John Zucchi, professore alla McGill University <br>di Montreal.

La vita (imperfetta) è il bene più caro

«Dobbiamo considerare la persona. Compresa la nostra». Così John Zucchi, docente canadese, commenta l'intervista al papa per "La Civiltà Cattolica". Perché «Francesco ha corso un rischio con le sue dichiarazioni. Ha scommesso sulla nostra libertà»
John Zucchi

Quest’estate papa Francesco ha rilasciato una straordinaria intervista che è appena uscita sulla rivista dei Gesuiti in America, sollevando subito un gran polverone. Francesco dice alla sua Chiesa: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile». E continua: «Quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto». Sono parole coraggiose, perché possono essere facilmente fraintese e persino manipolate dai più svariati gruppi di pensiero interni ed esterni alla Chiesa Cattolica Romana. Francesco ha capito, tuttavia, che queste parole sono anche necessarie. Con queste affermazioni non si è dissociato dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, come qualcuno vorrebbe sostenere, ma esprime piuttosto la sua continua attenzione a entrare nel cuore della vita del cattolicesimo di oggi.

Perché il Papa dovrebbe, per la seconda volta in una intervista pubblica, sollevare questi problemi controversi e dire che non possiamo insistere su quelli, parlare sempre di quelli? Sta modificando la dottrina della Chiesa sui matrimoni omosessuali o suggerendo che per i cattolici si profila all’orizzonte una nuova posizione morale rispetto all’aborto? La Chiesa sta forse aprendosi all’idea del divorzio? Ovviamente no. Come lui stesso osserva, questi commenti non contengono nulla di nuovo: «Dicendo questo io ho detto quel che dice il catechismo». Allora che motivi ha per farlo?

Da parte mia avanzerei l’ipotesi che lui percepisca la mancanza di qualcosa di significativo nella vita di molti fedeli, laici o religiosi: una coscienza della nostra umanità e il suo bisogno di qualcosa di più grande. Come spiega lo stesso Francesco, quando una volta gli era stato chiesto se approvava l’omosessualità, rispose: «Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?». E continua: «Bisogna sempre considerare la persona».

Questo è il punto! Dobbiamo considerare la persona. Compresa la nostra stessa persona. Come è possibile che noi anche solo percepiamo il bisogno di qualcosa di più grande, della “salvezza” (non siamo nemmeno in grado di comprendere cosa significhi questa parola senza quel senso di bisogno), il bisogno della Chiesa, se prima non abbiamo considerato la nostra persona, e siamo pronti perciò a considerare qualsiasi persona semplicemente perché esiste? Per questo Francesco va al cuore del problema quando afferma che «l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa». Lo preoccupa il fatto che oggi «a volte sembra che prevalga l’ordine inverso». Qualunque sia la nostra visione sulla Chiesa, se il nostro interesse per la Chiesa - o per la religione nel suo complesso - si riduce a pure questioni [teoriche], abbiamo perso il treno. Se la preoccupazione che ci muove è quella di difendere tenacemente l’ortodossia dottrinale, anche in questo caso abbiamo perso il treno.

Il treno è la vita stessa - il nostro bene più caro, perché ci consente di aprirci all’infinito. E aprendoci all’infinito ci introduce al dramma della vita, con tutte le nostre sofferenze, le ferite, le gioie, e sì, persino il nostro peccato. Se cerchiamo semplicemente di preservare la tradizione per amore di se stessa, dice il Papa, allora «la fede diventa una ideologia tra le tante».

La tradizione e la memoria del passato hanno la loro funzione, afferma Francesco, perché esse «devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio». «Aprire», dice Francesco. Non possiamo diventare introversi cercando di correggere il nostro peccato o di correggere i mali di questo mondo, o cercare di salvare il mondo ripetendo formule dottrinali. Francesco dice piuttosto che «Dio va incontrato nell’oggi». Questo mondo imperfetto, con tutti i suoi mali e turbamenti, malcontento, violenza, odio, rabbia e le sue ferite, è anche il luogo benedetto dove ha inizio la redenzione. E così Francesco ha corso un rischio con le sue dichiarazioni. Ha scommesso sulla nostra libertà. E ci lascia con una semplice scelta: vogliamo continuare con il nostro vecchio modo di guardare alla Chiesa in termini ideologici, attaccandola o difendendola mediante concetti politici o ideologici? Oppure proviamo ad accettare il suo invito a «considerare la persona» (compresa la nostra stessa persona), che ha bisogno di essere salvata, aprendoci perciò autenticamente agli altri e all’Infinito?