Le due meditazioni di Papa Francesco.

Quel mendicare «senza trattative»

Due meditazioni, dell'allora cardinale Bergoglio, mostrano il pensiero di Papa Francesco. Dalla distinzione tra peccatore e corrotto, alla carità. Fino a quella prima omelia in Piazza San Pietro: «Il Signore mai si stanca di perdonare»
Martino Cervo

Quando, per la festa della Madonna del Carmelo del 2005, Bergoglio radunò l’Assemblea Arcidiocesana a Buenos Aires, chiese un sacrificio introduttivo. Una «mortificazione» – disse lui – da offrire: «Non parlar male gli uni degli altri». Poi propose una sua meditazione sull’umiltà seguita da un testo di San Doroteo di Gaza. Grazie alle Edizioni missionarie italiane quei testi di Bergoglio sono disponibili nel volumetto Umiltà. La strada verso Dio, abbinabile a Guarire dalla corruzione (entrambi a 6,90 euro): testi di agevole lettura, preziosi per una “inquadratura” del pensiero del cardinale argentino che il 13 marzo è diventato Papa Francesco.

Forse il libro più ricco è quello dedicato alla corruzione. Bergoglio si impegna in un’originale distinzione tra corruzione e peccato. Il ripetersi del secondo favorisce la prima, che però ha natura diversa. Il corrotto è corazzato contro la sua stessa coscienza, il peccatore – pur dolendosi dell’errore – ne vede l’occasione di perdono e di salvezza. Ogni corruzione a livello sociale e politico, spiega il futuro pontefice tagliando ogni possibile deresponsabilizzazione, è frutto della corruzione del cuore umano, che perde la sua vocazione ad «aderire» ad altro da sé, per ergersi a misura di se stesso. Per questo Bergoglio dice: «Peccatore sì, corrotto no». Per il peccatore tutto è occasione di sperimentare il perdono di Dio, scrive facendo tornare alla mente le parole della prima omelia da Papa: «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Per il corrotto invece tutto è occasione di esercizio immanente della propria cosmesi intellettuale, pretesto per un ulteriore arrocco di presunta autosufficienza. La corruzione è un vizio che ha fatto un corso di buona educazione, dice l’arcivescovo: è un’anestesia dell’anima che si fa cultura, rimodula l’approccio alla vita, i giudizi, le aspettative. È la “mondanità spirituale”, concetto che Bergoglio mutua da de Lubac: clericalismo in agguato anche per i non chierici, «umanesimo pagano adattato a buon senso cristiano». C’è una «cura» per questo chiudersi dell’uomo in un fariseismo che non può più chiamare l’errore «errore», perché non invoca più la misericordia ma si crea solo una giustificazione. È il rapporto con Gesù presente, il rispondere alla Sua inesausta chiamata, l’essere «pazzi» di Cristo, mendicarLo senza «trattative».

A questa purificazione si lega il concetto di umiltà, attorno cui ruota la seconda meditazione di Bergoglio. Il corrotto non può essere umile, perché chi non è umile, chi accusa prima gli altri di se stesso, perde la capacità di giudizio, è chiuso rispetto alla realtà. «Non condanna bene», dice il futuro Papa, cioè scolora il criterio di conoscenza. Un passaggio audace dipinge questa categoria di uomini, così facile da rintracciare in noi stessi: «Si tratta di eticisti che controbilanciano la colpa prodotta dal sospettare di tutti con la condotta ostentata e farisaica di non condannare niente e nessuno. Mancando loro il senso dell’oggettività, la loro fantasia condanna a priori, sotto apparenza di sospetto, ogni avvicinamento degli altri alla loro vita». Bergoglio è sempre seccamente razionale, anche nei termini: al male contrappone un inizio di cammino. La via dell’umiltà è l’auto-accusa: non una flagellazione, ma una consapevolezza del proprio limite di mendicante. Così la mansuetudine evangelica «trascende l’ambito delle regole delle buone maniere per raggiungere la radice profonda e il suo modello compiuto», cioè l’Agnello-Cristo. Straordinaria se riletta alla luce delle prime mosse di riforma della curia è la riflessione dedicata alla mancanza di umiltà nei religiosi: «Scambiano la dottrina con l’ideologia, il pellegrinare paziente dei figli di Dio con il vittimismo del complotto che gli altri (i cattivi, i potenti, i superiori) ordiscono contro di loro […] Hanno l’intelligenza malata. E, confondendo l’intelligenza con il valore intellettuale, dimentichiamo che è il peccato originale ad averla ferita».