I paradisi sono due

Seoul attende la visita di papa Francesco (14-18 agosto), che beatificherà 124 cristiani uccisi "in odium fidei". Un breve viaggio tra storie, volti e luoghi che hanno segnato la Chiesa coreana. Nata, caso unico al mondo, dalla fede dei laici
Alessandra Stoppa

La cattedrale di Myeongdong, a Seoul, sorge esattamente là dove abitava Kim-Beom-u. Un uomo di lettere. Un intellettuale. Tra le mura della sua casa, all'inizio dell'Ottocento, avvenivano gli incontri tra i primi cristiani di questo Paese. Si riunivano, da amici, seminando quella che oggi è la Chiesa di Corea. Caso, unico al mondo, di una Chiesa fondata da semplici laici. Kim-Beom-u morì in esilio. Il suo amico Ly Beyok fu imprigionato dalla sua stessa famiglia. Morì a 31 anni, dopo quindici giorni di digiuno.
Saranno 124 cristiani come loro, uccisi in odium fidei, ad essere beatificati da papa Francesco durante la sua visita in Corea, dal 14 al 18 agosto. E sono le loro storie a farci conoscere quale vita di fede ha portato i cattolici di questo Paese (10mila nel 1880) ad essere oggi il 10 per cento della popolazione.

«Se c’è vento, si avrà un buon raccolto», dice don Paolo Lee, custode del santuario di Solmoe, a Cristian Martini Grimaldi, autore di un’utile ed elementare storia della fede in Corea (Cristiani in Corea, ed. Messaggero Padova), con un’introduzione dell’arcivescovo di Seoul, Andrei Yeom Soo-jung, creato cardinale da Bergoglio quest’anno. Il vento sono le grandi prove che i discepoli di Gesù in Corea hanno dovuto attraversare (dei 230 anni di storia della Chiesa, 100 sono segnati dalle persecuzioni). E il seme del raccolto è l’ardore di quei primi intellettuali che si sono imbattuti nella «sapienza occidentale»: opere di letteratura e scienza che arrivavano dalla Cina, tradotte dai gesuiti. Loro, studiosi confuciani, rimasero così affascinati da quello che leggevano da voler conoscerne sempre più gli autori. Così hanno incontrato la fede da cui quei testi nascevano. E che è diventata la loro.

Peter Yi Seung-hun fu il primo coreano ad essere battezzato. Per ricevere il sacramento dovette andare a Pechino, perché in Corea non c’erano preti. Era il 1784. Un anno dopo, il cattolicesimo venne bandito nel Paese. Eppure, nel 1794, i battezzati erano già 4mila. A causa delle persecuzioni (la prima è del 1801), i fedeli rimasti si rifugiarono nelle campagne più lontane, «terre mai sfiorate dalla predicazione». Ma proprio là vissero e annunciarono il Vangelo. È così che sono nati i Gyouchon, villaggi di soli cristiani: un nuovo mondo in quel mondo impregnato dal confucianesimo e da una rigida e ingiusta classificazione sociale. La vita nelle comunità era diversa: si condivideva il lavoro, il cibo, ci si prendeva cura degli orfani e dei malati. E le donne, da sempre discriminate, iniziavano ad essere protagoniste (Grimaldi dedica un capitolo a storie di donne cattoliche in Corea).
I primi religiosi arrivao nel Paese tanti anni dopo. Nel 1824, uno dei responsabili della comunità cattolica, Chong Ha-sang, scrive al Papa, chiedendogli di inviare dei missionari. La lettera arriva a Roma tre anni dopo: ne rimane colpito l’allora prefetto della Propaganda Fidei, il cardinale Alberto Cappellari, che nel 1831 diventa papa Gregorio XVI. Una delle sue prime decisioni da Pontefice, sarà quella di inviare un vicario apostolico della Corea: il missionario francese Barthélemy Bruguière.
La storia dei cristiani di Corea è segnata da altre due lettere. Quelle inviate a papa Francesco da monsignor Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon. La Diocesi in cui sono nati tanti dei martiri coreani. La prima lettera è datata 19 marzo 2013, giorno di san Giuseppe: «Santità, sono pronto a dare la mia vita per lei». E la seconda, 20 ottobre dello stesso anno, in cui il Vescovo invita il Santo Padre alla Giornata Asiatica della Gioventù e alla Giornata coreana dei giovani. Invito accettato.

«Preghiamo perché questa visita rappresenti un nuovo inizio sia per la Chiesa coreana che per la Chiesa universale», scrive nell’introduzione il cardinale Soo-jung. Il libro raccoglie anche una sua intervista, in cui racconta la storia di due dei 124 futuri beati. Mattia Choe In-gil è stato il protagonista della prima messa in coreano: un ragazzo che si era reso disponibile a tradurre la celebrazione di un prete venuto dalla Cina. Quando le autorità hanno scoperto la presenza del sacerdote, Mattia ha finto di essere il prete cinese, ma la verità è stata scoperta e lui torturato e ucciso. Simon Hwang Il-gwang, invece, aveva semplicemente la colpa di essere molto povero. Da sempre trattato come uno schiavo, ha scoperto la dignità della sua vita nell’abbraccio della comunità cattolica, che gli ha fatto dire: «Adesso io credo che esistano due paradisi, uno dopo la morte e uno sulla terra». Catturato e interrogato, nel 1801, si rifiuta di fare i nomi dei suoi amici. E viene decapitato.

Il libro di Martini Grimaldi è un percorso tra i luoghi che saranno visitati dal Papa ad agosto: dallo Stadio di Daejeon, dove celebrerà la messa dell’Assunzione, al Santuario di Solmoe, il luogo di nascita di Andrea Taegon (il primo sacerdote coerano), dove Bergoglio incontrerà i giovani asiatici; e ancora, la Fortezza di Haemi, che era fu il centro delle persecuzioni dei cattolici e il 18 agosto ospiterà la messa conclusiva (sono attese 100mila presenze).
Ma il libro è anche un viaggio che va dai primi “catechismi” coreani per chi non sapeva leggere (canti e poesie popolari a cui venivano cambiate le parole), al dramma dei mille aborti al giorno stimati in Corea, fino ai giovani cristiani di oggi. C’è Elisabetta, che ha conosciuto la fede dalla nonna, «diventata cattolica di nascosto». O suo fratello, morto a tredici anni con il desiderio di farsi prete: davanti a lui, anche loro padre si è convertito. Poi c’è Rena, che si è «ammalata di studio» durante il temutissimo Ksat, l’esame di scuola superiore. Gli studenti sudcoreani chiamano l’ultimo anno di liceo «l’anno dell’inferno», ma è stato proprio dentro quella difficoltà che Rena ha conosciuto il cammino di fede di alcuni suoi coetanei e quattro anni fa si è battezzata. E c’è Maria, che arriva da Buenos Aires, quartiere Flores. Lo stesso di papa Bergoglio. Arrivata in Corea dopo la laurea in Medicina, lavora come volontaria all’ospedale di Kkottongnae. E attende Francesco.