Miguel José Serra.

Junípero, giullare di Dio ai confini del mondo

Il 23 settembre Miguel José Serra è stato canonizzato dal Papa. Mingherlino, di salute cagionevole ma pronto a partire per annunciare l'avvenimento cristiano. Il frate che si spinse dalla piccola Maiorca alle lande americane
Damian Bacich

Miguel José Serra nasce e viene battezzato il 24 novembre 1713 nella cittadina di Petra, sull’isola spagnola di Maiorca. Pur essendo mingherlino per la sua età e di salute un po’ cagionevole, fin da ragazzo nutre grandi aspirazioni. Il giovane José si appassiona alla lettura delle vite dei santi, rimanendo particolarmente affascinato dai racconti su san Francesco d’Assisi.

A quindici anni José lascia la famiglia per entrare all’Università Francescana di Palma di Maiorca, dove si iscrive alla Facoltà di Filosofia. A diciassette anni, grazie alla sua brillante intelligenza e maturità, viene ammesso nell’Ordine francescano, nonostante le preoccupazioni dei suoi superiori a causa della sua salute precaria.

Vestendo l’abito francescano prende il nome di Junípero, che significa “giullare di Dio”, appellativo usato per lo stesso san Francesco. Nel 1737 viene ordinato sacerdote, e insegna teologia per sette anni all’Università Llullian di Maiorca.

Pur essendo molto apprezzato come docente, Serra non si accontentò di una normale carriera accademica. Era ansioso di poter visitare altri Paesi, cosa assai comune per gli isolani di Maiorca, che erano stati per secoli navigatori e cartografi, e consueta altresì per molti spagnoli dell’epoca di Serra che desideravano salpare per le lontane “Indie” (come erano chiamate a quei tempi le Americhe). Inoltre gli erano rimasti per sempre impressi nella mente i racconti eroici dei santi che aveva letto da ragazzo.

Il sogno di Serra, dunque, non era ispirato dall’ansia di scoprire nuovi tesori o di guadagnarsi glorie militari, ma piuttosto dal desiderio di annunciare l’avvenimento cristiano a coloro che non l’avevano ancora incontrato. Egli però sapeva bene che i primi discepoli furono inviati da Cristo a predicare a due a due, e così pregò per diversi mesi perché Dio gli mandasse un compagno.

Nel 1749 il suo sogno divenne realtà, quando incontrò un altro francescano della sua provincia che desiderava partire missionario per le Americhe. Il suo nome era Francisco Palou: accompagnerà padre Serra in molti dei suoi viaggi e sarà poi l’autore della sua biografia postuma. Assieme a diversi altri missionari francescani si imbarcarono verso le Americhe.

L’attraversata fu lunga e faticosa, ma quando fra Junípero finalmente sbarcò con i suoi compagni a Vera Cruz, sulla costa messicana, decise di proseguire a piedi per Città del Messico, mentre gli altri si misero in viaggio a cavallo. Lungo la strada Serra venne punto da un insetto su una gamba, che si gonfiò e gli lasciò una lesione permanente che gli rendeva difficoltosa la deambulazione.

Giunto a Città del Messico, trascorse un periodo di studio nel collegio di San Fernando per prepararsi al servizio missionario. Poco tempo dopo iniziò la sua opera missionaria con altri frati francescani sui monti messicani della Sierra Gorda, dove predicava alle popolazioni native e fondò nuove missioni in territori che prima di allora erano stati estremamente ostili alla fede cristiana.

Durante la sua permanenza qui si guadagnò il rispetto dei suoi superiori e fu nominato “Presidente” delle missioni della regione. Nel 1758 fece poi ritorno al collegio San Fernando, dove si dedicò nuovamente all’insegnamento della filosofia per nove anni, finché non fu nuovamente chiamato alla missione in quella che era allora considerata la landa più sperduta del mondo: la Baja California.

Nel 1768 fu incaricato di guidare un gruppo di missionari francescani che avrebbero portato avanti le missioni della Baja California, fondate dai Gesuiti. Serra giunse a Loreto, Baja California, nell’aprile di quell’anno. Nel marzo del 1769 fondò la sua prima missione, San Fernando, Rey de España de Velicatá, nella parte settentrionale della penisola. Ma Junípero non rimase a lungo in quella zona; nel luglio del 1769 si aggregò a una spedizione in Alta California, dove consacrò la prima missione il 16 luglio nell’odierna città di San Diego. Durante la sua permanenza in Alta California, Serra sovrintese alla fondazione di nove missioni.

Morì nella missione San Carlos (Carmel) il 28 agosto 1784, dopo una vita dedicata a diffondere instancabilmente il Vangelo tra le popolazioni native dell’Alta California.

La fama di apostolo di Cristo lo accompagnava già mentre era in vita, ma a causa dell’instabilità politica e degli sconvolgimenti sociali dei decenni successivi il desiderio di vederlo elevato agli altari dovrà attendere a lungo prima di potersi realizzare.

