Padre Thomas Reese.

Il Papa "scienziato" che sfida tutti

Padre Thomas Reese, gesuita e giornalista americano, parla del metodo di Francesco dopo aver letto la "Laudato Si'". «Non parte dai principi filosofici, ma dai fatti». E ci pone la domanda «su che tipo di Terra vogliamo lasciare ai nostri figli»
Luca Fiore

«Quel che mi ha colpito è la forza con cui l’Enciclica afferma che la crisi ambientale in corso non ha a che fare solo con la politica e l’economia, ma è innanzitutto un problema morale. Francesco mostra come i problemi dell’ambiente hanno un impatto reale sulla vita di milioni di persone». Dopo aver letto la Laudato Si’, padre Thomas Reese sembra dominato da un senso di sorpresa. Gesuita, giornalista per il National Catholic Reporter, un passato da direttore della rivista America, è una dei commentatori cattolici più noti negli Stati Uniti. «E poi è molto interessante il metodo», continua Reese: «Il Papa parte dai fatti, non dai principi filosofici o teologici. Il documento inizia mostrando quel che oggi sappiamo sull’impatto dell’attività umana sulla Terra. Ed è partendo da ciò sui cui la comunità scientifica ha raggiunto un consenso che pone a noi la domanda su che tipo di Terra vogliamo consegnare ai nostri figli».

Francesco non è il primo Papa a parlare di questi problemi. Cosa c’è di nuovo nel suo pensiero?
Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: tutti hanno parlato del rispetto dell’ambiente. Ma lo avevano fatto con brevi discorsi, dichiarazioni o in qualche paragrafo all’interno di documenti più ampi. Qui Francesco si impegna consegnandoci un documento dell’autorevolezza di un’enciclica. Così l’argomento è trattato in modo più dettagliato, considerando tutti gli aspetti del problema, dai modelli economici alle conseguenze etiche e morali. È la differenza che c’è tra scrivere un articolo di giornale e pubblicare un libro.

Nel passato la Chiesa era sembrata più prudente nell’avallare alcune teorie scientifiche. Che cosa è cambiato?
Bisogna dire che non era mai capitato che avessimo un Papa che ha alle spalle una formazione scientifica: prima di entrare in seminario Bergoglio ha studiato Chimica e lavorato come chimico. È un Papa che si sente a proprio agio con il metodo scientifico. L’altra cosa è che sul problema più discusso, quello dei cambiamenti climatici, la comunità scientifica è più compatta rispetto a qualche anno fa. Sta diventando sempre più chiaro che quello dei cambiamenti climatici sarà uno dei più importanti problemi morali con cui saremo confrontati nel XXI secolo. Penso che il Papa si sia sentito obbligato a esprimersi su questo tema. E non bisogna sottovalutare che Francesco è un uomo che viene dal Sud del mondo e, in quanto tale, ha potuto già vedere con i suoi occhi l’impatto dei cambiamenti climatici. Nei Paesi sviluppati vediamo di meno questi problemi: noi l’inquinamento lo esportiamo, loro lo importano. Noi abbiamo legislazioni più rigide e le nostre industrie tendono a spostare la produzione e il conseguente inquinamento nei Paesi in via di sviluppo.

Eppure l’enciclica non si limita a discutere il global warming...
Sì, è importante che sia chiaro: non è un documento sul riscaldamento climatico. L’enciclica parla di biodiversità, inquinamento delle acque, desertificazione... È una vera sfida, perché dice: dobbiamo agire subito, le Cassandre non vanno più ignorate.

Però è strano che su alcune questioni entri così nello specifico.
Sì, il Papa arriva a pronunciare raccomandazioni molto circostanziate. Anche se bisogna essere consapevoli che il Papa su certe questioni sa di non avere tutte le risposte. Ad esempio: lui critica il sistema dei crediti di emissione di anidride carbonica perché è fonte si speculazione. Io sono d’accordo su quanto dice, ma sono abbastanza certo che se ci fosse qualcuno che argomentasse in modo ragionevole un utilizzo intelligente di questo sistema di crediti, Francesco cambierebbe idea. Lui mette sul piatto alcuni temi perché si metta in moto un dibattito tra gli esperti per cercare soluzioni migliori.

Francesco propone anche un approccio teologico. Qual è il cuore del suo insegnamento?
Il punto di partenza è la Genesi: Dio ha creato l’universo e la Terra. Sono un dono di Dio all’uomo. Un dono che fa a tutti noi e che viene condiviso da tutti. Abbiamo la responsabilità di averne cura. L’uomo non ha il dominio assoluto sulla Terra e non può farne tutto ciò che vuole: noi siamo chiamati a essere custodi, non dominatori. Il secondo aspetto è più sottile: la Terra è uno dei modi con cui Dio si rivela a noi: l’universo è rivelatore, ci parla di Dio. La Chiesa ha sempre detto che noi conosciamo Dio attraverso la rivelazione e la creazione. La creazione ha un valore intrinseco, indipendente da genere umano. È come un’icona di Dio e quando la roviniamo commettiamo una sorta di sacrilegio. La natura fa parte del progetto di Dio, se noi danneggiamo il creato ci poniamo contro il disegno di Dio.

