Monsignor Lorenzo Albacete e David Schindler.

IL MESE DEI DUE PAPI Uniti nella passione per Cristo e per l'uomo

A cinque anni dall'elezione, la Cei invita a pregare per Benedetto XVI. Che continua la missione di Giovanni Paolo II, suo predecessore. Ma che cosa li lega in profondità? Ne abbiamo parlato con monsignor Lorenzo Albacete e David Schindler
Antonio Lopez

Cinque anni fa, Benedetto XVI succedeva a Giovanni Paolo II. Che cosa li lega in profondità? Abbiamo chiesto a monsignor Lorenzo Albacete, editorialista, saggista e responsabile ecclesiastico di Cl negli Stati Uniti, e al professor David Schindler, rettore e decano dell’Istituto Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia, di illustrare i principali elementi di continuità fra i due pontificati. Per esempio, il modo così particolare di concepire la fede: passione per Cristo e per la persona umana.

Qual è la vostra opinione in merito alla continuità fra quel grande Papa e il suo successore?
Albacete: Credo che la maggior parte delle persone non abbia prestato molta attenzione alla questione della continuità. La guida autorevole di Giovanni Paolo II e il suo contributo alla vita della Chiesa, la forma che ha dato alla Chiesa, può dirsi in sostanza esaurita, e oggi abbiamo qualcosa di nuovo? Personalmente sono stato molto colpito dalla continuità. Certo gli stili sono diversi, ma la continuità è impressionante. Forse alcuni non la vedono perché non è percepita la novità di Cristo. La Chiesa ha fatto uno sforzo per colmare questa divisione.
Schindler: Sono d’accordo sul fatto che la continuità sia profonda. Prima di tutto, come tutti i grandi uomini della Chiesa, entrambi testimoniano il Vangelo e l’unità del Vangelo. Possiamo riconoscere la loro unità nel fatto che Benedetto XVI sottolinea a più riprese che il problema fondamentale oggi è la dimenticanza di Dio. Al cuore di qualsiasi problema culturale o ecclesiale che si trovi ad affrontare, sta il recupero della memoria di Dio. Giovanni Paolo II disse qualcosa di simile in Varcare la soglia della speranza: il XXI secolo sarà un secolo religioso, o non sarà affatto. Penso che questo sia davvero il fondo dell’unità tra loro: il recupero del senso religioso e la memoria di Dio qual è concretamente rivelata in Gesù Cristo.

Qual è il loro sguardo sul mondo? Cosa intendono quando cercano di ripristinare un significato adeguato della laicità?
Schindler: Una cosa che mi ha davvero impressionato dell’insistenza di Benedetto XVI sulla laicità - per esempio quando ha incontrato i leader francesi - è la sua insistenza sul fatto che abbiamo bisogno di recuperare una comprensione adeguata di cos’è la laicità. Laicità per la nostra cultura significa il tacere riguardo a Dio, mentre il punto centrale di Benedetto è la ripresa di un concetto di laicità al cui cuore sta la ricerca di Dio, il desiderio di Dio. Nel bellissimo discorso tenuto al Collège des Bernardins, ha sottolineato il ruolo essenziale svolto da san Benedetto e dal monachesimo nella formazione dell’Europa, e ha mostrato che la ricerca di Dio che è alla radice del monachesimo è essenziale per ogni cultura autenticamente umana. Al cuore della laicità sta dunque in primo luogo il desiderio di Dio, e in secondo luogo un desiderio senza requie, che non trova compimento pieno se non nell’incontro con Dio nella forma in cui Egli si è rivelato nella storia, ossia in Gesù Cristo.
Albacete: Esatto. Non ci sarebbe laicità se non vi fosse il Dio di Cristo. Quello che è spacciato per laicità, la separazione da Dio o dalla dimensione spirituale, non è affatto laicità. Una vera laicità è possibile solo attraverso il Dio di Gesù Cristo.

Perché?
Albacete
: Perché è Lui che reca insieme in sé il divino e l’umano, nella modalità delineata dal Concilio di Calcedonia nel 451. Credo che questa sia una delle cose più importanti emerse nel discorso al Collège des Bernardins: senza Cristo non c’è laicità.

