Bartolomeo I e il cardinale Scola a Milano.

Verità e libertà, da Costantino alla guerra in Siria

Il Patriarca di Costantinopoli ai festeggiamenti per i 1700 anni dell'Editto del 313. Cronaca della "lectio magistralis" tenuta con il cardinale Angelo Scola. Tra storia e attualità, per illuminare le radici di una convivenza umana possibile
Luca Fiore

Forse pensa ai due vescovi siro ortodossi rapiti in Siria. Certamente ai tantissimi cristiani perseguitati in Medio Oriente. Per Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, ricordare l’editto di Costantino del 313 d.C. significa parlare anche di attualità. Guardato dalle statue acefale della Sala delle cariatidi del Palazzo Reale di Milano e sotto gli occhi del cardinale Angelo Scola, del sindaco Giuliano Pisapia e di alcune centinaia di persone venute ad ascoltare la doppia lectio magistralis (sul tema «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»), ha parlato anche del sangue dei martiri contemporanei: «Non abbiamo timore di quelli che usano la violenza contro i cristiani, perché la Resurrezione del Signore ha vinto anche la morte. Come cristiani non abbiamo paura delle persecuzioni, perché le persecuzioni sono la pagina d’oro della storia della nostra Chiesa, hanno esaltato santi, martiri ed eroi della fede. Ma non cessiamo di esprimere verso la Comunità internazionale la nostra protesta, perché 1700 anni dopo la concessione della libertà religiosa con l’Editto di Milano, continuano in tutto il mondo sotto molteplici forme, le persecuzioni». Appena prima erano risuonate nella sala del Palazzo reale le parole del saluto di Papa Francesco al «Fratello Andrea», l’espressione che Bergoglio aveva usato subito dopo la sua elezione per rivolgersi a Bartolomeo: dal successore di Pietro al successore dell’altro apostolo, suo fratello, appunto, sant’Andrea.

Il Patriarca della città che prende il nome dall’imperatore dell’Editto di Milano, Costantinopoli, ricorda che per le Chiese d’Oriente Costantino il Grande è un santo. Santo perché fu imperatore cristiano. L’editto del 313 d.C. fu il primo esempio di fecondazione del diritto romano da parte del pensiero cristiano. L’inizio della cultura comune europea. Ma la riflessione di Bartolomeo prende le mosse dalla costatazione che in nome del concetto di libertà negli scorsi secoli si è fatto scorrere il sangue dei popoli. «Questa libertà, essendo spesso separata dal suo Datore primo, il datore di ogni dono, Dio, viene isolata, divinizzata, acquista un carattere antropocentrico», ha spiegato: «La possibilità dell’uomo di fare ciò che vuole non solo non è libertà, ma anzi, costituisce la peggiore forma di schiavitù». Quando i farisei chiedono a Gesù: «Come puoi dire: diventerete liberi?», la risposta è: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. (…) Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero». Quindi, spiega Bartolomeo, la libertà dal peccato è l’unica libertà reale. E come si realizza? Dice il Patriarca: «rimanendo in Dio». Ma come è possibile in un mondo ateo, pluralista, in cui dominano tendenze nazionaliste, la violenza, l’ideologia, l’interesse, le frammentazioni sociali? Se la libertà si trova rimanendo in Dio e, come scrive San Giovanni, «Dio è amore» allora «l’unica illimitata libertà è l’illimitato amore. I santi lo dimostrano empiricamente. Siamo liberi quando amiamo».

Dal canto suo, l’Arcivescovo di Milano ha esordito chiarendo che nella storia «tra verità e libertà si dà sempre inevitabilmente una tensione. La Verità in senso pieno si offre, e non può non farlo, come assoluta, totalizzante; la libertà, sua interlocutrice propria, d’altra parte, non accetta coercizioni». Eppure l’uomo postmoderno spesso mette in discussione la possibilità che si possa accedere la verità. Anche se, osserva il cardinale, il fatto che da 2000 anni le parole di Gesù «la verità vi farà liberi» continuano a risuonare e sfidano l’uomo di oggi. Con queste parole, Cristo continua a parlare al “cuore” della persona. «Infatti, porre la domanda circa la verità e circa la libertà e stabilire quale nesso debba esistere tra loro», spiega Scola: «Significa andare al centro dell’io».

Ma come l’Editto di Milano illumina questa riflessione e, soprattutto, che eredità consegna alla società di oggi? Alcuni mettono in discussione che l’iniziativa di Costantino abbia davvero segnato la storia d’Europa. «Certo, fu un inizio mancato se pensiamo a quanto accadrà poco dopo con Teodosio»; eppure, «non si può rinunciare all’affermazione che l’Editto sia stato nei fatti l’initium libertatis dell’uomo moderno». Per Scola, infatti, nel provvedimento del 313 d.C. sono presenti due aspetti originali che la teologia cristiana farà suoi: l’idea di pace e il modo di pensare l’universalità della salvezza.

Sul piano della libertà religiosa, spiega Scola citando la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, «essa non comporta l’imposizione della verità, ma piuttosto l’accettare che sia la verità stessa, per essere riconosciuta in quanto tale, a chiamare in causa la libertà». I padri conciliari non si sono occupati della libertà religiosa in termini generali come libertà morale nei confronti della verità o di un valore, ma si sono volutamente limitati «a considerare la libertà giuridica nell’ambito dei rapporto tra le persone e nella vita sociale. Così considerato, il diritto alla libertà religiosa è un diritto negativo che stabilisce i limiti dello Stato e dei poteri civili, negando loro una competenza diretta sulla scelta in materia religiosa». Detto questo si deve capire come mai la Chiesa concepisca tale libertà come la più importante, in quanto garantisce la dignità della persona umana, «fondamento dell’organizzazione sociale». Qui il cardinale cita Romano Guardini che, in un’affermazione solo apparentemente paradossale, dice come la tradizione della Chiesa abbia sempre affermato «quanto viva sia la relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri (la Santa Trinità) e la nostra vita quotidiana». Scola spiega che il perfetto scambio di amore tra le tre persone della Trinità «apre lo spazio ad una comunicazione della verità che chiede di essere accolta dalla libertà. Una libertà che non percepisce il legame di dipendenza da Dio in termini di sudditanza, ma in termini di filiazione». Sembrerebbero riflessioni affermazioni valide soltanto per i credenti e non spendibili nel dibattito pubblico. E invece l’arcivescovo spariglia le carte: «Il nesso Trinità, verità e libertà illumina la vita sociale». Come? «Dalla contemplazione della Trinità emerge una visione dell’uomo e della società praticabile da tutti, che supera in radice qualunque pensiero incapace di riconoscere la differenza come un bene e, nello stesso tempo, non rinuncia a quell’unità che è il marchio inconfondibile del vero». Le utopie opposte del collettivismo (che pone l’accento sull’unità) e dell’individualismo (l’enfasi sulla libertà assoluta), in questo modo, sarebbero superate. La sintesi di questo discorso Scola la prende dall’enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas est: «L’amore – la carità - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta».