Mario Gargantini.

Dalla scienza all'essenza dell'uomo

C'erano tante facce sorprese alla conferenza stampa di presentazione della "Laudato si'". E qualcuno ha espresso disappunto: il Papa che parla di certi argomenti? Ecco come risponde chi di questi temi si occupa da tanti anni
Mario Gargantini*

Alla conferenza stampa di presentazione dell’enciclica Laudato si’ molti giornalisti si sono stupiti del fatto che il Papa si sia “occupato” di scienze e alcuni non hanno gradito: come se il Papa, in quanto abitante del Pianeta non potesse interessarsi della situazione della “casa comune” e non potesse chiedere agli scienziati di aiutarlo a entrare almeno un po’ nei problemi sui quali poi vorrà sviluppare una riflessione più ampia e responsabilizzante. Del resto il Papa indica quasi subito - riprendendo un contributo del patriarca ecumenico Bartolomeo che ha molto approfondito le tematiche ambientali - dove bisogna puntare l’attenzione e cioè sulle «radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi».

E poco più avanti spiega se si vuol parlare di ecologia integrale bisogna aprirsi «verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano». Ma per trascendere questo linguaggio bisogna almeno un po’ attraversarlo. E nel far questo il Papa suggerisce una modalità di approccio che diventa paradigmatica per chiunque si interessi non solo di ambiente ma delle scienze in genere. È l’approccio che vede la natura come uno «splendido libro nel quale Dio ci parla», che vede il mondo come «qualcosa di più che un problema da risolvere» ma piuttosto come «un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode».

Accostare la natura così non toglie nulla al rigore delle analisi e alla accuratezza delle indagini. Anzi, rende più appassionati nel cogliere ovunque le tracce del Creatore, nella convinzione che «il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta». E può diventare un antidoto che frena la crescita, denunciata da papa Francesco, di «un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità».

Tra uomo e natura deve affermarsi una relazione di «reciprocità responsabile», ben espressa nei due verbi che indicano gli assi portanti di ogni azione umana nei confronti della natura: coltivare e custodire. Se il primo fa riferimento a tutte le risorse dell’ingegno che l’uomo può mettere in campo per usufruire della terra ricevuta in dono, il secondo sottende l’invito a prendersi cura, a proteggere, a preservare. In entrambi i casi il punto di partenza non è l’iniziativa umana: «la terra ci precede e ci è stata data». Qui papa Francesco replica a quanti - ed è un sottofondo costante di molto pensiero green - individuano nella tradizione giudaico cristiana la radice del dissesto ecologico interpretando, in modo non corretto, l’invito biblico a soggiogare la terra come la molla che ha avviato il dominio dispotico dei beni protrattosi lungo i secoli e oggi consacrato dalla tecnocrazia.

Il riconoscimento di una realtà naturale donata e affidata a noi non può che spronare la nostra intelligenza nel cercare di conoscere meglio le sue leggi e i suoi delicati equilibri e, di conseguenza, nel rispettarli. D’altra parte non c’è nulla nelle Scritture che dia adito a «un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature». Se si deve criticare una visione antropocentrica che mal si accorda con il rispetto e la tutela dell’ambiente, si deve semmai puntare il dito, come fa l’Enciclica, sull’«antropocentrismo deviato» che va di pari passo con il biocentrismo ecologista: alla radice di entrambi c’è la cultura del relativismo, chiaramente denunciata da Benedetto XVI che alimenta un «relativismo pratico» che «inquina» tutte le relazioni con gli altri e soprattutto con chi è più debole e indifeso.

L’ecologia integrale allora non potrà che essere una ecologia umana: quella già invocata da san Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus e più volte richiamata da Benedetto XVI: a entrambi esplicitamente Papa Francesco si richiama, ricordando in particolare un’affermazione del suo predecessore quando nella Caritas in Veritate scrive: «Il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana». Da qui deriva l’indicazione strategica fondamentale, sviluppata ampiamente nel sesto capitolo con ricchezza di indicazioni concrete: bisogna affrontare una grande sfida educativa. Serve un lavoro educativo, che può implicare anche «lunghi processi di rigenerazione» ma che è necessario per poter riorientare le coscienze e per dare, soprattutto alle giovani generazioni, ragioni adeguate per comportamenti e stili di vita degni di chi vuol vivere in pace nella «casa comune».

* direttivo Associazione Euresis (per la Promozione e lo Sviluppo della Cultura e del Lavoro scientifico)