L'arcivescovo Angelo Scola durante la<br> meditazione quaresimale.

«O Croce, donaci di amarti»

Terzo appuntamento quaresimale dell'arcivescovo Scola con la Diocesi. «Padre perdona loro» è il titolo delle stazioni. Perché guardando le sofferenze di Cristo, ci si rende conto che si può banalizzare il male. E che «la vita è una cosa seria»
Maria Luisa Minelli

Un corpo sofferente eppure luminoso, icona di luce ormai "oltre" il dolore. È l’immagine di Gesù crocefisso di Pietro da Velate ad accompagnare il terzo e penultimo appuntamento che l’arcivescovo Angelo Scola propone alla città di Milano come cammino di riflessione quaresimale. Una vetrata del Duomo che risale al XV secolo e che raffigura un Cristo che ha vinto la morte e si innalza ormai distante da quelle lance tese verso di lui, trofei di un’atroce violenza inutile, sconfitta.

«Ciascuno di noi, almeno dei più anziani come me, ha ben in mente l’agonia di qualcuno dei propri cari, lo strazio di essere lì, accanto a loro, ma incapaci di risparmiargli anche solo un istante di quella lotta durissima e solitaria». Così l'Arcivescovo inizia la riflessione: «Ma da quel drammatico pomeriggio sul Calvario di duemila anni fa, nessun uomo che muore è solo». Non è un’illusione, non è una favola. Gesù è con tutti gli uomini che muoiono, condivide ogni spasimo, si dona e li per-dona. «Quel “per” inserisce un moltiplicatore infinito». E sono proprio le ultime parole di Gesù «Padre, perdona loro» a dare il titolo alle quattro stazioni della Via Crucis che ripercorrono le ultime tappe del cammino doloroso di Gesù, fino alle terribili ore della sua agonia.
Nella prima stazione della serata, «Gesù incontra le donne di Gerusalemme». Anche qui, sul Calvario, ancora un incontro. «Le ore della Via Crucis, come gli anni della vita pubblica di Gesù, sono piene di incontri. Quasi che il metodo con cui il Signore ha voluto farsi presente agli uomini ci fosse consegnato come estrema, preziosa, eredità. Gesù si svela a noi e svela noi a noi stessi attraverso l’incontro», commenta Scola. Un incontro che, però, lascia spazio ad un avvertimento: «Non piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli» recita il Vangelo di Luca.

Tra i brani scelti per questa stazione, un commento del Papa Benedetto XVI: «Non è forse un rimprovero rivolto ad una pietà puramente sentimentale, che non diventa conversione e fede vissuta? Guardando le sofferenze del figlio vediamo tutta la serietà del peccato». «La vita è una cosa seria», commenta l'Arcivescovo. Un ammonimento a noi, che in parte per la nostra congenita fragilità e in parte per il contesto culturale in cui siamo immersi, «siamo portati a banalizzarla, a mettere il silenziatore sulla responsabilità delle nostre azioni o a scaricarla su persone e circostanze fuori di noi». Ed è questa la grazia che il gesto della Via Crucis perpetua instancabilmente: «È uno spettacolo la Croce perché costringe a guardare, ci muove non solo alla superficie».

Poi “Gesù cade la terza volta”, il profeta Isaia ci pone davanti alla positiva iniziativa di Dio verso il dolore e la morte. Eppure «non è masochismo, ma l’andare fino in fondo nel dono di sé per amore, “sapendo di non restare confuso” (Is 50,7); certo, come un bambino che, saldamente ancorato alla mano del padre, va incontro a tutto», commenta l’Arcivescovo. E riprendendo un brano del beato Giovanni XXIII: «Impariamo da lui a non muovere lamento, “a voler bene a tutti. Mi capite? A tutti, anche a quelli che ci fanno del male o ce ne hanno fatto”».

Terza stazione della serata: “Gesù spogliato delle sue vesti”. Siamo davanti ad un Cristo «Nuovo Adamo», la sua nudità fa riflettere sulla perdita del pudore della nostra società, dove il corpo non è più considerato nella sua natura relazionale, non è più segno di comunione con Dio. «La com-passione totale di Cristo - Essi non ti hanno lasciato niente, o Signore… Hanno preso tutto (Paul Claudel) - che si lascia spogliare di ogni suo diritto divino, restituisce al nostro corpo la sua dignità originaria e lo destina alla resurrezione. Quante decisive conseguenze della spogliazione del Redentore!». San Paolo le riassume: «Il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo» (1Cor 6,13).

Infine, il Vangelo di Luca ci pone davanti a “Gesù inchiodato alla croce”. Ecco cosa ci dice quel corpo crocefisso: lui ci ha già anticipati, la resurrezione con Cristo è la nostra speranza, fonte dell’energia quotidiana. Per questo possiamo pregare con San Bonaventura: “Anima mia, se mai ti accadrà di soffrire crudeltà, tristezza, dolori, pene alza a lui il tuo sguardo (…) Egli ti ama, ti guarda e ti ha riscattata, cammina con lui e vivi per lui. Ammira, ringrazia, ama, loda e adora”. «Padre, perdona loro» Così l'Arcivescovo conclude l'omelia: «una delle ultime, preziose parole di Gesù sulla croce è spesa per ribadire, ancora una volta, la misericordia», un’esperienza indispensabile per l’uomo. «Noi ti ammiriamo e ti rendiamo grazie. O Croce di Gesù (...) noi ti adoriamo: donaci di amarti».