«Fortunatamente la vita di questo frate è come un libro aperto», come afferma monsignor Francis Weber nel suo volume Blessed Fray Junipero Serra: An Outstanding California Hero. La proposta ufficiale della canonizzazione di Serra fu inviata a Roma nel 1934, seguita da quattordici anni di istruzione della causa, durante i quali furono raccolti documenti sulla sua vita, interviste con i discendenti di coloro che l’avevano conosciuto, indiani e ispanici. Il volume di Weber ci dà un’idea più precisa del processo: «Il processo formale ebbe inizio il 12 dicembre 1948 a Fresno, presieduto dal vescovo Aloysius J. Willinger. Tutte le persone coinvolte nella causa prestarono giuramento di fedeltà e segretezza. Furono nominati giudici con poteri speciali per interrogare i testimoni ponendo loro domande formulate dal promotor fidei, o "Avvocato del diavolo". Nel corso del dibattimento furono accuratamente esaminati nel loro contenuto dottrinale tutti gli scritti di Serra: in tutto 2.420 documenti (7.500 pagine)».

Le migliaia di pagine di documenti e testimonianze resero evidente che la gente che conosceva Serra lo considerava un santo - spagnoli o indiani che fossero - compresi alcuni di coloro che erano stati suoi avversari. Persino i funzionari che si erano opposti alla sua linea politica - soprattutto nel considerare i militari responsabili per il loro comportamento verso le popolazioni indigene - non poterono negare che Serra faceva ciò solo per amore a Dio e al prossimo, e non per un tornaconto personale.

Secondo Weber la causa era solida: «La monumentale testimonianza presentata alla Sacra Congregazione delle Cause dei Santi con il Summarium di 620 pagine e il suo corposo volume aggiuntivo indica che durante la vita, alla sua morte e anche dopo di essa vi è sempre stato un coro unanime di encomio che riteneva frate Junípero Serra degno della beatificazione». Ma per la sua beatificazione si dovrà aspettare l’approvazione del primo miracolo dall’autorità di Roma: nel 1987 una suora guarì dal lupus grazie alla sua intercessione.

Nonostante le montagne di documenti sulla vita di Serra, vi furono voci di aperta contestazione quando papa Giovanni Paolo II lo proclamò beato nel 1988. Per molti credenti e non credenti sensibili agli effetti negativi del colonialismo europeo, l’idea che un sacerdote spagnolo associato a questo fenomeno potesse diventare santo era causa di preoccupazione. L’opposizione si è fatta ancora più forte quando papa Francesco ha annunciato l’intenzione di concludere il processo di canonizzazione nel gennaio 2015.

Accanto alla nuova documentazione a suffragio della santità di Serra, papa Francesco aveva parecchie ragioni per procedere, tra cui l’appoggio di vari studiosi che avevano condotto studi approfonditi sulla vita di Serra e sul suo contesto storico. L’archeologo Ruben Mendoza, esperto di culture indigene dell’America Latina, ha trascorso anni lavorando nei territori delle missioni dell’intera California. È considerato uno dei maggiori esperti mondiali di Junípero Serra e delle missioni californiane. «Era un uomo in anticipo sui tempi. Si dedicò totalmente alla causa dei nativi americani», ha affermato Mendoza in una recente intervista.

Robert Senkewicz e Rose Marie Beebe, un team di storici e traduttori che hanno scritto molto sui territori di missione californiani, hanno compilato una autorevole biografia di Serra di oltre 500 pagine, pubblicata nel 2015. Per Senkewicz la canonizzazione di Serra non è contraddetta dai suoi possibili difetti: «Io credo che una persona non sia canonizzata perché è perfetta - altrimenti è probabile che neppure san Pietro sarebbe mai diventato santo».

La canonizzazione di Serra avviene alla vigilia di un “Giubileo straordinario della misericordia”, che mira a incoraggiare i cristiani a esercitare e cercare la misericordia e il perdono. Uno degli episodi più famosi nella vita di Serra è legato direttamente al suo interesse per la misericordia e il perdono nel 1775. Quando parecchie centinaia di guerrieri indiani attaccarono la missione di San Diego uccidendo padre Luis Jayme, il missionario che vi risiedeva, Serra, scrisse immediatamente al Viceré (il rappresentante del sovrano spagnolo in Messico) per ricordargli ciò che gli aveva chiesto tempo prima: «Nel caso che gli indiani, pagani o cristiani, mi uccidessero, dovranno essere perdonati». Il frate richiese un decreto formale del Viceré che estendesse questa politica a tutti i missionari, presenti e futuri, compreso padre Jayme, recentemente assassinato. «Sarà per me di particolare conforto avere questo decreto tra le mani per tutti gli anni che Dio si degnerà di aggiungere alla mia vita».

In una recente omelia papa Francesco ha spiegato la sua scelta di concludere il processo di canonizzazione per Serra. Il motivo principale: «Fu un instancabile missionario». Francesco non è un sostenitore del colonialismo, come ha affermato chiaramente in altri discorsi, ma crede ancora nella “missione”. Per papa Bergoglio, una Chiesa che non esce fuori, nel mondo, per annunciare il Vangelo, specialmente tra i poveri e gli emarginati, diventa chiusa e non incisiva. E la missione è qualcosa che il Papa desidera enfatizzare in particolar modo nel proprio emisfero di origine: «La testimonianza di fra Junípero ci richiama a lasciarci coinvolgere, in prima persona, nella missione continentale». Egli ammonisce altresì a non occultare figure come quella di Serra, ma piuttosto a «esaminare scrupolosamente i loro pregi e, soprattutto, i loro limiti e le loro miserie». Come ha suggerito Gregory Orfalea, il biografo di Serra: «Francesco identifica la fede di Serra con il cuore, quel genere di cuore che Francesco ritiene oggi indispensabile, pieno di "generosità e coraggio"».