L'apertura della Causa nella cattedrale di Frascati

Serva di Dio e luce per la Chiesa

A Frascati l'apertura della causa di beatificazione della fondatrice del movimento dei Focolari. Dalle parole del vescovo Raffaello Martinelli a quelle del cardinale Pietro Parolin, un esempio di «accoglienza del carisma del Signore»
Federico Napoletano

Martedì 27 gennaio si è aperta la causa di beatificazione di Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari. L'iter, iniziato il 7 dicembre 2013, a cinque anni dalla morte, ha avuto la sua Prima Sessio nella cattedrale di San Pietro Apostolo a Frascati, dove si trova il Centro internazionale del movimento. In una chiesa piena zeppa per la celebrazione, erano presenti le autorità civili di Trento, città natale di Chiara, molti Vescovi, Arcivescovi, esponenti di movimenti e associazioni cattoliche. Persino fedeli musulmani e buddisti.

Dopo la recita iniziale dei vespri, il primo a prendere parola è stato il Vescovo di Frascati, monsignor Raffaello Martinelli, chiamato a presiedere alla celebrazione. Sottolineando il ringraziamento a Dio, per aver donato ai suoi figli «una testimonianza di fede, speranza e carità». In seguito, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha letto il messaggio con cui papa Francesco ha voluto ricordare Chiara.

La celebrazione si è conclusa con il discorso di Maria Voce, presidente dei Focolari. Grazie alle sue parole è emersa l'importanza del carisma della Lubich, sempre pronta ad «abbracciare ogni uomo», senza distinzioni di alcun tipo. Un vero esempio di sequela di Gesù. Al termine, il suo augurio affinché la «sua testimonianza» possa diventare «portatrice di pace, unità e fraternità universale». Da questo momento, dunque, il Tribunale istituito dal vescovo Martinelli proseguirà con la raccolta degli scritti inediti e delle testimonianze. La prossima sessione è stata già convocata per il 12 febbraio 2015.



Riproponiamo il ricordo di monsignor Massimo Camisasca, oggi Vescovo della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, scritto a pochi giorni dalla sua scomparsa, il 14 marzo 2008.

I santi non muovono da una necessità esteriore, ma da una urgenza interiore. Non pensano di creare un ordine nuovo. È anacronistico persino chiedersi quale sia lo specifico della realtà che da essi nasce. Essi vogliono semplicemente e totalmente seguire Cristo. Benché il rivelarsi della santità in un uomo o in una donna sia un fatto assolutamente gratuito, è anche attraverso i santi fondatori che si realizza il rinnovamento della vita della Chiesa. La loro fede diventa forma dell’esistenza, ed essi operano con i propri discepoli un’apertura alla totalità che costituisce una risposta profonda al bisogno che gli uomini vivono in quel tempo. Così sono nati i movimenti ecclesiali e le nuove comunità. Appaiono dopo la Seconda Guerra mondiale, in un momento in cui i cristiani sono costretti ad andare alla radice della loro vocazione.

«Il nuovo si fa strada»
Così sono sorti i Focolari. Così è apparsa Comunione e Liberazione. I loro due fondatori, quasi coetanei, sono scomparsi a distanza di tre anni, in questo momento di passaggio della Chiesa rappresentato dalla fine del lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II e dall’inizio del pontificato di Benedetto XVI. Quest’ultimo aveva scritto più di vent’anni fa: «Vecchie forme escono di scena, il nuovo si fa strada, cresce nel silenzio. Il nostro compito è di tenergli aperte le porte, di preparargli lo spazio».
Ora anche Chiara Lubich è tornata a quel Dio che l’aveva chiamata con una persuasività così profonda da far crescere attorno a lei un popolo di centinaia di migliaia di persone, da dare alla sua parola e alla sua azione un eco che ha raggiunto anche ortodossi e luterani, musulmani e buddisti.
Chiara Lubich era trentina, nata nel 1920, lo stesso anno di Karol Wojtyla. Aveva il temperamento delle popolazioni di quella terra: un carattere forte, di ferro, e una dolcezza che si esprimeva, oltre che nel sorriso, in una delicatezza persuasiva di rapporti. Talvolta incontrandola mi sembrava di vedere in lei l’ombra di De Gasperi, altro figlio della terra trentina, che aveva contribuito come nessun altro alla rinascita dell'Italia dopo la Seconda Guerra mondiale. Anche Chiara, forse come De Gasperi, sentì nella ricostruzione degli uomini e delle donne, delle anime degli italiani, la missione che Dio le aveva affidato. Come ogni persona segnata da una particolare vocazione, cambiò nome (si chiamava Silvia) e assunse, appunto, quello di Chiara, la ragazza che a fianco di san Francesco aveva iniziato una nuova espressività della Chiesa all’inizio del Medioevo.

