19 aprile 2015. La Sindone nel Duomo di Torino.

Davanti ai segni della passione

Ieri ha preso il via fino al 24 giugno, nel Duomo di Torino, l'Ostensione straordinaria del telo che, secondo la tradizione, ha avvolto il corpo di Gesù. Riproponiamo un articolo di Tracce per provare a capire gli indizi che portano a quell'Uomo
José Miguel García

«Giuseppe d’Arimatea allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia» (Mc 15,46). Così, in modo assai sintetico, l’evangelista Marco narra la sepoltura di Gesù. Matteo e Luca menzionano anche il sepolcro nuovo e il lenzuolo di lino (Mt 27,59; Lc 23,53). Giovanni sembra affermare qualcosa di diverso: «Lo avvolsero in bende/fasce (othonia) insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei» (19,40). Il termine compare di nuovo nel racconto della visita di Pietro e Giovanni al sepolcro vuoto (20,3-9). Per quale motivo Giovanni ha usato un altro termine greco, e per di più al plurale? In realtà, questo termine è sinonimo di lenzuolo, dato che tra i suoi vari significati c’è anche quello di “grande drappo di tela”. Il plurale è dovuto a una lettura non del tutto corretta del termine aramaico originario: il duale, che significava “tela doppia”, fu letto come un plurale. Probabilmente Giovanni ha utilizzato il duale per descrivere più dettagliatamente la tela che aveva coperto il corpo di Gesù. E che corrisponde esattamente alla Sindone, il sacro lenzuolo di Torino: una tela doppia.

Lo studio scientifico multidisciplinare compiuto a partire dal 1898, anno in cui Secondo Pia scoprì che l’immagine del lenzuolo si comporta come un negativo fotografico, ha messo in evidenza che non ci troviamo di fronte a un dipinto, ma a un’impronta la cui formazione continua a essere un mistero. Accanto all’immagine, macchie di sangue sono sparse su tutta la stoffa. Gli scienziati hanno scoperto che contiene un’alta percentuale di bilirubina, quindi si tratta di una persona che ha subìto un tormento atroce, e che le macchie sono di due tipi: sangue che sgorga dalle ferite di una persona viva, e sangue di cadavere, come la macchia del costato attraversato da una lancia romana. Come hanno messo in luce gli studi scientifici, ci troviamo di fronte alla prova archeologica più impressionante della pena della crocifissione. Ma chi è la vittima?

Prima di cercare una risposta a questa domanda, va fatta una premessa: certi segni di tortura impressi nel lenzuolo sono tipici di qualsiasi crocifissione; altri sono eccezionali, propri di questo crocifisso, e permettono di identificare la vittima. Ecco i più vistosi: una delle caratteristiche più evidenti di quest’uomo è che è stato flagellato, un castigo indipendente dalla crocifissione, come dimostra chiaramente il numero di colpi (circa 120) e la loro distribuzione in tutto il corpo. Normalmente chi veniva crocifisso era flagellato durante il cammino, per debilitarne il corpo e accorciare il supplizio della croce. Se si fosse usata questa modalità con il condannato della Sindone, i segni delle frustate non comparirebbero su tutto il corpo. Secondo Gv 19,1 e Lc 23,25, Pilato ordinò di flagellare Gesù come pena alternativa alla crocifissione; le autorità giudaiche non ne rimasero soddisfatte e richiesero la sua morte sulla croce.

Altra peculiarità: la testa del giustiziato fu cinta con una corona di spine, non in forma di anello, ma come un casco, con la stessa forma delle corone orientali, dato che ferite da spine si trovano su tutta la testa. Tre evangelisti concordano nel segnalare che i soldati, schernendo Gesù, intrecciarono una corona di spine e gliela misero in testa (Gv 19,2; Mc 15,17; Mt 27,29). Il volto del crocifisso del lenzuolo mostra contusioni, soprattutto sulla guancia destra, a causa di un forte colpo ricevuto con un oggetto duro. Gli evangelisti riferiscono che un servo del sommo sacerdote colpì Gesù con un bastone per castigarlo per il modo in cui aveva risposto alla suprema autorità giudaica durante il processo davanti al Sinedrio (Mc 15,19; Gv 19,3). Le gambe di questo cadavere non sono spezzate; si usava invece romperle per far morire più rapidamente i condannati crocifissi. La persona della Sindone ha ricevuto un colpo di lancia nel costato per constatarne la morte, dato che il sangue fuoriuscito dal cuore è quello di un cadavere. Giovanni racconta nei dettagli questo colpo di lancia e il flusso di sangue e siero uscito dalla ferita (Gv 19,32-34).