Francesco cita molti documenti pubblicati da Conferenze episcopali di tutto il mondo. Non era mai successo in questo modo, sbaglio?
È un aspetto molto affascinante. Nel passato i Papi tendevano a citare quasi sempre solo se stessi o i propri predecessori. Questo Papa sembra prendere molto sul serio l’idea di collegialità. Capisce che può imparare dagli altri, da assemblee di Vescovi che hanno già riflettuto su questi argomenti. Francesco non si presenta come l’answer man, “l’uomo delle risposte”. Come dicevo: il suo è un invito a un dialogo tra vescovi, scienziati, politici, ambientalisti. Il presupposto è che le buone idee possono venire anche fuori da Roma.

Che conseguenze avrà questo documento sul dibattito sui problemi ambientali?
Avrà un impatto molto importante. La gente non cambierà stile di vita perché qualcuno gli racconta le disavventure degli orsi polari. Se c’è qualcosa che abbiamo imparato dalla storia è che la religione può motivare le persone a fare cose straordinarie. Perché il movimento ambientalista abbia successo, occorre che la gente si convinca a fare grandi sacrifici, non solo a livello individuale ma anche a livello delle comunità. Secondo il Papa sono i paradigmi economici che devono cambiare. Il movimento ambientalista ha bisogno di credenti che agiscano spinti dal loro credo religioso. Uomini convinti che il mondo è un dono di Dio, che deve essere preservato per le generazioni future. L’enciclica è un invito anche agli altri leader religiosi. Il Patriarca di Costantinopoli, citato nel testo, e il Dalai Lama si sono già espressi sulla crisi ambientale. Negli Stati Uniti ci sono stati trecento rabbini che hanno firmato un appello su questi temi e che citano il documento papale.

Eppure Chiesa e movimento ambientalista non sono mai stati in buoni rapporti. Su tanti temi ci sono ancora divergenze.
Oggi gli ambientalisti fanno i salti di gioia leggendo questa enciclica. Sono felicissimi che il Papa si sia coinvolto sui temi che stanno loro a cuore. Sì, è vero: in passato gli ambientalisti sono stati in conflitto con la Chiesa perché si dicevano convinti che la causa del degrado ambientale era la sovrappopolazione e sostenevano politiche di controllo delle nascite. Ma penso che oggi riconoscano che quello non era il vero problema e che accusare la sovrappopolazione significa dare la colpa ai poveri che abitano il Sud del mondo per problemi che, in realtà, sono prodotti dal mondo sviluppato. Penso che il nodo sul controllo delle nascite non si risolverà, ma il mondo ambientalista non si potrà più permettere di muovere battaglie contro la Chiesa cattolica. Ora sanno che la Chiesa può essere un alleato. Diranno: d’accordo, divergiamo su alcuni temi, ma possiamo lavorare insieme per rispondere ai problemi dell’ambiente.

Qualcuno accusa il Papa di essere “di sinistra”...
C’è una sorta di mito, soprattutto negli Stati Uniti, secondo cui i conservatori tendono ad appoggiare la Chiesa cattolica. Questo perché i conservatori sono contro l’aborto, contrari ai matrimoni gay e favorevoli alla promozione della libertà di religione. D’altra parte non hanno mai fatto propria la Dottrina sociale della Chiesa: i temi della giustizia, l’attenzione ai poveri, i diritti dei lavoratori, la pace. Su questi temi i Papi hanno parlato con grande chiarezza già dai tempi della Rerum Novarum di Leone XIII. Ma i conservatori qui sembrano sordi. Ad esempio: Benedetto XVI, che viene etichettato sbrigativamente come conservatore, ha chiesto in modo chiaro un maggior ruolo dei Governi nella regolamentazione dell’economia. Si è spinto a dire che i Governi devono impegnarsi nella redistribuzione delle ricchezza. Negli Usa una cosa del genere non oserebbe dirla nemmeno il democratico più a sinistra.

E quindi?
Sono curioso di vedere le reazioni al discorso che papa Francesco terrà a settembre al Congresso americano. Cosa faranno i repubblicani quando Francesco dirà che bisogna prendersi cura dei poveri, accogliere gli immigrati e proteggere l’ambiente? E i democratici quando dirà che bisogna proteggere la vita fin dal suo concepimento, che i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà? La verità è che il Papa non si schiera politicamente, ma con il suo insegnamento sfida tutti.