Potete dirci qualcosa di più in merito all’insistenza di Benedetto XVI sul monachesimo, e sul perché non si tratta di una riduzione della Chiesa a una forma di vita spirituale fuori dal mondo?
Schindler
: Per me, il punto è che ogni giorno, nella sua realtà più profonda, ogni giorno in ogni suo aspetto, è dies Domini. Ogni giorno è il Giorno del Signore. La natura dell’uomo è liturgica.
Albacete: Ricordate come Benedetto XVI lo espresse in quella occasione: il primo frutto di questa ricerca è costruire una biblioteca.
Schindler: E lavorare!
Albacete: E lavorare, proprio così. Ora et labora.
Schindler: E qui sta la dignità di ciò che è umile. In questo contesto il lavoro manuale ha grande dignità. In un certo senso, solo un cristiano può vivere seriamente il lavoro manuale. In altri termini, l’Incarnazione è cielo e terra che si saldano. Lo scopo del nostro impegno sulla terra è realizzare il cielo, anche se non ci è possibile farlo completamente in questa vita. In Gesù, il cielo è venuto sulla terra perché la terra potesse andare al cielo. Ora, in Gesù noi già ora partecipiamo dell’unità fra cielo e terra. Per questo, solo nel cristianesimo, solo dentro la rivelazione di Cristo, è possibile che a ogni tempo, luogo e spazio sia data la dignità che è loro propria. Oggi la nostra concezione del lavoro è così limitata da ritenerlo semplicemente uno strumento per acquisire qualcosa d’altro. È in parte vero, ma il lavoro è un’attività che è partecipazione alla creatività stessa di Dio, all’azione di Dio incarnato.

La concezione moderna del lavoro è basata sulla separazione fra la vita in quanto tale e ciò che uno fa al lavoro. Cosa c’è di nuovo in quanto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI affermano riguardo all’unità fra la vita nella sua interezza e l’agire dell’uomo?
Albacete
: Tutte le divisioni come questa non sono che manifestazioni di una divisione che sta all’origine. Si tratta della perdita dell’esperienza del Dio cristiano. Sono maniere diverse di esprimere questo dualismo.
Schindler: Credo che sia una questione enorme. Ciò che rende possibile unire il concetto di vocazione e il lavoro è il riconoscere che la libertà si realizza solo nell’affermare un “per sempre”. La vera libertà è indirizzata verso un amore che assume la forma di una promessa il cui compimento è possibile solo mediante l’avverarsi della relazione di Dio con il mondo, che si manifesta nella persona di Cristo. Il fondo della questione è semplicemente riconoscere che il significato della libertà consiste nel dire “per sempre” a Dio, resi liberi mediante Gesù Cristo fino a comprendere la relazione propria di Dio con tutte le cose, e al servizio di tutte le cose.

Tanto Giovanni Paolo II quanto Benedetto XVI hanno posto l’accento sulla libertà dell’uomo e hanno tentato di difenderla. In quasi tutte le sue encicliche, Giovanni Paolo II ha citato la Gaudium et spes, al n. 22: Cristo rivela Dio all’uomo e rivela l’uomo a se stesso. Il cristianesimo per Benedetto XVI rivela (senza eliminarlo) il mistero della persona umana: ogni persona è relazione con il Mistero, ed è libera nella misura in cui riconosce questa dipendenza e vive per un altro. Questo concetto di libertà non è una sfida aperta al mondo contemporaneo che identifica la libertà come “creatività”, “autonomia” e “uguaglianza”?
Albacete
: Non c’è niente di sbagliato, in linea di principio, in tutte queste accezioni... ma la libertà non può essere creativa senza Cristo. Perché senza di Lui ogni cosa viene meno, passa, e la morte non è sconfitta. Gli imperi vanno e vengono, delle grandi opere e dei grandi eventi si perde il ricordo.
Schindler: Ratzinger ha un modo meraviglioso di esporre le cose. Quando parla del sacramento dice che consiste nel dare qualcosa che uno non possiede. Mi sembra che la chiave di tutto l’agire umano è che esso è pre-sacramentale. In altre parole, io non sono mai la prima e assoluta origine di ciò che trasmetto. Se vogliamo parlare in termini di paternità e figliolanza: noi vogliamo essere creativi, essere all’origine; vogliamo essere padri delle nostre azioni, e in un certo senso questo è vero. Ma in quanto creature, possiamo essere veramente padri solo dentro una figliolanza. A un livello più profondo, noi abbiamo ricevuto la capacità, l’energia che trasmettiamo, anche se ne partecipiamo pienamente. Abbiamo autonomia, ma è l’autonomia propria di un dono che abbiamo ricevuto e di cui partecipiamo. Ratzinger parla del sacramento esattamente in questi termini, bellissimi: io partecipo di una forza, ma non ne sono originalmente il proprietario. Partecipo di una forza in quanto ne sono recettore.

