L'arrivo di papa Francesco in Bolivia.

«Arriva lui, e il cristianesimo rifiorisce»

Stefano Maria Paci, di SkyTg24, racconta gli otto giorni dietro a Francesco, lungo le tappe del suo viaggio apostolico. Dalla famiglia alla povertà, il sentiero che il Papa sta indicando: una Chiesa che parla a tutti, "passando dagli ultimi"
Paola Bergamini

«Impressionante. Un continente si è mosso dietro Francesco», Stefano Maria Paci, vaticanista di SkyTg24, da poche ore rientrato dall’America Latina, ha ancora negli occhi le migliaia di persone che hanno accolto il Pontefice nel suo viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay dal 5 al 13 luglio. «Uomini, donne, bambini, con magari un lungo viaggio alle spalle, hanno atteso per ore di vederlo passare anche solo per pochi minuti. Di salutarlo».

Che cosa ti ha colpito di più?
È stato un viaggio importante. Mi spiace che la stampa italiana non gli abbia dato abbastanza risalto. Nei suoi ventidue discorsi ci sono delle cose clamorose. Da prima pagina. Ha detto che c’è un’economia di degrado, che uccide. Un sistema mondiale economico che va cambiato con forza, senza attendere. La terra, la casa, il lavoro sono un diritto. Anzi: per i cristiani sono un comandamento, per tutti un obbligo morale. Ha usato parole forti, di una certa durezza.

In che senso?
Nel senso di nettezza. Penso in particolare al discorso ai movimenti popolari in Bolivia. Quel testo, lungo e articolato, è praticamente un’enciclica sociale in cui Francesco ha indicato alla Chiesa il cammino da fare. In aereo, nel viaggio di ritorno con i giornalisti, ha sottolineato che lui non ha inventato niente, che c’è già tutto scritto nella Dottrina sociale della Chiesa. Ma è questa nettezza che mi ha colpito. E poi la preoccupazione che i tempi sono brevi, che il mondo rischia di andare incontro a una catastrofe. Un incitamento alla lotta.

Cosa significa?
Non nel senso di prendere le armi, ovviamente. In Paraguay ha detto che gli ebrei hanno adorato il Vitello d’oro, oggi gli uomini hanno un altro idolo: il denaro. L’economia mondiale è sottomessa a questo idolo senza volto, «lo sterco del diavolo», come lo ha definito. Per questo bisogna lottare, cambiare. Papa Francesco è l’unica grande autorità morale nel mondo che sta difendendo i più deboli e sta chiedendo alla Chiesa di andargli dietro. Con urgenza. Ma non si è rivolto solo alla Chiesa. Ha parlato a tutti: agli esponenti dei movimenti popolari, come ai parlamentari, agli industriali, ai potenti. Ha detto che il cristianesimo è per l’uomo.

Su questo tema della difesa dei deboli e dei poveri a volte si è equivocato. Esaltandone la dimensione sociale.
Niente di più sbagliato. I poveri sono il cuore di Cristo. Sempre in aereo, ha detto che è facile strumentalizzare alcune sue frasi estrapolandole dal contesto. Ha ripetuto che lui non fa altro che ripetere le parole di Cristo: gli ultimi sono nel cuore della Chiesa. Non a caso ha voluto andare nelle baraccopoli e, fuori programma, nella casa per malati terminali di padre Aldo Trento ad Asunciòn. E come se dicesse alla Chiesa: bisogna andare su questa strada. E al mondo: incominciate a cambiare.

C’è un altro tema importante di questo viaggio: la famiglia.
Francesco ha raccontato che in nessun viaggio ha mai visto così tanti bambini e famiglie lungo le strade ad attenderlo. Ha messo in guardia sul rischio incombente di piegarsi a ideologie che vengono dall’esterno. Lo aveva già spiegato in altre occasioni. Ci sono enti internazionali che elargiscono fondi solo se gli Stati accettano certe impostazioni e regole sulle politiche familiari. C’è una strategia mondiale su questo tema, e l’America Latina è uno dei luoghi in cui si cerca di forzare la concezione popolare di famiglia. Dove sette e ideologie esterne cercano di insinuarsi.

Per lavoro ti sei trovato ad attendere il suo arrivo tra il popolo. Cosa ti ha colpito?
Innanzitutto le persone erano contente e commosse. Qualcuno mi ha detto: «Sta mostrando alla nazione che il cattolicesimo c’è, mentre tanti sostengono che è stato sconfitto». Arriva e il cristianesimo rifiorisce. In questo senso non solo ha incoraggiato, ma ha anche dato alla Chiesa locale una linea da seguire.

Un esempio?
In Ecuador ci sono problemi tra la Conferenza episcopale e il Presidente su alcune questioni morali. Francesco ha fatto da mediatore. Inutile fare muro contro muro fossilizzandosi su battaglie di schieramento: bisogna partire dal presupposto che un Presidente ha a cuore il bene del Paese. È il realismo della Chiesa.