, dopo l'affermazione della condivisa tradizione del primo millennio, la confessione del peccato della separazione e il realistico riconoscimento del desiderio di unità e degli ostacoli che ancora vi si frappongono.

Infine, è importante sottolineare come la presenza nella dichiarazione di passaggi dedicati ai delicatissimi temi del proselitismo, dell'esistenza delle Chiese greco-cattoliche e della situazione politica ed ecclesiale in Ucraina, veda la rinuncia ai toni accesi di molte dichiarazioni del passato, e persino affermazioni consolanti e positive, come quella (n. 27) che auspica un contributo delle comunità cattoliche in Ucraina alla creazione di un clima favorevole al superamento dello scisma colà esistente tra i fedeli ortodossi.

«D'ora in poi le cose saranno più facili», si sono detti Francesco e Kirill, incontrandosi. Questo è il messaggio da custodire e che ci permetterà di cogliere sempre meglio, a partire da oggi, il valore dell'incontro odierno e del testo sottoscritto dai due presuli. Non “più facili” per qualche miracolistica soluzione o per un'estemporanea convergenza strategica, bensì perché insieme ci si è riconosciuti più capaci di vedere la volontà di Dio, di ringraziare per i Suoi doni, di onorare la fede di quanti preferiscono la morte al rinnegamento di Cristo. Ed è una grazia che tutto il mondo possa vedere questa fraternità in atto.