Il cuore della scoperta
Anche Chiara Lubich è stata un inizio. Per la prima volta in Italia un gruppo di persone si radunava attorno a una donna. Non per costituire qualcosa di particolare dentro la Chiesa, ma semplicemente per rinnovarne interiormente il tessuto. Per la prima volta nasceva un movimento, un’aggregazione laicale come altre che avrebbero segnato la storia successiva del secolo ventesimo nella Chiesa cattolica e fuori di essa. Attorno a una personalità carismatica, si sarebbero radunati decine di migliaia di laici e preti, giovani e vecchi, intellettuali e gente del popolo, artisti e professionisti di ogni categoria. Riconoscevano in lei il punto di riscoperta di Cristo vivo e presente. Chiara non è stata idolatrata come altri guru e profeti al di fuori della Chiesa, ma è stata certamente per un numero enorme di persone il tramite decisivo per un cambiamento radicale dell'esistenza.
Qual è il cuore della sua scoperta? Io penso si possa racchiudere in queste parole: l’umanità di Gesù è il manifestarsi di un progetto misericordioso di unità che sana le ferite degli uomini e, anche al di là dei confini della stessa Chiesa cattolica, raggiunge tanti uomini, cristiani e non cristiani. Sorto dalle lacerazioni della guerra, il movimento dei Focolari non poteva essere che ecumenico. Il tentativo fu quello di riportare l’unità laddove c’era divisione in ogni cuore umano. Di ricreare un focolare, appunto. Un luogo il cui centro è il fuoco, l’umanità di Gesù, «Gesù tra di noi», come diceva Chiara. Da quel fuoco si irraggiava l’unione tra le persone, soprattutto a partire da coloro che decidevano di vivere per Gesù, scegliendo di abitare assieme. Anche da questo punto di vista, il Focolare è stato un’innovazione. Pur essendo un istituto secolare, i suoi membri, a differenza degli altri istituti analoghi, vivono assieme in piccole case. Un’idea simile a quella sviluppata da don Giussani con i Memores Domini.
Anni Cinquanta. Ero arrivato da poco a Milano. Avevo circa dieci anni. Un giorno mio padre mi invitò ad andare con lui ad ascoltare la messa domenicale in una chiesina nel centro di Milano dedicata a Maria Bambina. Una piccola chiesa non parrocchiale. Lo aveva invitato un collega. Se non ricordo male (sono passati più di cinquant’anni) si chiamava Zanzucchi. Chi si radunava in quella chiesa? Sulle prime, non capii bene. Non era una comunità parrocchiale, non erano dei religiosi. Era gente qualsiasi, persone che apparivano profondamente legate le une alle altre, piene di gioia, proiettate verso qualcosa di assolutamente nuovo e affascinante. Attorno a una donna. Conobbi lì per la prima volta il nome di Chiara. Ho conosciuto così i focolarini prima di Cl. Da allora in poi, mio padre per un po’ di anni ricevette in abbonamento Città Nuova, il quindicinale del movimento, che in quegli anni usciva ancora ciclostilato. Sarebbe poi diventato tabloid e infine magazine. Il suo direttore, Boselli, è stato per vent’anni un mio carissimo amico. Quella domenica, per la prima volta, scopersi che nella Chiesa non c’erano solo le parrocchie e gli istituti religiosi, ma anche delle aggregazioni di laici nate attorno a degli uomini e delle donne.

«Ciò che conta è il Battesimo»
Sono stato con Chiara parecchie volte. Per esempio a Santiago di Compostela, durante il grande pellegrinaggio in occasione della Giornata mondiale dei giovani 1989. Ma la voglio ricordare soprattutto per un incontro che ho avuto con lei in preparazione del Sinodo dei vescovi sul laicato nel 1986. Mi impressionò questa sua frase: «Il Battesimo è tutto ciò che conta, conta l’uomo nuovo che nasce da esso, la sua dignità. Molto più delle differenze nella Chiesa, ciò che conta è il Battesimo». E poi aggiunse più o meno così: «Dal Battesimo scaturisce un uomo diverso, un’azione nuova, trasformatrice. È l’idea di movimento».
L’ultima volta che ho visto Chiara è stato in piazza San Pietro, il 30 maggio 1998. Tre grandi della Chiesa si incontravano davanti a 500mila persone. Sapevano di essere verso il momento finale della loro vita. In particolare, Giovanni Paolo II e don Giussani erano già visibilmente segnati dalla malattia. Quell’incontro espresse molto più di tanti discorsi in una sola immagine la realtà della Chiesa del Novecento. Pochi giorni dopo, don Giussani scriverà così a tutta la Fraternità: «È stata per me la giornata più grande della nostra storia. È stato il “grido” che Dio ha dato a noi come testimonianza dell’unità, dell’unità di tutta la Chiesa. Almeno io l’ho avvertito così: siamo una cosa sola. L’ho detto anche a Chiara e a Kiko Argüello, che avevo a fianco in piazza San Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità? La nostra responsabilità è per l’unità, fino a una valorizzazione della minima cosa buona che c’è nell’altro».