Il pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è un grande “irradiarsi di paternità” e una difesa della profondità del mistero della paternità. Che cosa si è perso nell’attuale crisi della paternità?
Albacete
: Per me non è un caso né una definizione culturale il fatto che il nome del Dio cristiano sia “Padre”: ogni gesto e ogni parola di Dio sono rivelatori, e anche Gesù chiama Dio “Padre”. Ciò significa che il primo modo in cui si manifesta la perdita dell’orientamento naturale che, in quanto uomini, abbiamo verso l’Infinito, è proprio la perdita del significato della paternità. Partecipare della vita di Dio è partecipare della vita del Padre, è essere come “l’ombra del Padre”, come nell’opera di Karol Wojtyla, Raggi di paternità, incentrata su san Giuseppe visto come l’ombra del Padre. L’incapacità di comprendere quanto profondamente Giuseppe incarni questo, dimostra la frattura che si è verificata.

Uno dei maggiori contributi di Giovanni Paolo II sono state le sue catechesi del mercoledì, in cui ha presentato una visione dell’amore umano nei termini del rapporto nuziale di grande interesse. Quali sono gli elementi più essenzialmente innovativi di questo insegnamento?
Albacete
: Vorrei collegarmi qui alla perdita del senso del sacramento, perché il matrimonio è il sacramento primordiale. Se non vi fosse stato il Peccato originale, non vi sarebbero stati sacramenti, se non il matrimonio. Il matrimonio rivela l’intenzione di Dio nel creare dal nulla. Non è solo paternità, perché la paternità è inseparabile dalla maternità e dal rapporto nuziale. Tutto questo, però, è andato perduto. Giovanni Paolo II offre un grandissimo aiuto per recuperare l’unità fra tutti questi elementi che definiscono l’amore umano. Senza questa unità, l’amore umano è come un edificio che crolla: è un 11 settembre. Resiste per un po’, c’è un incendio e tu pensi che il problema sia tenere il fuoco sotto controllo, e improvvisamente l’edificio ti crolla addosso.
Schindler: Sono d’accordo. Vorrei aggiungere una sola cosa: mi sembra che quello che entrambi i papi vogliono dire è che c’è qualcosa che riguarda l’uomo come destino di paternità, che riguarda la donna come destino di maternità, che riguarda il bambino; qualcosa che manifesta una caratteristica essenziale della natura dell’amore umano. Nella nostra cultura, tendiamo a ritenere che esistano degli agenti umani, astratti, per i quali accade di essere maschi e femmine. Ma se perdiamo i caratteri distintivi dell’uomo, perdiamo una caratteristica essenziale dell’amore. Se perdiamo i caratteri distintivi della donna, perdiamo qualcosa di essenziale riguardo al significato dell’amore. E se pensiamo ai bambini come a dei piccoli adulti che avranno origine da questo, perdiamo qualcosa di essenziale riguardo al significato dell’amore umano. Pensando a quest’ultimo aspetto, c’è una bellezza particolare nel fatto che Dio abbia rivelato Se stesso in Cristo nella forma di un bambino. Non è una circostanza temporale: Gesù è il Figlio del Padre per l’eternità. Per questo la figliolanza, l’essere bambino, non è una condizione da cui siamo destinati a uscire.
Albacete: Fino a che non diventerete una cosa sola, non andrete incontro al vostro destino.