L'interno del monastero.

Una vocazione all’educazione che dura da più di cento anni

I corsi di ebraico. I seminari di gregoriano. E poi la scuola di cultura monastica, le lezioni sull’iconografia... In via Bellotti 10 a Milano c’è chi prega e lavora, per offrire una speranza a «un mondo in cerca di punti di riferimento»
Emanuela Belloni

I corsi di ebraico biblico. I seminari di canto gregoriano. E poi la scuola di cultura monastica, le lezioni sull'iconografia... A scorrerlo così, il programma, si potrebbe pensare ad un incrocio tra una Facoltà di teologia e un megacentro culturale di quelli "top", per palati difficili. E invece siamo in un monastero benedettino piazzato in mezzo al popolo: via Bellotti 10 a Milano, zona Porta Venezia. Dove, da più di cento anni, le monache benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento sono un punto di preghiera continua e profonda.
Loro compito è la celebrazione della liturgia e l’adorazione: la loro preghiera inizia all’alba, alle 5, con la coscienza precisa di essere solidali col risveglio della città che le circonda. Una compagnia “invisibile” ma pronta a rispondere a qualunque richiesta. Che il proprio lavoro sia pregare può sembrare oggi anacronistico, ma quest’opera silenziosa diventa subito reale e concreta quando si varca il portone o la soglia della chiesa.
Dal 1895 questo è un luogo che compie la doppia vocazione alla preghiera e all’educazione. Vocazione alla preghiera seguendo la Regola di san Benedetto e il carisma dell’adorazione perpetua: le monache si succedono alla custodia del tabernacolo e chiunque può chiedere aiuto e intercessione, la loro preghiera è un servizio ininterrotto, “24 ore su 24”. «Un monastero di clausura è sempre una centrale di energia spirituale», ha detto Giovanni Paolo II. Il servizio educativo è stato svolto fino al 1996 con l’istituto scolastico e continua ora - dopo le tante difficoltà che hanno determinato la chiusura della scuola - attraverso corsi di vario tipo, sempre estremamente “attuali”, come ad esempio quelli che hanno a tema l’insegnamento dell’ebraico biblico per una più approfondita lettura delle Sacre Scritture, nell’ambito del dialogo ebraico cristiano. Altri corsi hanno a tema la cultura monastica o invitano a un laboratorio di iconografia, nel pieno spirito dell’“ora et labora” di san Benedetto.
Cosa sostiene la vocazione di queste monache all’educazione? «I corsi che organizziamo non sono mai a caso - spiega madre Geltrude Arioli, priora del monastero -, ma esprimono la nostra vita, nel suo dilatarsi agli orizzonti di un mondo che cerca sempre più punti di riferimento. Per dare solidità alla vita, respiro di trascendenza e serenità costruttiva nelle relazioni umane». Costa sta dietro a questi corsi? «Siamo desiderose di non rispondere a una sete di spiritualità disincarnata, in fuga dalla realtà concreta, ma piuttosto di valorizzare ed esprimere l'aspetto di incarnazione del cristianesimo e della Regola di san Benedetto. Il corso di ebraico, per esempio, cui partecipiamo anche noi monache, è per gustare di più la Parola di Dio nella lectio divina e poterla aprire agli altri con maggiore profondità, cominciando a diventare familiari con la stessa lingua». I temi degli altri corsi? «Tutti sono in funzione della preghiera o espressione della preghiera - gregoriano, iconologia, studio dei salmi nella cultura ebraica e cristiana, cultura monastica... - e prevedono la nostra partecipazione accanto ai laici. È uno scambio fecondo: intuiamo la vita di chi nel mondo ha desiderio di Dio e capiamo meglio il linguaggio da usare».
Si capisce così che il monastero è uno spazio a disposizione della comunità civile ed ecclesiastica, per un’educazione al Mistero che passa attraverso l’incontro con le monache e la loro preghiera. Un luogo dove la domanda trova una disponibilità, pungolo e punto di paragone per le nostre frenetiche e confuse esistenze.