Papa Francesco sulle rive del Giordano.

Davanti alla sete di un popolo

È la prima volta che Alona incontra un Papa dal vivo. Parla della «grazia più grande della mia vita». La testimonianza di chi in Giordania ha assistito al bisogno commovente di quella minoranza cristiana

Papa Francesco è arrivato in Giordania in un momento di difficoltà sia per la situazione di instabilità cronica del Medio Oriente, sia per i vicini conflitti iracheno e siriano. La città di Amman, da più di due settimane, aveva cominciato a esporre insegne e cartelli di benvenuto a papa Francesco. I giornali di questi giorni hanno parlato della sua visita come di un importante fatto politico per la Giordania, ed è stato un avvenimento di grazia per noi cristiani. A dimostrazione di questa significatività, lo Stato giordano ha messo a disposizione gratuitamente l’uso di mezzi pubblici permettendo ai cristiani di raggiungere, da tutte le parrocchie della capitale e dai dintorni, l’International Stadium dove il Papa ha celebrato la santa messa.

Questa visita ha acceso nei cuori di tutti i cristiani giordani, il 3% della popolazione di cui 80.000 cattolici, il fuoco dell’amore per il rappresentante della Chiesa nel mondo. Papa Francesco è il quarto Papa che viene in Giordania dopo Paolo VI nel 1964, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel 2009.

La visita di Francesco avviene in un momento molto delicato per i cristiani del Medio Oriente a causa della situazione prodotta dall’estremismo islamico con la persecuzione di molti, martirizzati per la loro fede specialmente in Siria, in Egitto e in Iraq.
La sua venuta sta portando pace, amore e gioia. Di di questa pace abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di convertirci a Gesù. Penso che questa visita ci fortificherà per affrontare quello che sta succedendo qui, per continuare ad essere generosi verso gli altri come ci chiese, a suo tempo, Benedetto XVI: «Voi cristiani siete testimoni di Gesù nelle vostre opere di carità e di amore». Potrà essere un conforto, uno sprone a dare il meglio di noi, rimanendo in questa terra.

Alcune cose mi hanno colpito particolarmente in questa giornata memorabile. Innanzitutto ciò che mi ha raccontato Teresa, studentessa italiana venuta quest’anno a imparare l’arabo all’Università di Amman. Teresa ha accompagnato allo Stadio di Amman una ragazza filippina, Alona, che vive in Giordania da 16 anni e che in passato aveva lavorato come collaboratrice domestica presso una famiglia musulmana. Alona non aveva mai potuto incontrare, per il suo lavoro, né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI, ed all’incontro con papa Francesco era felicissima: aveva sempre pensato che incontrare il Papa fosse la grazia più grande della sua vita. Continuava a ringraziare Teresa, a farle foto e a dire che non aveva mai avuto un’occasione così bella. E Teresa ha raccontato di aver guardato la sua certezza e la sua fede e di aver desiderato lo stesso per sé.

In Giordania sono molti gli immigrati cristiani, poverissimi, provenienti dall’estremo oriente o dall’Egitto. Spesso lavorano in situazione di semi schiavitù presso le famiglie più ricche del Paese e con perseveranza si sacrificano per inviare soldi alle famiglie nel loro Paese d'origine e non smettono di perseverare, anche silenziosamente, nella loro fede. L’incontro di questi giorni è stato anche per loro un avvenimento che ha dato forza e speranza.

Per Teresa è stato commovente vedere il bisogno di questi cristiani presenti alla celebrazione, il loro desiderio di toccare e di incontrare carnalmente Gesù nella persona del Papa in questa terra sofferente. Ha visto la gente vivere questo gesto con gioia, come se, assetata da tempo, finalmente aveva avuto la possibilità di bere dell’acqua.

La richiesta di papa Francesco a «vivere insieme a musulmani ed ebrei con un amore all’unico Dio» impegna noi cristiani ad essere testimoni di pace e ad avere amore verso tutti i popoli; ci chiede con forza «di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; di ungere tutto il nostro essere con l’olio della Sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie».

Ho sentito la testimonianza di parenti e amici giordani, e persino di gruppi turistici di passaggio che erano presenti allo Stadio di Amman. Ancora, dei tanti bimbi della Prima Comunione e delle loro famiglie, che hanno vissuto questo momento con un grande entusiasmo, come sa fare il popolo arabo giordano.

Personalmente, ho vissuto con intensità l’incontro con papa Francesco nei luoghi del Battesimo di Gesù assieme ad un gruppo della Caritas con cui da anni lavoro per aiutare i profughi palestinesi, iracheni, siriani. Mi ha colpito, ancora una volta, la contentezza e la festosità dei cristiani che erano lì, e il fatto che molti di loro arrivavano da lontano.

La visita a Betania, “al di là del Giordano”, è stata toccante per la scelta di un luogo così speciale: al Giordano, dove Gesù ha scelto di farsi battezzare da Giovanni, dove Lui «ha mostrato la sua umiltà e la condivisione della condizione umana... il suo chinarsi sulle ferite umane per risanarle». Mi ha commosso vedere il Papa, stanco alla fine della giornata, sorridere felice davanti all’accoglienza e all’abbraccio dei profughi siriani e iracheni e dei disabili presenti.

Ancora una volta, la testimonianza di papa Francesco ci ha mostrato il fascino e la bellezza di Gesù. «La pace è un dono da ricercare pazientemente e costruire artigianalmente mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana». Questa frase di Francesco mi ha ricordato quello che spesso ci ripete don Carrón riprendendo don Giussani: «Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Questo incontro con Francesco ha riacceso in me il desiderio di poter vivere sempre di più con questa coscienza il mio lavoro tra i musulmani nei campi profughi e testimoniare l’amore e la carità di Cristo che, attraverso il Papa, don Carrón, gli amici e la mia famiglia, abbraccia me e tutto il mio limite.

Simon Suweis, Amman