Benedetta Bianchi Porro.

«Ci vuole umiltà per chiedere la Verità»

Benedetta Bianchi Porro è morta una mattina di cinquant'anni fa. Attraverso la malattia, una vita dedicata a «Gesù che mi aspetta». Durante l'università, l'incontro con alcuni ragazzi di GS. E un popolo che continua a guardarla «per aprire il cuore»
Paola Ronconi

La mattina del 23 gennaio 1964, in pieno inverno, fiorisce una rosa bianca nel giardino di casa Bianchi Porro, a Sirmione. Quella rosa è un dolce segno, dice Benedetta quando viene a saperlo. Ricorda un sogno fatto qualche mese prima. Dopo poche ore, quella stessa mattina si conclude la sua esistenza terrena.

Sono passati cinquant’anni da quel giorno, ma la breve esistenza di Benedetta Bianchi Porro è ancora oggi «un archivio di esperienze, dove è possibile fare continue scoperte», come scrive il cardinale Angelo Comastri nella prefazione alla sua biografia. Nata l’8 agosto 1936 a Dovadola, Forlì, seconda di sei figli, Benedetta vive la sua infanzia e l’adolescenza tra Romagna e Lombardia a causa della guerra e del lavoro del padre. Una rara intelligenza e sensibilità la porta ad iscriversi alla facoltà di Medicina, a Milano, a soli 17 anni. Già negli anni del liceo iniziano a mostrarsi i sintomi della malattia ma sarà lei, inascoltata dai dottori, nel 1957, a diagnosticarsi una neurofibromatosi diffusa, o morbo di Recklinghausen, rara patologia degenerativa. Due anni dopo è costretta a lasciare l’università: non può più usare gli arti inferiori a seguito di un intervento al midollo e in breve tempo diventerà sorda e cieca, e perderà l’odorato e il gusto. L’unico modo per comunicare sarà un alfabeto tracciato sul palmo della mano. «Nel mio calvario non sono disperata. Io so, che in fondo alla via, Gesù mi aspetta... Le mie giornate non sono facili: sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio», scrive l’1 giugno 1963 in risposta a un lettore di Epoca. Il disfacimento fisico non impedisce a Benedetta, fino a un certo punto, di scrivere lettere e diari che ci ridanno il mosaico di un’anima «straordinariamente semplice e semplicemente straordinaria», scrive sempre Comastri, perché innamorata di Cristo.
Giovanni Paolo II l’ha dichiarata venerabile nel 1993.

Un aspetto poco noto della vita di Benedetta Bianchi Porro è il rapporto che instaurò con alcuni ragazzi di Gioventù Studentesca. A tal proposito riportiamo brani dalla sua biografia autorizzata scritta da Andrea Vena (San Paolo, 2012).

«Durante il primo anno universitario, Benedetta non instaura particolari amicizie. Sarà solo nel 1955 che conoscerà Maria Grazia, durante una lezione di biochimica... Nel 1957 Maria Grazia decise di trasferirsi a Pavia. Prima di lasciare Milano, Maria Grazia pensò di farle conoscere una sua amica, Nicoletta Padovani, alla quale era legata da rapporti di amicizia fin dalla quarta ginnasio... All’inizio il rapporto fu scolastico, nel senso che Nicoletta prendeva gli appunti per Benedetta durante le lezioni; successivamente cominciarono a scambiarsi idee su vari argomenti, finché maturò un’amicizia religiosa. Il progredire dell’amicizia spirituale si realizzò anche grazie alla formazione che Nicoletta riceveva in uno dei gruppi di Gioventù Studentesca, dove prese la decisione di partire come missionaria laica. Nicoletta fu la “madre spirituale” di Benedetta; l’aiuto a chiarire, approfondire e rendersi consapevole della fede già viva in lei, aiutandola a confermare la sua vocazione nel dolore. Nel novembre 1962 anche Nicoletta è costretta a lasciare Benedetta perché decisa a partire per il Brasile, tra le prime studentesse di Gioventù Studentesca. Prima di partire, però, Nicoletta volle presentare a Benedetta una sua amica, Francesca Romolotti, anch’ella appartenente al gruppo di Gioventù Studentesca. Nell’ottobre 1962 Franci conobbe Benedetta all’ospedale di Desenzano, in occasione dell’asportazione di tutti i denti. Con Franci arriveranno altri amici di Gioventù Studentesca: Giuseppe Zola, Giovanni Giorni, Roberto Corso e Paola Vitali, studentessa di Milano. Quest’ultima farà spesso visita a Benedetta anche a Sirmione, trascorrendovi i fine settimana. Roberto Corso, diciassettenne, conoscerà Benedetta ai primi di marzo del 1963. Lui stesso ricorda di aver trovato in lei un’amica alla quale apriva il cuore con particolare facilità».

Di seguito alcune lettere di Benedetta a giessini tratte dal libro edito dalla Fondazione Benedetta Bianchi Porro, Scritti completi.

