Il Santo Padre e una ballerina gitana.

Nomadi, ma nel cuore della Chiesa

Il beato Zefirino, l'olocausto e la danza. Nella prima udienza di un pontefice con gli zingari, Benedetto XVI ha ripercorso tutta la storia del popolo gitano. Senza dimenticare la sfida dell'integrazione
Alessandra Buzzetti

L’integrazione degli zingari? È difficile, ma non impossibile e chiede a tutti un cambiamento: all’Europa - attraversata da nuove intolleranze e discriminazioni - come ai nomadi che devono impegnarsi per costruirsi un futuro diverso, a partire dal rispetto della legge e dall’istruzione dei figli.
Anche questa volta Benedetto XVI ha scelto la strada del realismo cristiano, prezioso antidoto all’ideologia buonista o intollerante, per accogliere in Vaticano i rappresentanti delle diverse etnie nomadi europee. La prima udienza di un Papa agli zingari si racconta non solo con le parole. A partire dalla musica travolgente, che ha accolto Benedetto XVI nell’aula Paolo VI: duemila zingari scatenati sulle note ritmate di violini, chitarre e fisarmoniche per far festa al Papa e al loro primo - e finora unico - beato: Zefirino, ucciso, esattamente 75 anni fa, durante la guerra civile spagnola per aver difeso un sacerdote. È stato Giovanni Paolo II a proclamare beato Zefirino, un martire del “rosario” perché non lasciò che gli strappassero la corona dalle mani neppure in punto di morte.
A rievocare una storia di dolore collettivo - l’olocausto degli zingari - è Ceika Stoika, sopravvissuta al campo di sterminio nazista di Auschwitz. L’anziana rom, austriaca, piange quando si inginocchia davanti a Benedetto XVI. «È un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni - dice il Papa -. La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore. Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui».
Benedetto XVI ripercorre la storia complessa e dolorosa degli zingari e li esorta a non perdere le opportunità che offre loro l’oggi, in un'Europa che riduce le frontiere e considera ricchezza le diversità dei popoli e delle culture. Certo, come ha chiarito il Papa, scrivere una nuova pagina di storia del popolo nomade richiede impegno e collaborazione con le istituzioni: alloggi e lavori dignitosi e, soprattutto, mandare i figli a scuola sono le basi per un’integrazione, che non giova solo agli zingari, ma all’intera società. E i risultati del lavoro degli operatori e dei volontari, che hanno accompagnato le delegazioni di zingari dal Papa, dimostrano che l’integrazione è possibile, senza nascondere le tante difficoltà che ancora permangono da entrambe le parti. E quando un giovane rom di Roma, riconoscendo gli errori di un certo stile di vita nomade, parla del rifiuto sistematico dei datori di lavoro, quando leggono sulla carta d’identità «residenza in campo nomadi», Benedetto XVI non nasconde, nell’espressione del volto, il suo disappunto. Ne spiega la ragione all’inizio del suo discorso, facendo sue le parole di Paolo VI, in visita a un campo nomadi nel 1965: «Voi non siete ai margini, ma nel cuore della Chiesa». E il beato Zefirino dimostra che si può essere buoni cristiani - rispettosi dei comandamenti, onesti e generosi - mantenendo l’identità gitana.
E sono delle piccole odalische in salsa zingara a dare un assaggio al Papa della loro tradizione e cultura: volteggiando davanti a Benedetto XVI con i loro costumi tradizionali, a ritmo di musica e spargendo sul palco petali di rosa. Un’esibizione con cui le giovani ballerine si guadagnano una benedizione speciale.