Francesco d’Assisi: la povertà è «Signora»

Terza puntata del viaggio alle radici della scelta di Papa Francesco dell'assumere il nome del Santo italiano. Attraverso uno degli aspetti fondanti della sua vita e della sua missione
fra Paolo Martinelli*

Papa Francesco, spiegando il motivo per la scelta del suo nome, ha fatto riferimento al santo di Assisi chiamandolo: «l’uomo della povertà». In effetti, tutta la tradizione agiografica identifica san Francesco con l’espressione «il Poverello». Sia dai suoi scritti che dalle biografie emerge un inequivocabile riferimento alla povertà evangelica, affermata e vissuta nel modo più radicale.

Comprendere il senso di questo tratto della sua esperienza cristiana non è cosa immediata. Non è un caso che il tema della povertà è divenuto ben presto nell’Ordine che da lui è nato motivo di contese ed anche di divisione. D’altra parte non è difficile notare che della povertà vissuta da san Francesco si può parlare in modi molto diversi, comprendendola in termini ascetici, oppure sociali e persino rivoluzionari. Come si deve comprendere la scelta dell’Assisiate?
Per poterci avvicinare all’esperienza singolare del Poverello si deve guardare al suo percorso esistenziale. Egli di nascita non appartiene ad un ceto povero, ma benestante. È figlio di un commerciante che aveva fatto fortuna permettendo un tenore di vita assai agiata alla propria famiglia. Il suo percorso di conversione, lungo e sofferto, lo porta alla scelta di abbracciare una vita realmente povera. Nulla spiega una tale scelta, che arriva fino alla restituzione pubblica al padre di ogni cosa ricevuta, se non ci si accorge di chi è Gesù Cristo per Francesco.

Nella Regola cosiddetta Non Bollata, un testo al contempo legislativo e fortemente carismatico, Francesco descrive la sua forma di vita in questi termini: «Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo». Questa espressione la troviamo ripetuta in modi diversi negli scritti e nelle agiografie ed indica il vero motivo della sua scelta. La povertà è il modo con cui il figlio di Dio è entrato nel mondo ed ha portato a compimento la nostra salvezza. Pertanto la povertà, abbracciata liberamente, è espressione dell’amore per l’umanità di Cristo. È evidente che il santo d’Assisi non desidera la miseria, desidera seguire le orme di colui che ama in ogni cosa e sopra ogni cosa. Attraverso una vita povera egli intende imitare Dio stesso, il suo entrare nella storia. Per questo il Santo di Assisi accentua nei suoi scritti i contrasti con cui descrive Dio come l’Altissimo, l’Onnopotente, l’Immenso che per amore nostro si fa indigente e piccolo, nascendo nella povertà, patendo freddo e fame, fino a morire nudo sulla croce. In tal modo può descrivere la povertà con termini inusuali e di carattere divino: essa è «Altissima», è «Santa»; addirittura chiama la povertà «Domina: Signora»! Infatti, Francesco fa l’esperienza che seguire Cristo sulla via della povertà evangelica fa diventare «Signori», rende il cuore libero, apre gli orizzonti, permette di entrare in rapporto con la vita in modo nuovo, oltre ogni misura ed ogni calcolo. Egli mostra come l’attaccamento ai beni, il porre la speranza in quello che si possiede rende il cuore dell’uomo schiavo e triste, chiudendolo in una cupidigia che lo consuma. La povertà evangelica, invece, rende il cuore capace di letizia e gratitudine.

Effettivamente Francesco afferma perentoriamente di non volere mai che “qualche cosa” venga detto “suo”. Ma questo non è per una percezione negativa della realtà. Piuttosto il suo distacco indica che l’orizzonte del cuore dell’uomo non è fatto per “qualche cosa”, ossia per la “parzialità” ma per la totalità. Colpisce che nei testi dove egli parla della povertà vi sia sempre anche il richiamo ad essere eredi, eredi del regno dei cieli, iniziando così a partecipare della signoria di Cristo su tutta la realtà.

Da ultimo, questa scelta di povertà evangelica mette effettivamente san Francesco in una posizione di vicinanza e di compassione nei confronti di coloro che soffrono l’indigenza, a cominciare dai più colpiti dalla emerginazione nel suo tempo: i lebbrosi. La sua vicinanza a loro tuttavia non è mai strategica o ideologica ma espressione della sua radicale affezione a Cristo, il quale per amore nostro e liberamente ha preso su di sé la condizione ferita di ogni uomo. Proprio Benedetto XVI aveva espresso questa realtà, quando nell’omelia di capodanno nel 2009 ebbe a dire: «Testimone esemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi. Il francescanesimo, nella storia della Chiesa e della civiltà cristiana, costituisce una diffusa corrente di povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e continua a fare alla Chiesa e alla famiglia umana». Questo permette di promuovere «un circolo virtuoso tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere"[…]: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali». In effetti, conclude Benedetto XVI, «quando Francesco d’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispiratagli direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducia nella Provvidenza».

La via della Provvidenza è ultimamente quella di chi si accorge di essere “erede”, “figlio”, certo che la propria vita è nelle mani del Padre. Povertà evangelica è dunque testimonianza della libertà dei figli di Dio, per la quale, poiché ci si aspetta da Dio il compimento, si è liberi di usare del mondo senza diventarne schiavi. Ecco perché, per Francesco, la povertà è «Signora», ossia è possesso vero del reale.

*cappuccino