Inoltre, risulta sorprendente che quest’uomo giustiziato sia stato sepolto in una tomba privata, invece di essere gettato nella fossa comune, e per di più avvolto in un telo di lino costoso, su cui era stato sparso un unguento di aloe e mirra. I vangeli riferiscono che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo avvolsero Gesù in un telo di lino e sparsero su di esso cento libbre di questi due profumi (Mc 15,42-46; Gv 19,38-40). Infine, stupisce che il cadavere avvolto dal sacro lenzuolo non sia andato in decomposizione, dato che sulla tela non ci sono segni di putrefazione.

Anche altri particolari, pur essendo tipici di qualsiasi crocifissione, possono contribuire all’identificazione del personaggio della Sindone. La parte posteriore delle spalle è coperta di escoriazioni per aver portato la croce. Questa croce di fatto era soltanto il patibulum, o palo trasversale, e generalmente pesava circa 40 chili. Le ferite delle frustate in questa parte del corpo sono schiacciate, ma non lacerate, nonostante l’attrito del patibulum. I vangeli dicono che Gesù fu caricato della croce, ma poiché era molto debole per le torture subite non riuscì a portarla da solo fino al Calvario, e fu necessario l’aiuto del Cireneo (Mc 15,21). Inoltre, Gesù camminò vestito fino al Calvario (Mc 15,20); le ferite, quindi, non rimasero direttamente a contatto con il legno. Il sangue dell’uomo del sacro lenzuolo dimostra che il condannato morì per disidratazione, patendo una gran sete. Giovanni nel suo vangelo descrive la tortura della sete cui fu sottoposto Gesù (Gv 19,28ss).

Queste caratteristiche, e altre che qui non segnaliamo per mancanza di spazio, rendono evidente l’identità della vittima: Gesù di Nazareth. Nell’omelia del 24 maggio 1998 nella cattedrale di Torino, Giovanni Paolo II ha definito il sacro lenzuolo “specchio” dei racconti evangelici della passione e morte di Gesù. Se la Terra Santa è stata considerata il “quinto vangelo”, la Sindone deve essere considerata il quinto racconto della tortura subita da Gesù. Certamente, molto più espressivo delle brevi narrazioni trasmesse nei primi scritti cristiani. Tuttavia, il significato di tutta questa sofferenza viene esplicitato soltanto dall’annuncio della Chiesa: «Nell’incommensurabile sofferenza da essa documentata, l’amore di Colui che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” si rende quasi palpabile e manifesta le sue sorprendenti dimensioni. Dinanzi a essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: “Signore, non mi potevi amare di più!”, e rendersi subito conto che responsabile di quella sofferenza è il peccato: sono i peccati di ogni essere umano» (Giovanni Paolo II).
Alcuni saggi, come Sindone. Il ritorno alla vita di Giuseppe Catalano e Cento prove sulla Sindone di Giulio Fanti e Emanuela Marinelli, fanno appello alla resurrezione per spiegare la formazione dell’immagine; anzi, il lenzuolo è considerato una prova di questo fatto.

La resurrezione di Gesù è un avvenimento unico, la cui vera natura viene espressa dalla Chiesa con queste parole: «Resuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture, salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre». Vale a dire: la resurrezione di Gesù non significa il ritorno alla vita di questo mondo, ma la sua esaltazione nella gloria del Padre. Si tratta di un evento che ha luogo nell’aldilà, non conoscibile dall’uomo solo attraverso le sue capacità intellettive. Questo evento, dunque, accade al crocifisso Gesù di Nazareth; pertanto, sarà possibile constatarne qualche traccia o segno in questo cadavere. I primi testimoni cristiani lasciarono notizie della sparizione del corpo nel racconto del ritrovamento del sepolcro vuoto come primo indizio della resurrezione; dato che i nemici giudei non poterono negarlo, cercarono di giustificare il fatto dicendo che era stato trafugato dai discepoli. Ecco, in questo senso possiamo anche considerare la Sindone un indizio, in quanto testimonianza di qualcosa di eccezionale: il corpo che vi fu avvolto non si corruppe. Questo cadavere non subì il normale processo di decomposizione che subisce qualsiasi morto. Come spiegare questo fenomeno? Solo accogliendo la testimonianza dei discepoli. Che videro Cristo gloriosamente vivo dopo la morte.

(articolo tratto da Tracce n. 3/2010)