128. A Nicoletta Padovani
20 giugno 1962

Cara Nicoletta, le tue lettere mi danno sempre preziosi consigli sulla mia situazione spirituale: è il Signore che te le ispira.
A Lourdes avevo una forte aridità, ma ne sono tornata con tanta fede e umiltà. Ci vuole umiltà, cioè riconoscersi poveri, per chiedere e per riconoscere la Verità. Non ho letto il libro di Carrel, ne ho letto uno molto bello, con la descrizione delle apparizioni. In seguito a quello ho fatto una novena per andare grazie dell’elenco dei libri (mi serve proprio ora!). Prego al pomeriggio sullo Psallite e il messale, al mattino dico giaculatorie.
(Sai, tempo fa cercavo Dio, ma mi agitavo come in un vestito troppo stretto, ora va liscio «Se il Signore non fabbrica la casa...»). Come va a Desio? Quando verrà il momento ti prego di partire: Lui te ne darà la forza, non ci pensare ora.

145. A Gabriella Girelli
marzo 1965

Cara Gabriella
Scusa il ritardo, ma non ero sicura tu fossi ritornata da Forlì. Come stai? Ài fatto buon viaggio? Com’è riuscito il vostro convegno sulle missioni? Grazie dei saluti dei ragazzi del mio e del tuo paese.
Quando mi scriverai ancora, se potrai farlo, mandami il tuo indirizzo, perché io eviti di disturbare la segretaria del G. S.
Io sto bene, ma non vedo più nulla: a volte le mie giornate suono lunghe e faticose, a volte nel silenzio più profondo, mi pare che Dio sappia dirmi delle cose meravigliose. A volte canto, - male - perché la mamma non capisce neppure la mia musica. Mi sono venuti a trovare alcuni amici del G. S. e ne sono stata felice. Grazie che ti sei ricordata di me. Ti saluto con affetto e vi ricordo ognuno.

146. A Roberto Corso
Caro Roberto.
Grazie dell’acqua di Lourdes e del tuo scritto. La tua attenzione mi commuove e mi fa piacere tanto. Dimmi come sta tua mamma e se è guarita, come spero.
Grazie anche di essere venuto a trovarmi. Padre Michele mi à telefonato.
Cerca di essere sereno, leggero, e con la lampada dello spirito accesa.
Tutti abbiamo ore di stanchezza e abbandono, ma scuotiamoci e offriamo a Dio la nostra volontà così com’è, a volte più tiepida a volte stanca, ma non schiacciata - mai - «Non premeditate... e se avrai paura dirai senza vergogna: ho paura e Dio mi fortificherà». Per tutti c’è dolore speranza e lagrime, ma una superiore certezza vale a illuminarci e renderci sereni nella strada che ci conduce al Signore. Ti saluto caramente e parlo di te a Lui.

148. A Roberto Corso
(...)
Mi racconti della tua passeggiata serale, dici che io amo più di te le cose, che vedevi... Ma non è così. Anche tu le ami, come me. Solo non lo sai. Molte cose non si sentono finché non sono perdute. Mi viene in mente le parole di una pagina di letteratura che dice: «È bello il mondo di Dio in primavera!». Accorgitene, Roberto, e non contemplare solo te stesso. C’è tanto bello intorno e tanto bene da fare! Mi scrivi che molti pregano per me, ed io ne trasalisco di gioia. Ma non dimenticare di farlo anche tu, perché è alla tua preghiera che io tengo più che a tutti. Io so che la tua avrà più effetto. Io non dimentico te, e di te parlo alla Madonna. Salutami tutti gli amici del G. S. che conosco o non conosco. E a te buon lavoro e buon studio.
tua sorella in Cristo.

181. A Paola Vitali
20 giugno 1963

Il 24 parto per Lourdes; la Madonna mi aiuterà ad arrivare fino a Lei. Io no ho più alcuna forza: è Lei che mi sostiene e mi dà tutta la serenità che gli estranei sentono in me. È il Signore, che si compiace di servirsi della mi nullità perché gli altri si fortifichino. Del resto, dice S. Paolo, che è attraverso la nostra debolezza che si rivela la Sua forza.
Lavori per il G. S.? Fallo, se puoi. Scusami il ritardo, e se attraverso la tua giornata ti ricordi di me col Signore, grazie, perché ne ho molto bisogno. Buone vacanze.
Ti abbraccio e ti saluto


237. A Nicoletta Padovani
2 dicembre 1963

Cara Nicoletta
Mi è giunta con infinito piacere la tua bella lettera. L’ò letta con grande gioia perché dice cose magnifiche. Però devi anche dirmi cosa fai tu: come ti trovi: desidero molto saperlo. Guarda, Nicoletta, che «l’amore si misura dalla pazienza» e «il Signore corregge chi ama e adopera la sferza con ogni figlio che riconosce per suo» (S. Paolo).
Ò visto dei ragazzi di G. S. e mi sono molto trovata con loro! Anche la Maria Grazia è molto buona con me. Ricorda anche che «Io ti sono vicina e ti aiuto» (dalla passione di S. Perpetua). Ogni giorno ti ricordo nelle mie preghiere alla Madonna: la Madonna è buona con noi e ci ottiene la grazia. Dammi tue notizie. Coraggio, coraggio. «Tu sei un Dio che operi meraviglie: Tu solo sei Dio».
Ciao, ciao Nicoletta ti abbraccio
tua sorella in Cristo